e la curiosa discussione sul profilo dell’uomo
Toni Negri, esimio docente di Dottrina dello Stato all’Università di Padova, è passato a miglior vita il 16 dicembre ultimo scorso. Pace all’anima sua.
Non entro nel merito delle vicende giudiziarie legate alla sua attività politica militante, a capo di movimenti estremistici e violenti degli anni ’70, prima Potere Operaio, poi Autonomia Operaia. Giustizia è stata fatta: nella fattispecie furono irrogate a suo carico pene fino a 12 anni di carcere per i reati di associazione sovversiva e concorso morale per la nota tentata rapina alla banca di Argelato (BO), dove perse la vita un valoroso uomo dell’Arma dei Carabinieri. Correva l’anno 1974.
Non so se Toni Negri meriti la grande considerazione filosofica attribuita da taluni pensatori in queste ore, fra questi Massimo Cacciari, mi fido del giudizio di cotanta autorità intellettuale. Conosco però i fatti dell’epoca, ne sono stato protagonista per aver combattuto politicamente a Torino il terrorismo nelle fila della gioventù democratica, operaia e studentesca che scelse di schierarsi in difesa della Repubblica contro il terrore.
In quella stagione mi toccò anche di guardare negli occhi uomini pericolosi, capeggiati più o meno direttamente dallo stesso Negri, e da lui sicuramente ispirati e formati.
Lo Stato e la Democrazia repubblicana vinsero quella guerra, e molti di quei personaggi per evitare la galera dovettero trovare protezione in Francia, anche Negri vi ricorse per un certo periodo.
Ricordate la dottrina Mitterand? La Francia ancora oggi non ha saputo trovare la giusta postura sul tema delicatissimo della lotta al terrorismo; di conseguenza, non ha saputo maturare la giusta vergogna per aver tradito l’Italia, paese membro della UE, paese ideatore e cofondatore dell’Europa unita.
Leggo oggi che l’uomo Toni Negri visse due vite e che durante la seconda decise di convertirsi al pacifismo, ispirandosi al grande filosofo olandese Baruch Spinoza, fondatore del razionalismo. Questo percorso lo avrà sicuramente conciliato con l’esistenza; Negri ha inoltre pagato i suoi conti con la giustizia ma altra cosa sono i conti con la Storia, quelli restano aperti ad aeternum, e questa è condizione che accomuna l’intero genere umano e prescinde dal valore delle opere di ognuno.
Personalmente conosco e non dimentico la prima parte della vita di Toni Negri, quella dell’uomo che combatté con metodi violenti e illegali lo Stato italiano; quella che lo vide teorico della violenza anticapitalistica dei movimenti di massa, intesa come una delle variabili funzionali al progetto politico rivoluzionario; mi riferisco all’uomo che dialogò con le BR, da lui riconosciute come braccio armato del progetto rivoluzionario; mi riferisco, ripeto, all’uomo che fu condannato con sentenze passate in giudicato per fatti di efferata violenza; e che teorizzò la sua azione criminale in libri di fama mondiale come “Impero e Moltitudine” e “Il dominio e il sabotaggio”.
Questa prima parte della sua vita segna il profilo storicamente rilevante per l’Italia e gli italiani, non potendo postume produzioni letterarie e filosofiche modificare il giudizio di rilevanza storica, politica e civica. Non me ne voglia in tal senso il prof. Cacciari che seguo sempre con sommo interesse.
Mi riferisco infine alla mia storia personale: fummo in tanti in quegli anni dalla parte giusta, sulla prima linea del fronte di quella guerra sanguinosa a difesa della legalità, io fra questi fui uno dei tanti militanti politici che sorressero la Repubblica, nata dalla Resistenza; fummo la meglio gioventù, nemica di quel progetto di devastazione che cavalcava l’insurrezione di massa e il terrore. E il fronte non fu solo quello, ce n’erano altri due ancora più feroci e spietati: quello fascista e quello mafioso.
E qui concludo: nessuno di noi, difensori della Repubblica, fu grande filosofo a cui rivolgere omaggi ma quei fatti li abbiamo vissuti, li conosciamo ora per ora, non li abbiamo dimenticati e operiamo affinché non si perda la memoria storica; d’altronde soltanto per la clemenza del destino molti di noi non fummo personalmente travolti dalla violenza, ne possiamo rendere testimonianza, avanti all’Italia e avanti alla Storia.
Il Paese intero fu parte lesa, fu una pagina cupa di storia collettiva quanto eroica. Abbiamo il dovere civico, politico e storico di raccontarla ai figli e ai figli dei figli.