Per idealismo si intende quell’orientamento filosofico per il quale la realtà è creata dal soggetto che pensa, dalla mente umana. Gli oggetti non hanno una esistenza autonoma o non del tutto, ma sono costruzioni della mente umana. È idealista Cartesio quando dice “penso, quindi sono”. In qualche modo lo è anche Platone, il quale sostiene che le idee anche un valore fondativo della realtà ma anche conoscitivo. Per idealismo materiale si intende quello per cui vengono studiati gli oggetti, invece l’orientamento di Kant è detto idealismo trascendentale, in quanto egli focalizza l’attenzione sulla conoscenza che il soggetto ha degli oggetti. Per Kant esiste una coscienza trascendentale, vale a dire che il soggetto crea le condizioni della conoscenza dell’oggetto, usando le proprie strutture mentali per definire l’oggetto secondo quelle caratteristiche che l’oggetto non ha in sé stesso. Tuttavia per Kant l’essere non è dato dalla coscienza, ma esiste al di fuori del soggetto che pensa. Nella Critica della ragion pura Kant afferma che conoscere equivale ad unire un soggetto a un predicato. Egli distingue tre tipi di conoscenza, cioè tre giudizi:

  • Giudizio analitico (sempre a priori): è una constatazione ovvia, che non necessita di dimostrazione, come quando diciamo che “i corpi sono estesi”; il predicato “estesi” è ovvio (quindi è analitico) e non deriva dall’esperienza (è a priori). Ma non aggiunge nulla alla conoscenza in quanto la estensione è già nel corpo;
  • Giudizio sintetico a posteriori: come quando diciamo “la rosa è rossa”; il predicato “rossa” dice qualcosa di più del semplice soggetto ma deriva solo dall’esperienza personale, quindi non ci si può basare su questo per una conoscenza certa;
  • Giudizio sintetico a priori: “”7+5=12”; in questo giudizio si aggiunge qualcosa alla conoscenza e non deriva dalla esperienza personale, quindi si può dire universale (a priori).

Per Kant la metafisica dovrà basarsi su giudizi sintetici a priori. Per lui tali giudizi garantiscono la conoscenza certa. “Da tutto ciò scaturisce l’idea di una scienza speciale, che si può chiamare Critica della ragion pura. Poiché la ragione è la facoltà che ci fornisce i principi a priori della conoscenza. Ragion pura è perciò quella che contiene i principi per conoscere qualche cosa assolutamente a priori. Un organo della ragion pura sarebbe un complesso dei principi, secondo i quali possono essere acquistate ed effettivamente recate in atto tutte le conoscenze pure a priori”. Quindi Kant si pone a metà strada tra razionalisti (che usano giudizi analitici a priori) e empiristi (giudizi sintetici a posteriori). Kant afferma che i giudizi sintetici a priori devono muoversi per organizzare la realtà. Il fenomeno è ciò che appare della cosa, mentre la cosa in sé resta oscura, non si può conoscere, perché al di là del soggetto. Il fenomeno viene inquadrato prima di tutto dai sensi secondo due forme a priori, quelle dello spazio e del tempo; l’intelletto usa categorie (idee pure) per pensare i dati sensibili; la ragione tenta di spiegare la realtà oltre l’esperienza, attraverso le idee di anima, mondo, Dio. Per Kant l’ “Io penso” non va confuso con la somma dei nostri stati d’animo (io interiore), ma si tratta di una struttura del pensare, che ha ogni soggetto. La sua funzione è quella di garantire la unità e la sintesi delle rappresentazioni. È ciò che permette la conoscenza, per cui il soggetto modella il fenomeno, quindi in definitiva l’Io penso permette di porre il soggetto a fondamento dell’oggetto. Invece per l’idealismo assoluto (Fichte, Schelling, Hegel) il soggetto crea anche l’essere. L’idealismo di Fichte è detto critico in quanto egli critica la conoscenza fatta dal soggetto: è l’Io del soggetto che crea la realtà, mentre la ragione riconosce solamente l’atto creativo dell’Io. L’idealismo di Hegel è detto dialettico in quanto la realtà nasce dalla dialettica delle idee: la ragione è essa stessa creatrice e stabilisce ciò che è reale e ciò che non