Gad Lerner, approdato al “Fatto “perché ha rotto con Molinari e “Repubblica“, adesso si esercita a scrivere su Montanelli dopo che il suo nuovo direttore lo ha difeso, citando perfino Angelo Del Boca, che ha detto che un vero razzista non avrebbe mai sposato una donna africana.
Lerner giunge a scrivere che Travaglio stesso è l’erede di Montanelli. E lo stesso Travaglio credo pensi di esserne l’erede.
La realtà è ben diversa perché l’esperienza della “Voce “ fu una parentesi non fortunata di Montanelli, in cui prevalsero i giacobini alla Travaglio, sempre combattuti dal maestro: un giornale nato male e vissuto peggio, che Montanelli decise di chiudere per tornare ad un ”Corriere della Sera“ mutato rispetto a quando lo aveva lasciato, sbattendo la porta.
Posso testimoniare che quando Montanelli ricevette il Premio Pannunzio nel 1991, a Torino si fece accompagnare solo da Paolo Granzotto e non volle nessun altro, anche se dalle fotografie scattate ai tavoli del ristorante scoprii, anni dopo, che ad un tavolo dietro una colonna del Ristorante “Arcadia“, in fondo alla sala si era imbucato un giornalista non invitato e che allora nessuno conosceva: il giovane, futuro direttore del “Fatto“.
Montanelli che io conobbi nel 1987 e che invitai a parlare nel 1988, per ricordare Pannunzio nell’Aula del Consiglio Regionale del Piemonte, mai mi parlò di altri giornalisti. Solo una volta mi parlò’ – molto male – di Marcello Staglieno, destinato dopo anni a diventare mio amico. Montanelli criticò‘ Staglieno, non immaginando cosa farà a capo della cultura del “Giornale” Caterina Soffici, una vera e propria infiltrata di sinistra.
In realtà nessuno può pretendere di essere il continuatore di un fuori classe come Montanelli o come Pannunzio.
Basterebbe pensare ai giudizi severissimi che Indro espresse sulla Magistratura, per rendersi conto che mai avrebbe potuto condividere la concezione barbara della Giustizia esibita dal “Fatto”come un marchio di fabbrica inquisitorio e profondamente illiberale. Appare strano come abbia fatto un uomo come Giovanni Arpino a raccomandare Travaglio con Montanelli. La vedova di Arpino non riuscì mai a capacitarsi dell’abbaglio del marito.
Montanelli fu unico ed irripetibile come lo fu Pannunzio e gli imitatori devono rassegnarsi a ruoli marginali.
E’ la stessa cosa che accadde con Bobbio che non ebbe l’arroganza di creare una sua scuola, una scelta che rivela la sua grandezza e la sua superiorità, come evidenziò Marcello Gallo. I presunti bobbiani o continuatori si rivelarono subito inadeguati rispetto al maestro e finirono nell’oblio.
Gad Lerner, dopo aver insultato Montanelli, sembra fare un po’ di marcia indietro, perché il suo nuovo fondatore e direttore si ritiene un montanelliano doc o addirittura il nuovo Montanelli.
Lerner gli antepone però Giorgio Bocca perché, pur essendo stato fascista, fece il partigiano, ma qui si tratta non di valutare l’antifascismo resistenziale (Montanelli fu comunque incarcerato a San Vittore), ma il giornalismo, ed è fuor di dubbio che Montanelli sia stato superiore a Bocca, che specie negli ultimi anni si rivelò faziosissimo.
La statua di Montanelli viene difesa persino dal Predidente milanese dell’Anpi, anche se bisognerà attendere l’Anpi nazionale, che dantescamente “giudica e manda“ all’inferno i reietti che non si uniformano alle sue ideologie e alle sue vulgate.
“La stampa“ ha relegato in un piccolo pezzo, con una piccolissima fotografia la notizia dell’ imbrattatura del monumento a Montanelli che – apprendiamo – sul
piano estetico non piace a Travaglio, ma incontra i gusti di Lerner. Una scelta simile a quella che fece quel giornale quando venne ferito dalle BR Montanelli e la notizia venne derubricata come il ferimento di un giornalista anonimo. Un errore che il direttore Arrigo Levi riconobbe, quando lo invitai a ricordare Carlo Casalegno al Liceo d’Azeglio.
Imbrattare con vernice rossa Montanelli ci fa riandare ad un clima che non avremmo voluto rivivere. Quello dell’ intolleranza becera del ‘68, dell’autunno caldo e dei primi Anni 70. Poi arrivò il terrorismo. