Tommaso Campanella nacque a Stilo, in Calabria Ultra, oggi provincia di Reggio Calabria, il 5 settembre 1568 da Geronimo Loli e da sua moglie, Catarinella Martello, in una povera casa del “Borgo Fuori Mura “. ,11 padre, analfabeta, esercitava il mestiere di calzolaio ed era soprannominato “Campanella”, forse perché imparentato con donne che portavano questo nome. Dotato di grande intelligenza e di straordinaria memoria, si distinse fin da bambino per la sua cultura enciclopedica, primeggiando fra i suoi coetanei. All’età di 13 anni conosceva già la Storia, la Filosofia, la Fisica, l’Aritmetica, l’Astronomia, il Greco e il Latino a tal punto da potersene servire agevolmente in prosa ed in versi. A causa dell’estrema povertà in cui versava la famiglia, egli vide nella carriera ecclesiastica l’unica possibilità di continuare e completare gli studi e perciò, aiutato dal padre provinciale dei domenicani, Giovan Battista Grio da Polistena, vestì l’abito di Chierico nel suddetto ordine .La vita tempestosa e travagliata di Campanella ebbe una svolta decisiva nel 1588, quando Fra’ Tommaso passò da Nicastro a Cosenza per il corso quadriennale di teologia presso lo “Studio Generale” della provincia Domenicana di Calabria e lesse i primi due libri del DE RERUM NATURA di Bernardino Telesio (Cosenza 1509-1588 ). Il naturalismo telesiano segnò sulla vita di Campanella un impronta indelebile. La grande ammirazione e devozione nei confronti di Telesio, mirabilmente espressa nel sonetto intitolato “Al Telesio Cosentino”, attirò però l’attenzione della temibilissima Inquisizione, che ravvisò nel caloroso consenso con il Telesio un nuovo antagonista del Filosofo/(Aristotele) che signoreggiava sulla cultura ufficiale . Da questo momento iniziò la persecuzione del filosofo domenicano ad opera della Inquisizione, che ebbe in quegli anni il massimo interprete e protagonista nella figura del Cardinale Roberto Bellarmino.

Alla fine del 1599,Campanella,con la grave accusa di eresia, fu arrestato e trasferito a Napoli dove venne rinchiuso in Castel Novo, nel torrione del Castello .Cominciò per lui quella detenzione che durò quasi 27 anni. Un ‘ esperienza altamente significativa, non solo per l’uomo ,ma anche per spunti di altissima ispirazione. Nel carcere napoletano Campanella visse in una cella sotterranea, ” La zona del COCCODRILLO”, descritta magistralmente in una delle sue più’ belle poesie, il “Sonetto nel Caucaso e nella canzone di pentimento fatta nel Caucaso”. Si tratta di un vano cieco,al quale si accede scendendo per 24 scalini sotto il livello del mare. “Qui il recluso, con ferri alle mani e ai piedi e incatenato alle pareti di pietra madide di umidità, per il riposo non aveva che un giaciglio di paglia marcescente, un po’ di lume gli veniva dato solo mezz’ora al giorno, perchè potesse leggere il breviario, non aveva carta né inchiostro per scrivere, non disponeva di libri da leggere e consultare e dove­va nutrirsi di rifiuti”.

Durante la prigionia che si protrasse fino al 1628, scrisse “La città del Sole ” (1602), testo di grande rilievo filosofico e politico che rappresenta la proiezione di un modello di società pacifica e giusta in un luogo immaginario, una vera utopia letteraria .Scrisse anche il Trattato di Astronomia, la Monarchia di Spagna, numerose poesie e tanti libri riuniti nell’OPERA OMNIA. Tommaso Campanella mori’ a Parigi nel convento Domenicano di RUE SAINT HONORE’ il 21 maggio 1639. Visse 71 anni e quindi fu abbastanza longevo per i suoi tempi che videro la disfatta dell’ “Invincìbile Armada ” spagnola ad opera degli inglesi (1588),la morte di Elisabetta I Tudor (1603), gran parte della “Guerra dei trent’anni” (1618/1648) e la peste a Milano (1628). Fu contemporaneo di Galileo Galilei, di Giordano Bruno e di Bernardino Telesio, di Francesco Bacone, e Renato Cartesio, di Giovanni Keplero, e di William Harvey, del Tintoretto e del Caravaggio, del Palladio e del Bernini, di Torquato Tasso e di Guicciardini, di San Luigi Gonzaga e del Cardinale Bellarmino l’eminenza grigia del tribunale dell’Inquisizione nei processi celebrati contro Giordano Bruno, Galileo e lo stesso Tommaso Campanella. Campanella fu l’ultimo della stirpe dei filosofi italiani del Rinascimento. Come Bruno, fu un Mago-Filosofo, nella linea dei Magus Rinascimentali discendenti da Ficino. Si sa che Campanella Pratico’ la magia ficiniana fino alla fine dei suoi giorni.

L’unica “colpa” commessa da Fra’ Tommaso fu quella di seguire – in accordo con la rivoluzione copernicana – il Naturalismo Telesiano e le esperienze di Galileo che assestarono un duro colpo alla ideologia Aristotelico-Tolomaico-scolastica della “Centralità della Terra”, sostenuta dalle Sacre Scritture. Tommaso Campanella non fu solamente Scienziato, Scrittore, Filosofo, Mago, ma anche un grande poeta. Io credo che il modo migliore per sottolineare ed esprimere la grandezza poetica di questo nostro compatriota sia quello di riportare qui una delle sue poesie più belle, il sonetto ” Sovra il Monte di Stilo”.

« Monte di Magna Grecia, ch’ahi gran seme non misto a gente unqua a virtù rubella, in Stilo. patria mia, nel tempo ch’ella siede nel lido ove l’Ionio freme,

doni albergo secur, si che non teme d’Annibale la gente cruda e fella, predando i mari e le campagne insieme; Parnasso, Olimpo e Campidoglio scorgi sotto di te, per me lodato tardi di ciò e dell’erbe ch’ai fisici porgi, ch’assicurasti poi Ruggier Guiscardi, fuor che i tuoi dii, Sant’Angelo e San Giorgi, rifiutando a tal uopo armi e valguardi » .

Il monte di Magna Grecia è il Consolino, Stilo sorge su una terrazza a 400 metri di quota .Le erbe sono i capperi ,!o zafferano, il terebinto, ed ogni erba officinale di cui è ricca la terra di Calabria. La straordinaria bellezza del paesag­gio descritto in questa poesia fa pronunciare al poeta le mitiche e impegnative parole Parnasso,01impoe Campidoglio. Il verso “Siede nel lido ove l’Ionio freme” è espressione di tutta la grecità di cui è impregnato il nostro Poeta. Ma il culmine della qualità estetica e poetica delle poesie Campanelliane viene raggiunto nelle tre elegie fatte con misura latina, tra le quali il capolavoro assoluto è costituito dalla poesia “Al sole nella primavera per desio di caldo”, di cui riporto qui i versi sublimi.

« M’esondi al contraio Giano. La giusta preghiera drizzola a te ,Febo, cnornì la scola mia. Veggoti nell’ariete, levato a gloria, ed ogni vital sostanza or suole farsi tua Tu sublimi, avvivi e chiami a festa novella ogni segreta cosa, languida, morta e pigra. Deh! Avviva coll’altre me anche, o nume potente. cui più ch’agli altri caro ed amato sei. Se innanzi a tutti te, Sole altissimo ,onoro, perchè di tutti più, al buio, gelalo tremo? Esca io dal chiuso, mentre al tuo lume sereno d’ime radici sorge la verde cima. Le virtù ascose né tronchi d’alberi, in alto in fior conversi, a prole soave tiri. Le gelide vene ascose si risolvono in acqua pura, che, sgorgando lieta, la terra riga, I tassi e ghiri dal sonno destansi lungo; a’ minimi vermi spirito e moto dai. Le smorte serpi al tuo raggio tornano vive: invidio, misero, tutta la schera loro. Muoiono in Irlanda ,per mesi cinque, gelando, gli augelli, e mo’ pur s’alzano ad alto volo. Tutte queste opere son del tuo santo vigore, a me conteso ,fervido amante tuo. Credesi c’oggi anche Gesù da morte resurse, quando me vivo il rigido avello preme. L’olive secche han da te pur tanto favore rampolli verdi mandano spesso sopra ; vivo io, non morto, verde e non secco mi trovo, benché cadavero per te seppellito sia ».

L’elegia continua con un inno al Sole ed alle sue magiche virtù e così conclude:
« Angelici spirti, invocate il principe Cristo, del mondo erede, a darmi la luce sua. Onnipotente Dìo, gli empi accuso ministri, ch’a me contendon quel che benigno dai. Tu miserere, Dio, tu chi sei larghissimo fonte di tante luci: venga la luce tua ».

In questa Elegia, scritta durante la prigionia in Castel dell’Ovo dentro alla fossa, viene

raggiunto, come ho già detto in precedenza, il culmine della qualità poetica. “Qui ,infatti, al di la dell’interessante esperimento stilistico e metrico. quel che importa è rilevare come la tensione espressiva dello scrittore arrivi fino a prendere in considerazione la necessità di crearsi una lingua propria ed esclusiva, adeguata al livello delle cose da dire ed al modo, solenne ed al tempo stesso efficace e persuasivo, con cui dirle.

In questa Elegia le espressioni diventano figure plastiche e la musicalità ed il lirismo raggiungono vette elevatissime. L’ampia immaginazione retorica sulla quale il poeta impernia il suo dire, trova riscontro solo nella poesia naturalisti­ca latina ,da Lucrezio a Orazio, a Giovenale”.

Nella storia della critica esistono giudizi contrastanti sulle poesie campanelliane. Secondo i critici più severi il lega­me con la filosofia sarebbe esteticamente un vizio di origine che avrebbe insidiato e compromesso il conseguimento di esiti poeticamente compiuti .A parer mio però le cose non stanno proprio così: una lettura libera da pregiudiziali generiche e dal preconcetto per cui si presuppone una radicale incompatibilità fra poesia e filosofia quali componenti di una sintesi esteticamente valida, è in grado di scoprire e di apprezzare gli apici lirici di Campanella. Nelle poesie scritte nella “fossa” del carcere di Napoli vi è plasticità e musicalità.

Quando leggiamo “L’elegia al Sole “torna a mente il San Francesco del Cantico delle Creature, anche se il paragone è proponibile solo fino ad un certo punto.

C’è infatti una linea discriminante in cui conta non solo il fatto che in Campanella non c’è la pace di San Francesco, che adora e benedice pienamente appagato nella comunione con le creature fraterne .

C’è un acuto senso di costrizione ed oppressione, un profondo anelito alla luce e alla libertà. Nel buio della “fossa” egli si rappresenta con fantasia pervasa di nostalgia struggente il mondo che non vede, la vita che rinasce nella

primavera,il calore del sole che avviva e chiama “a festa novella ogni segreta cosa”,e invoca di non essere escluso :

“….deh/ avviva coll’altre me anche …esca io dal chiuso”.

In queste poesie si svolgevi sviluppa e si innalza il canto in cui si fondono amore e dolore, tenerezza e delicatezza

nell’evocare e nel vagheggiare la multiforme vita che germina e palpita al di là della “fossa”.

Fra i versi campanelliani più noti, quelli che raggiungono i punti poeticamente più alti furono scritti nella terribile

“fossa”. Leggendo alcune sue liriche dobbiamo riconoscere in lui un poeta – filosofo eminente, di eccezionali virtù e di caratteristiche intellettuali straordinarie.

Raffigurandocelo recluso in Castel dell’Ovo a scrivere su quelle misere strisce di carta a stento ottenute,

con l’inchiostro ricavato dai rifiuti e dalla frutta, gli occhi che lottano con un’amara penombra, ammiriamo

incondizionatamente l’uomo e forse possiamo essere indotti a definirlo, senza timore dì cadere nell’enfasi, “eroe della Poesia di ogni epoca”.

Con Tommaso Campanella, _Filosofo, Mago, Scrittore, Scienziato. Poeta -, scompare uno dei più grandi uomini di cultura che sia mai apparso sulla terra, onore e vanto non solo per la Calabria, ma anche per l’Italia ed il mondo

intero.