lo è. Tutto il pensiero di Hegel può essere riassunto in questa affermazione: “ciò che è reale è razionale”. Ogni realtà è razionale se rientra nella triade di tesi-antitesi-sintesi fatta dalla ragione. Per Fichte l’Io scopre di essere la realtà quando gradualmente si rende conto di creare la realtà. Questo avviene quando l’Io passa dalla sensazione alle idee fino all’autocoscienza accorgendosi di essere una potenza attiva di creazione, cioè che la realtà è una costruzione dell’Io. Invece per Hegel il soggetto si accorge di creare la realtà passando per i tre momenti di tesi (idea), antitesi (natura) e sintesi (spirito). La natura non sussiste in sé ma è un momento dialettico mediante il quale lo spirito si scopre creatore di tutto. Ecco le riflessioni, capitali, che Hegel espone nella Prefazione della Fenomenologia dello spirito: “La sostanza vivente costituisce l’essere che è veramente soggetto, che è veramente reale, solo nella misura in cui essa è il movimento del porre-sé-stessa, solo in quanto è la mediazione tra il divenire-altro-da-sé e sé stessa. In quanto soggetto, la sostanza è la negatività pura e semplice, e proprio per questo è lo sdoppiamento del semplice, è la duplicazione opponente che a sua volta costituisce la negazione di questa diversità indifferente e della sua opposizione: solo questa uguaglianza restaurantesi, solo questa riflessione entro sé stesso nell’essere-altro – non una unità originaria in quanto tale, né immediata in quanto tale – è il vero. Il vero è il divenire di sé stesso, è il circolo che presuppone e ha all’inizio la propria fine come proprio fine, e che è reale solo mediante l’attuazione e la propria fine”. Fichte si allaccia a Kant nella idea di coscienza trascendentale, ma per Fichte l’Io assoluto (diverso da quello empirico) fonda tutta la realtà, anche l’essere. Per Kant l’intelletto è limitato dalla cosa in sé: il soggetto conosce la realtà mediante delle idee che strutturano il mondo circostante, ma esiste un fondo delle cose (cosa in sé) non conoscibile dal soggetto umano. Fichte compie il passaggio dal criticismo all’idealismo assoluto: l’Io crea tutta la realtà. “Tutto è spirito”, è la nota tesi idealista. Pertanto mentre Kant si occupa di gnoseologia, Fichte sposta la ricerca sul piano ontologico (l’Io crea anche l’essere). Per Kant la ragione è limitata, invece per Fichte l’Io è infinito perché pone in essere ogni cosa. Per Fichte non c’è una ragione per la quale l’Io fonda sé stesso e quindi la realtà, ma è così. Essere e porre sono la stessa identica cosa: l’Io che pone sé stesso pone anche l’essere. In questo senso soggetto e oggetto si identificano. Chi conosce e l’oggetto conosciuto sono la stessa cosa. “L’Io pone sé stesso ed ‘è’ in forza di questo puro e semplice porsi da sé stesso, e viceversa: l’Io è e pone il suo essere in forza del suo puro e semplice essere. Esso è al contempo l’agente e il prodotto della azione, ciò che è attivo e ciò che è prodotto dall’attività; azione e atto sono un’unica e medesima cosa; perciò l’Io sono è espressione di una azione-in-atto, come deve risultare dall’intera dottrina della scienza”. Ancora. “Ciò il cui essere (essenza) consiste semplicemente nel fatto di porre sé stesso come esistente è l’Io quale soggetto assoluto. Così come si pone, è; e così come è, si pone; e pertanto l’Io assoluto è necessariamente per l’Io. Ciò che non è per sé stesso, non è un Io”. La logica aristotelica si basa sul principio di non contraddizione, per il quale: “è impossibile che la stessa cosa appartenga e non appartenga alla stessa cosa nello stesso tempo e rispetto alla stessa cosa”, to gar auto ama uparchein te kai mē uparchein adunaton tōi autōi kai katà auto (Aristotele, Metafisica IV, 3). In seguito la logica inizia a basarsi sul principio di identità: A=A, formulato sempre da Aristotele. Per Fichte la identità logica per cui A è A, si giustifica solamente se c’è quella Io=Io. In questo modo l’Io che pone sé stesso è il principio della conoscenza. Il principio di non contraddizione postula che una asserzione non può essere diversa da sé stessa, altrimenti sarebbe contraddittoria. Quindi il corollario è il principio di identità: ogni affermazione è identica a sé stessa, altrimenti sarebbe una contraddizione. Secondo Adorno, “la contraddizione è il non identico sotto l’aspetto dell’identità”. Per Fichte che una affermazione sia identica a sé stessa dipende dalla identità dell’Io, da questo fondamento identico a sé stesso che regge tutto il sistema della realtà e della verità. La filosofia occidentale idealista ritiene che pensare è identificare, cioè collegarsi alla unione tra soggetto e oggetto. Riassumiamo brevemente l’argomentazione che Fichte fa in proposito all’inizio della sua Dottrina della scienza. Prendiamo il principio di identità, per cui A=A. Tutti noi lo riconosciamo totalmente certo e stabilito. Quindi si dice che il principio di identità è certo in sé. Non che A sia. La proposizione A è A, non è equivalente a quella che dice: A è, ovvero c’è un A. Dunque si ponga: “Se” A è, “allora” è A. Di conseguenza la questione non verte sul fatto se in generale A sia oppure no. Non si pone in questione il contenuto della proposizione bensì semplicemente la sua forma: non ciò di cui si sa qualcosa bensì ciò che si sa, quale che sia l’oggetto di cui possa trattarsi. Di conseguenza affermando che il principio di identità è certo in tutto e per tutto, è stabilito questo: che tra quel “se” e questo “allora” vi è una connessione necessaria; ed è tale connessione tra i due termini ad essere posta in assoluto e senza alcun fondamento né ragione. Fichte chiama provvisoriamente questa connessione necessaria = X. Ma ancora non abbiamo detto nulla riguardo a A stesso, se esso sia oppure no. Ora X è nell’Io ed è posto dall’Io, perché è l’Io ciò che nella proposizione suindicata giudica, e giudica senz’altro secondo X come attenendosi a una legge, la quale di conseguenza è data all’Io e deve essergli data tramite l’Io stesso, poiché è stabilita assolutamente e senza ogni ulteriore ragione e fondamento. Noi non sappiamo se e come A in generale sia posto, tuttavia, giacché X deve indicare un nesso tra un ignoto atto di posizione di A e una posizione assoluta di questo medesimo A, sotto la condizione di quel primo atto di porre, allora A deve essere nell’Io e posto dall’Io, come X, almeno in quanto è posta nella connessione. X è in relazione soltanto con un A possibile; ora, X è effettivamente posto nell’Io, perciò deve esserlo anche A, in quanto X è riferito ad esso. Tuttavia Gentile non accetta il principio di identità. Per questo filosofo la identità del concetto con sé stesso è un opposto rispetto all’essere immediato. Esiste un essere naturale (le cose) e un essere pensato, immediato (filtrato dalle categorie della logica): pertanto dicendo che un essere pensato sia identico a sé stesso (A=A), si dice anche che è opposto all’essere naturale, alla realtà delle cose. E questa è una contraddizione. Quindi Gentile critica il principio di identità. Lo fa anche Severino, tra i molti altri pensatori che si dimostrano scettici, per il quale dicendo A=A, si postula un uno, ma si può pensare all’uno soltanto pensando al due, quindi negando di principio la identità postulata. In ogni modo questa è nella sostanza la tesi della Dottrina della scienza di Fichte. L’antitesi di questa tesi è che l’Io oppone a sé stesso un Non-Io. “L’essere-contrapposto in generale è assolutamente posto dall’Io”. Non può esserci una coscienza senza elementi, quindi nel creare i contenuti della coscienza, l’Io crea qualcosa di diverso da sé stesso, cioè un Non-Io.  