Il manifesto “liberale“ torinese dell’ avvocato Fulvio Gianmaria in gioventù iscritto alla Gli, ha  creato un po’ di confusione a livello locale e nulla di più. Miei amici romani con cui sono stato ieri a cena, non ne sapevano nulla. Per i non addetti andrebbe comunque fatta una lezioncina di ripasso sul liberalismo che viene  troppo spesso tirato in ballo non senza qualche ambiguità di fondo . Andrebbe  ovviamente in primis distinto il termine “liberale “ contrapposto a quello “ illiberale “ in senso molto lato; anche molti liberali senza virgolette sono “ illiberali “ e settari, come molti dei grigi firmatari torinesi del manifesto, che è una  apodittica dichiarazione anti- destra  che rivela anche  una certa ignoranza storica di fondo sulla cultura liberale. In primis andrebbe dimostrato che essere anti -destra  sia liberale. Ci sono anche gli anti- destra illiberali e perfino gli antidemocratici come i centri sociali e loro simpatizzanti. La destra storica erede di Cavour fu certamente liberale, come liberale fu la sinistra di Depretis, mentre quella di Crispi fu reazionaria e forcaiola ed anticipò la svolta reazionaria di fine ‘800, malgrado le origini mazziniane di Crispi. Andrebbe anche fatta una riflessione sulla parola liberal-democratico con o senza  trattino che fu oggetto di raffinate ed inutili discussioni nel passato.  Nei liberal-democratici rientrarono anche i repubblicani, malgrado i due La Malfa rifiutassero quella appartenenza che fu  solo  di Francesco Compagna, liberale e repubblicano, secondo il quale Pannunzio fu un “liberale duro e puro” e non un radicale. L’ondeggiante Spadolini fu anche liberale, ma con qualche contraddizione opportunistica. Pininfarina e Gawronski sono stati due deputati liberal-democratici al Parlamento come non fu neppure Bettiza. Una analoga riflessione dovrebbe riguardare Marco Pannella leader radicale profondamente liberale. I  pochi salveminiani superstiti sono oggi filo comunisti, socialisti, illiberali  e, a loro modo, dogmatici come il loro nume che definì Giolitti“ ministro della mala vita“. Un autorevole giornalista ha citato come appartenenti alla cultura liberal-democratica Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone che invece si possono definire liberal- socialisti o socialisti liberali ,anche se  ambedue vicini al PCI,  come lo fu Gobetti e  lo furono molti suoi seguaci. I gobettiani in genere come Franco  Antonicelli ( che finì l’attività politica come fazioso e insulso fiancheggiatore di “Lotta continua “) andarono tutti nel PCI : la sinistra indipendente – come mi disse Lucio Libertini con coraggio – fu indipendente da tutti salvo che dal PCI che faceva eleggere i vari intellettuali  comunisteggianti.

Gobetti stesso non fu mai veramente liberale perché la sua “Rivoluzione liberale“ fu un ossimoro: i rivoluzionari non sono mai liberali ,disse Carlo Dionisotti, ma sono sempre giacobini e i liberali non sono mai rivoluzionari, ma riformisti o conservatori. Forse queste cose quasi tutti i cento firmatari torinesi non le sanno. Essi non dovrebbero ignorare che i grandi liberali furono Cavour, Minghetti, Lanza, Giolitti, Soleri, Croce ,Einaudi, Malagodi, Pannunzio,  Matteucci, Leoni, oltre a Popper e agli Austriaci. Spesso siamo ancora fermi alle giravolte di Francesco Forte, socialista con conversione berlusconiana  o altre corbellerie del genere. Nei berlusconiani gli unici liberali sono stati Antonio Martino, Alfredo Biondi e  Giuliano Urbani, mentre nella sinistra stento a riconoscere dei liberali.  Questa è una realtà oggettiva che attende smentite perché i Liberali veri non presumono di possedere la verità.