Ho iniziato a pensare questo pezzo tempo fa, prima di questo rinnovato blocco generale, ma poi è tornata la DAD, o DDI che dir si voglia. Allora cambio di programma e scrivo a sentimento, perdonatemi se sbrodolo. Io ho 250 alunni. Sì, avete capito bene: sono insegnante specialista alla scuola primaria e quindi vedo ogni mia classe solo due ore a settimana. 250 nomi. 250 volti, storie e diversità. Spesso non ricordo le diagnosi precise dei bambini DVA o DSA e se mi chiedeste un elenco preciso di tutti i BES che ho nelle mie classi… bè, non ve lo saprei dire. Questo accade un po’ perché non sono wonder woman e un po’ perché in fondo in fondo non mi interessa. “Ma come”, vi chiederete voi, “non ti interessano i tuoi alunni?”. No, non esattamente. Di certo non mi interessano le loro etichette, né le loro sigle in scolastichese. Mi interessano loro come persone e sogno di imparare a conoscerli uno ad uno, con pazienza. Ci sono caratteristiche che emergono subito, altre che restano nascoste fino a due giorni prima dalla fine della quinta, e allora mi chiedo come abbia potuto non accorgermene prima. Ci sono diversità simpatiche, altre impossibili da cogliere fino in fondo, altre che mi spaventano. Alcune hanno un nome scientifico, mentre altre sono anonime, ma tutte, proprio tutte, hanno volti e sorrisi. La verità è che a scuola non facciamo abbastanza per valorizzare la diversità, anzi mettiamo i bambini dentro barattoli di vetro, da dove noi li possiamo osservare con aria saccente, al sicuro, ma non li possiamo sentire, nè tanto meno ascoltare. Ogni barattolo ha una sigla assurda, creata da gente che non si prende nemmeno il tempo di pronunciare le parole scomode fino in fondo. Ma siate oggettivi, come potrebbe un’ insegnante andare oltre le semplificazioni con classi da 26, 27 bambini? La mente di una maestra è limitata come quella di ogni altro! Forse potrei cominciare a conoscere a fondo tutti i miei alunni diversi solo se fossero molti meno. Con 250… è dura! Ma è difficile anche per le maestre di classe che vedono sempre quei 25 ogni giorno, ma sono 25 diversi modi di vedere il mondo e di conoscerlo compresenti in una stessa aula! Sono 25 storie diverse, con passioni e pensieri nascosti che aspettano la loro epifania. Alcuni li capiremo, altri aspetteranno invano qualcuno che li ascolti veramente. Parole altisonanti come “personalizzazione” e “individualizzazione” troverebbero la loro vera casa solo in sezioni molto meno affollate, altrimenti rischiano di restare parole eleganti di un galateo scolastico formale e vuoto. Ridurre il numero di bambini in ogni classe non sarebbe ovviamente la panacea della scuola, ma pur sempre un inizio di una reale rivoluzione. Eppure, nonostante tutto, io faccio del mio meglio con i miei 250 bimbi, insegnando ogni giorno attraverso una pluralità di linguaggi con i quali cerco di raggiungere tutte le loro differenze. Poi arriva la DDI, di nuovo, e questa volta tutti quelli con l’etichetta sono dentro, gli altri fuori. Ma non è colpa della pandemia sapete? E nemmeno del ministro Pincopallino. Semplicemente nei periodi di difficoltà i nodi vengono al pettine e la realtà è che le nostre scuole hanno vetri lucidi di pedagogismi estetici, ma scaffali vecchi, pieni di barattoli ben etichettati.
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