Il terzo momento è la sintesi, per la quale l’Io non solo oppone a sé stesso un Non-Io ma che è delimitato da questo Non-Io. Questo succede quando l’Io conosce. L’Io conosce degli oggetti. Questi oggetti sono posti dall’Io ma l’Io non se ne accorge. Quindi il Non-Io (gli oggetti) determina l’Io nel senso che gli permette di conoscere questi oggetti. Il soggetto si costruisce mediante l’oggetto. In altre parole l’io si scopre determinato, cioè diviso nella molteplicità degli oggetti. L’Io dovrà passare dalla sensazione alla idea e infine alla autocoscienza nel rendersi conto che gli oggetti sono prodotti inconsciamente da questo. “L’azione il cui prodotto è il Non-Io, il contrapporre, non è affatto possibile senza X. Di conseguenza X stesso deve essere un prodotto, e per la precisione un prodotto di un’azione originaria dell’Io. V’è quindi un’azione dello spirito umano = Y il cui prodotto è = X. Tramite questa azione gli opposti Io e Non-Io devono essere unificati, posti identici, senza che si sopprimano vicendevolmente. I suddetti opposti devono essere assunti nell’identità di una coscienza … L’azione Y sarebbe un limitarsi l’un per l’altro dei due contrapposti e X designerebbe i limiti”. La Dottrina della scienza di Fichte è stato il testo filosofico che più ha ispirato i primi romantici. Il primo romanticismo si fonda sulle riflessioni del Fichte di Jena, che però vengono stravolte e interpretare in modo assai originale. Novalis ha una vera devozione per Fichte e non per nulla Novalis è lo spirito più puro del romanticismo tedesco e europeo, i suoi Inni alla notte contengono tutti i temi del romanticismo, che in seguito saranno riproposti in maniera sempre meno efficace. Inoltre Novalis è il teorico più importante del romanticismo. Novalis propone un idealismo magico, ritenendo che c’è qualcosa a monte dell’Io assoluto. Per Fichte l’Io assoluto è il primum e crea tutto l’essere. Per Novalis l’Io stesso è determinato da qualcosa, questo qualcosa è la immaginazione. È la immaginazione, infatti, che permette la reale conoscenza dell’oggetto, cosa che per Fichte è permessa dall’Io. Il contributo di Novalis è quello di aver introdotto il concetto di immaginazione produttiva. L’immaginazione mediante la intuizione permette la reale sintesi tra soggetto e oggetto, cosa che per Fichte è permessa dall’Io assoluto che pone sé stesso: ponendo sé stesso, già in questo l’Io unisce il soggetto e l’oggetto, in quanto sono la stessa cosa. Per Novalis non basta un Io per unire i due estremi (soggetto e oggetto), ma è necessaria la intuizione della immaginazione produttiva. Con la intuizione è possibile sintetizzare ogni cosa. Il massimo della immaginazione produttiva si situa nella poesia. Attraverso la intuizione, tipica della immaginazione, è possibile conoscere, senza immaginazione l’uomo non può conoscere nulla in quanto non unisce i termini antitetici del reale. In questo senso, come il mago usa la mente e la forza di volontà per creare portenti nella realtà, allo stesso modo il poeta, usando la immaginazione produttiva, unisce soggetto e oggetto, cioè è in grado di fare liberamente ogni cosa. La poesia è l’atto di massima libertà che esiste, in quanto, unendo gli opposti, è possibile unire filosofia e arte, scienza e arte, in ogni maniera unire l’infinito con il finito e unire il finito con l’infinito. In questa coincidenza di opposti sta il potere della intuizione dell’immaginazione produttiva. Allora in questo senso l’idealismo di Novalis è detto magico. Da una parte l’immaginazione produttiva permette di scardinare dalle fondamenta ogni limite. Questo perché il limite sta nella non unione degli opposti. Ma se gli opposti vengono uniti, mediante la intuizione, salta ogni limite del principio di non contraddizione. È tutto possibile e il poeta è il vero mago che permette il miracolo.  