il 7 gennaio 1978, Roma, un poliziotto spara ad altezza d’uomo e ferisce alla testa il diciassettenne Stefano Recchioni, che muore due giorni dopo. Recchioni manifestava perché poche ore prima s’era verificata la strage di Acca Larentia: un commando di potere operaio aveva freddato a colpi di mitraglietta Scorpion  Franco Bigonzetti, 18 anni, e Francesco Ciavatta, 20 anni, militanti del Fronte della Gioventù. Siccome il quotidiano comunista “Il Manifesto” si batteva da sempre contro l’uso delle armi da parte della polizia nel corso delle manifestazioni, io, da liberalsocialista, scrissi proprio per quel giornale un articolo, che esortava a condannare senz’altro, senza distinzioni tra manifestante comunista o neofascista, chiunque pensasse che l’ordine pubblico si preserva sparando alla testa dei diciassettenni. La redazione del “Manifesto” si spaccò in due: una parte riteneva giusto, per coerenza con la campagna contro l’uso delle armi, pubblicare il mio pezzo; l’altra, era contraria, visto che la vittima era militante del MSI. Per la decisione, si attese l’arrivo di Rossana Rossanda, la quale, letto l’articolo, ebbe uno scatto d’ira, lo stracciò e urlò che ammazzare un fascista non è mai da condannare. E aggiunse che io dovevo essere certamente un camerata travestito da socialista. L’articolo, perciò, non fu pubblicato, la qualcosa mi confermò il dovere morale, prima che politico, dell’anticomunismo.