“Egli volle mostrarsi almeno per un attimo al popolo, al popolo dolorante e tormentato (…) in Spagna, a Siviglia nel periodo più terribile dell’Inquisizione. (…) Egli volle soltanto visitare i suoi figli per un istante, e proprio là dove, appunto, cominciavano a crepitare i roghi degli eretici. Nella Sua immensa misericordia, Egli passa ancora una volta fra gli uomini con quella stessa figura umana con la quale, per trentatré anni, aveva camminato in mezzo agli uomini quindici secoli prima. (…) Egli è apparso in silenzio, inavvertitamente, eppure, strano!, tutti Lo riconoscono”. (Dostoevskij ll grande inquisitore)
Ma come?! Tutti Lo riconoscono? Come è possibile? Tanto più che passa in mezzo a loro senza dire una parola. Strano, Scrive Dostoevskij. In effetti, nessuno di loro può averLo già visto, concretamente, fisicamente, nel mondo. Nessuno può avere incontrato quella figura umana con la quale, per trentatré anni, aveva camminato in mezzo agli uomini quindici secoli prima; a nessuno era allora venuto in mente di ritrarLo, e neppure di descriverLo nei suoi tratti fisici. C’era troppo da dire sulle Sue parole e sui Suoi gesti, quelle parole e quei gesti che avrebbero diviso la storia in un avanti e un dopo Lui. Eppure, tutti Lo riconoscono. Compie dei miracoli, è vero: un cieco riacquista la vista, una ragazza risorge. Ma non Lo riconoscono per via dei miracoli, che semmai ci sono come conseguenza del fatto che Lo hanno riconosciuto. In Lui c’è qualcosa, non definibile con parole terrene, che Lo rende immediatamente riconoscibile, sempre. Una luce, forse uno sguardo che è rivolto a te, a tutti, uno sguardo posato su ciascuno, proprio su ciascuno, quello è il vero miracolo.
L’arte sa andare oltre ciò che è semplicemente materiale e terreno; per questo, pur con mezzi materiali e terreni, può aiutarci a capire. L’iconografia pittorica, per esempio, ci offre una sia pur pallida traccia di questa riconoscibilità. Egli viene ritratto, adesso sì, e in modi parecchio differenti. Ma sempre Lo riconosciamo. Napoleone lo riconosciamo perché ha un certo cappello o una precisa posizione del braccio, e poi di ritratti suoi ne abbiamo visti molti. Qui invece i dettagli esterni, che a volte sono inseriti di proposito per dirci “è Lui”, magari il Sacro Cuore, il Pane spezzato o la corona di spine, non sono indispensabili, Lo riconosciamo comunque.
E così tutti Lo riconoscono a Siviglia, benché passi tra loro senza dire una parola. Lo riconosce il grande inquisitore, immediatamente, e immediatamente Lo fa arrestare per condannarLo come eretico. “Tu non hai il diritto di aggiungere nulla a quello che hai già detto una volta”. Egli lo sa bene, ed in effetti non dice una parola e resta in silenzio anche con l’inquisitore; si limita ad un gesto: dopo averlo ascoltato a lungo, lo bacia “dolcemente sulle vecchie labbra esangui”.
Ma ecco che proprio la riconoscibilità può favorire l’inganno attraverso l’imitazione e ciò deve metterci in guardia. E’ facile confondere le acque sfruttando la somiglianza, facile far passare il male come bene, l’Anticristo come Cristo.
Orvieto ce lo insegna, in Duomo, con lo stupefacente affrescodi Luca Signorelli La predica dell’Anticristo, che mette in atto l’inganno e subito lo svela. Straordinario. E’ un dipinto in cui si affollano moltissimi personaggi, eppure immediatamente, ad uno sguardo superficiale e magari un po’ da lontano, scorgiamo, crediamo di scorgere Lui, Cristo, attratti da Lui benché non sia neppure al centro della scena. E’ vero, è posto su un piedestallo da cui deve predicare, ma si potrebbe benissimo confondere in mezzo a decine di altre figure. E comunque, il pittore ha voluto porlo su un piedestallo, e già questo ci suggerisce qualcosa a proposito della volontà di inganno, che diventa ben evidente man mano che ci avviciniamo. Guardiamo gli occhi di colui che per un attimo ci era sembrato Cristo e… no, non possono proprio essere i suoi, in essi c’è una luce sinistra e, cosa inquietante, sono occhi che non guardano. Ma poi? Chi sta ascoltando prima di fare la sua predica? A quanto pare è il diavolo, il suggeritore dei suoi discorsi. Dei discorsi e anche dei gesti. Addirittura ha la mano sinistra infilata nella manica della tunica a sostituire la sua mano. E anche il braccio destro ha qualcosa di innaturale, diabolico, appunto. Eccolo, non è Cristo, è l’Anticristo mosso dal demonio, un burattino letteralmente nelle sue mani.
Ce lo insegna, profeticamente, anche una straordinaria pagina letteraria. Ritroviamo molto di quanto ci dicono le immagini di Luca Signorelli nelle parole del Breve racconto dell’Anticristo di Vladimir Soloviev. Si tratta di un testo che l’autore scrive mosso da una particolare urgenza: “sento che l’immagine della pallida morte ormai non più tanto lontana mi consiglia sommessamente di non rimandare la pubblicazione di questo libro”. E’ la domenica di Pasqua del 1900, Soloviev ha 47 anni e morirà ad agosto dello stesso anno. Nell’Anticristo descritto in questo racconto ritroviamo tutta l’intrigante questione della somiglianza e del pericolo di confusione. Si tratta di un uomo ragguardevole che molti chiamano superuomo (notiamo per inciso che Soloviev conosceva le opere di Nietzsche). Egli è un convinto spiritualista, un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo. Grazie al suo genio eccelso, già a trentatre anni gode di una vasta rinomanza di grande pensatore, di scrittore e di riformatore sociale. E’ anche un esperto esegeta, la sua cultura biblica gli propizierà addirittura una laurea honoris causa della facoltà di Tubinga. E’ un eccellente ecumenista, capace di dialogare con parole piene di dolcezza, saggezza ed eloquenza.
Ma qui c’è una cosa piuttosto curiosa: fatta salva la differenza d’età, quella del racconto non a caso ci rimanda a Cristo, l’autore in questo ritratto, non sappiamo quanto consapevolmente, mette molto di se stesso.
Soloviev non era solo un geniale filosofo e uno scrittore di talento, ma anche uomo di grande mitezza e straordinaria generosità. Capitava che si spogliasse del cappotto e perfino delle scarpe se incontrava un uomo infreddolito per strada. Aveva un grande trasporto per le bellezze della natura e per gli animali che non sopportava di veder soffrire, tanto da non riuscire a cibarsi di carne. Si adoperò sempre, con i suoi scritti ma anche attivamente attraverso coraggiose prese di posizione, per la pace. Si pronunciò pubblicamente contro la pena di morte e, dopo l’assassinio di Alessandro II, indicò al nuovo zar il dovere cristiano del perdono, cosa che comportò per lui la perdita della cattedra. Lavorò costantemente per l’unità delle Chiese cristiane e per la fratellanza con gli Ebrei, oggetto di pesanti discriminazioni. Anche allora!
Quanta somiglianza, ma subito dopo quale sostanziale differenza! Esattamente come nell’affresco, un inganno per occhi superficiali ma non se si guarda in profondità. Ciò che è autentico in Soloviev è menzognero nell’Anticristo, definito anche uomo del futuro a sottolineare l’inevitabilità della sua venuta, o chissà della sua costante presenza mascherata nel mondo. Occorre guardarlo da vicino per accorgersi che i suoi occhi non sanno guardare altro o altri che se stesso.
“ non aveva per Cristo un’ostilità di principio. Gli riconosceva l’importanza e la dignità di Messia; però con tutta sincerità vedeva in lui soltanto il suo augusto precursore. Per quella mente ottenebrata dall’amor proprio erano inconcepibili l’azione morale del Cristo e la Sua assoluta unicità.”
E dunque non si rassegnerà ad ammettere che Egli sia risorto e oggi vivo. Non è risorto! Non è risorto! Esclama con rabbia. Unarabbia che aumenta quando Lo incontra e scorge in Lui un insopportabile sguardo di compassione.