L’antitesi della Dottrina della scienza di Fichte, cioè che l’Io oppone a sé stesso un Non-Io, viene interpretata da Novalis e dai primi romantici come la possibilità di oltrepassare il principio di non contraddizione. Se infatti l’Io oppone a sé stesso un Non-Io, viene messa in crisi l’identità della coscienza. Se pertanto la coscienza fonda ogni cosa, il principio di non contraddizione viene annullato. Quindi il mondo, privo di fondamento certo, è il libero prodotto creativo del poeta mago che mediante la sua immaginazione produttiva si sente in grado di fare ogni cosa. Dall’altro lato l’idealismo magico permette ai romantici di ritenere come sia possibile idealizzare il finito o realizzare l’infinito. Se ogni cosa è possibile, il mago con la sua intuizione si sente in grado anche di “far quadrare il cerchio”, come dice Novalis, cioè di sintetizzare ogni tipo di opposti. Schelling nel 1800 pubblica il suo Sistema dell’idealismo trascendentale. In questa opera fondamentale egli sostiene che esistono due poli opposti, che mai si potranno unire del tutto: da una parte abbiamo la natura, ciò che è senza coscienza, dall’altra abbiamo l’io o spirito, ciò che ha coscienza. È insomma la dicotomia tra oggettivo e soggettivo, mondo e uomo, corpo e intelligenza. Si tratta di due poli opposti che però all’inizio sono uniti, e formano un unicum, nondimeno sempre lacerato in sé stesso e mai convertibile nell’altro. il proprium dello spirito è la intuizione intellettuale, mediante la quale l’Io si afferma con un atto puro di libera autodeterminazione. Per Schelling la storia dell’autocoscienza ha queste tappe: dalla sensazione originaria alla immaginazione produttiva fino alla riflessione e poi all’atto assoluto della volontà. Ora, Schelling afferma che l’io o spirito consiste in una attività infinita della soggettività che mostra sé oggettivandosi e diventando finita: l’io che circoscrive fino a un certo limite il suo puro, illimitato produrre, per diventare così producente e prodotto insieme, in tutto e per tutto al modo di un organismo naturale. Da questa unione iniziale di producente e prodotto allo stesso tempo, nascono le due forze opposte di oggettivo e soggettivo. La loro mutua compartecipazione spiega le attività dello spirito. Schelling argomenta che riflettendo solo sulla attività ideale del soggettivo, ne scaturisce l’idealismo, cioè che il limite, il momento oggettivo è posto dallo spirito, alla maniera di Fichte, per cui è l’Io assoluto che crea la realtà; invece riflettendo solo sull’attività reale, ne emerge il realismo, cioè che il limite è indipendente dallo spirito, sta fuori dalla mente. Ma la posizione di Schelling prevede un tertium, che si può chiamare ideal-realismo, cioè l’idealismo trascendentale. Innanzitutto l’Io produce inconsciamente la realtà oggettiva, cioè il limite, non accorgendosi che è lui medesimo a produrla. Quando l’io compie questa operazione inizia a percepire qualche cosa di esterno a sé stesso (sensazione originaria). In questo modo l’io che tutto crea spezza l’equilibrio originario tra oggettivo e soggettivo, che erano una cosa sola. Adesso l’io, intuendo illimitatamente sé stesso nel limite, crea la realtà che a lui sembra oggettiva, cioè separata da sé quale io. A questo punto l’io sente la necessità di unire i due opposti così generati (oggetto e soggetto) e lo fa mediante la intuizione produttiva, la quale unisce limite e illimitato, mondo e spirito, natura e io. Nella terza fase, quella della riflessione, l’io si scopre soggetto capace di intuire: prima intuiva automaticamente, adesso con la riflessione si rende conto di intuire. Infine l’io si scopre capace di compiere un atto assoluto, quello della volontà, mediante la quale l’io acquisisce la consapevolezza di poter realizzare liberamente un oggetto: abbiamo a che fare con la filosofia pratica. Il volere può diventare oggettivo per l’io solo assumendo la direzione verso l’esterno. Da una parte l’io si rende consapevole della libertà, cioè dell’infinito, mentre la necessità di volere oggetti esterni lo pone nel mondo del limite. Per essere continuamente consapevole l’io ha bisogno che questa opposizione permanga, oscillando tra finito e infinito senza esserne bloccato. Questa è la grande capacità della immaginazione, mediante la quale l’io produce le idee e, nel caso specifico del volere, l’ideale. L’ideale permetterà di mediare l’attività dell’io e dell’oggetto, e l’io medesimo oscillerà tra ideale e oggetto. Da qui nasce l’impulso a trasformare l’oggetto mediante la volontà. In buona sostanza per Schelling l’idealismo trascendentale è la filosofia che consente di pensare l’assolutamente identico. Vi è un soggetto – oggetto oggettivo (natura) affermato identico a un soggetto – oggetto soggettivo (libertà). Vale a dire che abbiamo un elemento oggettivo, il quale è inconscio, ma dato che è creato dall’io, l’elemento oggettivo è parte dell’io, dello spirito. Il luogo della conciliabilità di questi elementi risiede nell’arte: il filosofo ragiona per massimi sistemi, egli capisce che l’atto intuitivo è in grado di cogliere la unità tra oggetto e soggetto, ma l’uomo comune deve coglierla mediante il fatto artistico. Ecco le parole di Schelling: “L’opera d’arte ci riflette l’identità dell’attività cosciente e di quella priva di coscienza. L’antitesi tra queste due è, però, infinita e viene soppressa senza il minimo intervento della libertà. Il carattere fondamentale dell’opera d’arte è dunque un’infinità priva di coscienza. L’artista, oltre a quanto ha messo intenzionalmente nella sua opera, sembra avervi esposto in maniera istintiva, per così dire, un’infinità che nessun intelletto finito è capace di sviluppare interamente”. Hegel nella Scienza della logica critica la filosofia precedente. Hegel vuole fare una logica basata su “pensieri oggettivi”, cioè collegati al concreto. “Se perciò si parla di umiltà o modestia e di arroganza rispetto al filosofare, e la umiltà e la modestia consistono nel non attribuire alla propria soggettività alcuna particolare proprietà o attività, si deve assolvere il filosofare almeno dall’accusa di arroganza, in quanto il pensiero è vero quanto al contenuto soltanto nella misura in cui è approfondito nella Cosa, e, quanto alla forma, non è un particolare essere o agire del soggetto, ma consiste nel fatto che la coscienza si comporta come Io astratto, liberato da ogni particolarità di proprietà, circostanze ecc, d’altro genere, e compie soltanto quel tipo di operazione universale nella quale concorda con tutti gli individui”. Secondo queste determinazioni, si parla di pensieri oggettivi, cioè che sono prese per forme del pensiero conscio, ma sempre ancorate alla Cosa. “La logica coincide perciò con la metafisica, con la scienza delle cose colte in termini di pensiero, che valevano ad esprimere l’essenziale delle cose”. “Il pensiero cerca di farsi un concetto delle cose, ma questo concetto non può consistere di determinazioni e rapporti che sono estranei e estrinseci alle cose”. Partendo da ciò, Hegel critica la logica formale, cioè quella astratta, come quella aristotelica, la quale non è ancorata alla Cosa, al contenuto, ma fa un discorso soltanto sui concetti, presi per sé stessi. I concetti vengono presi da questa vecchia logica come determinazioni fondamentali delle cose: “ciò che è, in quanto viene pensato, viene conosciuto in sé”. Ma non considerando il rapporto con il contenuto, questa logica pecca di astrazione. In secondo luogo Kant critica anche la logica kantiana, cioè quella trascendentale, la quale è collegata alla realtà, al contenuto, ma lo intende in chiave soggettiva. “La filosofia critica sottopone anzitutto ad esame il valore dei concetti dell’intelletto usati nella metafisica … Questa critica, tuttavia, non si rivolge al contenuto, al rapporto determinato di queste determinazioni di pensiero all’una rispetto all’altra, ma le considera secondo l’opposizione tra soggettività e oggettività. Questa opposizione, nel modo in cui viene presa qui, si riferisce alla distinzione degli elementi all’interno della esperienza. L’oggettività indica qui l’elemento di universalità e necessità, cioè delle determinazioni di pensiero, il cosiddetto a priori. Ma la filosofia critica estende l’opposizione in modo che nella soggettività rientra l’intero complesso dell’esperienza, cioè l’insieme di quei due elementi, e di fronte all’esperienza non rimane altro che la cosa in sé”. La terza critica mossa da Hegel è rivolta al sapere immediato, quello di Jacobi. “Al tempo