Anche qui ad un certo punto compare il suggeritore, ben visibile, esattamente come nell’affresco. Ha occhi raggelanti che trapassano l’anima con un sottile insopportabile bagliore. Egli parla all’uomo del futuro con una voce gelida come quella di un fonografo “compi la tua opera nel tuo nome e non nel mio. Ti amo e non richiedo nulla da parte tua. Ricevi il mio spirito. Come prima il mio spirito ti ha generato nella bellezza ora ti genera nella forza. A queste parole egli ha provato la sensazione come se un getto pungente e ghiacciato penetrasse in lui e riempisse tutto il suo essere.” Ed eccolo infatti capace di ancor più grandi cose; in poco tempo scrive la sua celebre opera La via aperta verso la pace e la prosperità universale. “Tradotta nelle lingue di tutte le nazioni progredite e anche in alcune di quelle arretrate” si diffonde rapidamente in tutto il mondo, accolta con favore da tutti. Quasi tutti. Qualcuno sommessamente fa notare che nel libro non è nominato nemmeno una volta Cristo, ma subito i più ribattono che tutto il contenuto è permeato di spirito cristiano, ed è questo che conta.
Il discorso qui è tutto interno al Cristianesimo, ma è evidente che in gioco c’è la questione immensa e universale della Verità.
La Verità esiste. Possiamo discutere sulla maggiore o minore possibilità di conoscerla, su quanto possa essere pericoloso ritenersi possessori della Verità e volerla imporre. Ma il fatto che esista è indiscutibile.
Soloviev non ha dubbi sul fatto che la Verità sia Cristo. E i dubbi crollano all’improvviso, nella notte della sua conversione, per Pavel Florenskij, straordinario geniale presbitero cristiano ortodosso, martire delle purghe staliniane: nel suo scritto Ai miei figli in pochissime parole mette a fuoco il cuore della questione affermando “la Verità è irraggiungibile”e subito dopo “non si può vivere senza Verità”. Dostoevskij, legato da profonda amicizia con Soloviev, è invece uomo del dubbio, egli stesso si definisce tale. Tuttavia in lui è fortissima la necessità di fare leva sulla volontà anche contro le evidenze della ragione. “Perché non posso volere che due più due non faccia quattro?” leggiamo nei Ricordi dal sottosuolo. Ed egli vuole che la Verità sia Cristo. D’altronde la fede è tale proprio perché va oltre la ragione ed è, quella della fede, questione molto complessa: si può averla, oppure cercarla e magari non trovarla, oppure anche rifiutarla. L’esigenza di verità invece è profondamente radicata in tutti quanti gli uomini, di qualunque credo o di nessun credo, senza distinzione e senza confini di spazio o di tempo. Pensiamo ad esempio a Socrate e Platone, vissuti ben prima che Egli camminasse in mezzo agli uomini, nel loro contrapporsi, proprio in difesa della verità, ai Sofisti, che vantavano la capacità di dimostrare una tesi, come anche e con eguale efficacia la tesi opposta.
L’inganno sempre in agguato ci impone di tenere mente e occhi ben aperti. Come abbiamo visto, addirittura l’anticristo può assomigliare a Cristo e Soloviev può assomigliare all’anticristo. La via aperta verso la pace e la prosperità universale, la celebre e diffusissima opera del nostro uomo del futuro, e qui torniamo al Racconto,è appunto un caso di abilissimo inganno.
“E’ qualcosa che abbraccia insieme e mette d’accordo tutte le contraddizioni. Vi si uniscono il nobile rispetto per le tradizioni e i simboli antichi con un vasto e audace radicalismo di esigenze e direttive sociali e politiche, una sconfinata libertà di pensiero con la più profonda comprensione di tutto ciò che è mistico, l’assoluto individualismo con una ardente dedizione al bene comune, il più elevato idealismo in fatto di principi direttivi con la precisione completa e la vitalità delle soluzioni pratiche, Tutto questo risultava così unito e legato insieme con tale genialità d’arte che ogni singolo pensatore, ogni uomo d’azione, poteva facilmente scorgere ed accettare l’insieme soltanto sotto l’angolo particolare del proprio personale punto di vista […] Nessuno osa ribattere a questo libro che appare a ciascuno come la rivelazione della verità integrale”
Insomma, un vero e proprio equilibrismo relativistico capace di andare incontro alle più disparate convinzioni. Sì perché l’anticristo vuol piacere a tutti e ci riesce “quasi”. Affermare che tutto è vero è esattamente come dire che nulla è vero, la strada maestra che conduce dritti nell’abisso del nichilismo.
Ma quel “quasi” è lì ad illuminare l’inganno e a ricordarci che la Verità esiste. Irraggiungibile? La ragione può sempre solo inseguirla, meraviglioso compito. E poi c’è la fede, che è tutt’altra questione.