stesso si afferma che la verità è per lo spirito, in quanto è soltanto mediante la ragione che l’uomo sussiste e che la ragione è il sapere Dio. Ma siccome il sapere mediato è limitato soltanto al contenuto finito, la ragione è sapere immediato, fede”. Jacobi e Hegel concordano nel ritenere che il sapere mediato, cioè quello basato esclusivamente sul contenuto, sulla materia, sui fatti, non porta alla conoscenza, perché nega l’intellezione. Però per Jacobi “la ragione afferma ciò che l’intelletto nega”. Questo vuol dire che la ragione si basa sulla intuizione e la intuizione è legata a una data esperienza, quindi è cosa diversa dall’intelletto astratto. Abbiamo intuizione del corpo, delle sensazioni corporee, questa intuizione non si basa esclusivamente sul concreto, cioè sugli oggetti perché è spirituale, né è pienamente astratta opera dell’intelletto perché l’intuizione del corpo dipende da un oggetto. Per Jacobi questo tipo di intuizione è un sapere immediato, detto fede. Abbiamo fede in un corpo, fede in una sensazione corporea e fede in Dio, del quale ci accorgiamo perché sussistiamo grazie a Dio. Hegel critica a fondo l’approccio di Jacobi. Jacobi parla di fede in senso troppo generico: un conto è la fede nel corpo, un’altra in Dio. Dio è cosa diversa dalla sensazione del corpo: per Hegel Dio è un concetto universale, vale a dire un concetto spirituale: la fede in Dio non è diversa dall’intelletto, cioè dal pensiero. Inoltre per Hegel il sapere immediato dice il vero quando afferma che quello mediato non porta alla verità, ma si sbaglia nell’escludere del tutto il contenuto, il fatto, il mediato, in una asserzione di fede troppo opinabile. Il rapporto che Hegel instaura con il pensiero è di tipo concreto da un lato e teoretico dall’altro. Non è né l’uno né l’altro presi singolarmente. Hegel nella sua Filosofia della natura mostra le leggi della natura allora conosciute, si sofferma sulla meccanica, sulla fisica, sulla fisica organica. Ma il suo proposito non è quello di parlare della natura nel concreto, ma quello di basare la propria teoretica sul concreto, dal quale poi partire per parlare in modo universale. All’inizio della Filosofia della natura Hegel scrive: “Noi potremmo subito spiccare il volo verso l’idea filosofica (della natura), dicendo che la filosofia della natura ci deve dare l’idea della natura. Ma se cominciassimo così, la cosa diventerebbe oscura. Infatti dobbiamo cogliere l’idea stessa come concreta e quindi conoscere le sue diverse determinazioni e poi metterle insieme. Per ottenere l’idea dobbiamo quindi percorrere una serie di determinazioni attraverso le quali soltanto l’idea diviene per noi. Prendiamo ora queste determinazioni nelle forme che ci sono note e diciamo che ci vogliamo rapportare in modo pensante alla natura: così ci sono dapprima ancora altri modi di rapportarsi ad essa che voglio ricordare, non per ragione di completezza, ma perché ci troveremo i materiali e i momenti che appartengono necessariamente alla conoscenza dell’idea e di cui prendiamo piuttosto coscienza in modo isolato in altri modi di considerare la natura. In tal modo porteremo alla luce il punto in cui si staglia ciò che è caratteristico della nostra impresa. Noi ci rapportiamo alla natura in parte in modo pratico, in parte in modo teoretico. Nella considerazione teoretica si mostrerà una contraddizione che in terzo luogo ci guiderà alla nostra prospettiva; dovendo aggiungere per risolvere la nostra contraddizione ciò che è caratteristico del rapporto pratico, esso si integrerà in una totalità e si unirà a quello teoretico”.

Bibliografia

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  • J. G. Fichte, Fondamento dell’intera Dottrina della scienza, Milano 2017;
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  • I. Kant, Critica della ragion pura, Milano 2004;
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  • F. W. J. Schelling, Sistema dell’idealismo trascendentale, a cura di G. Boffi, Napoli-Salerno 2022.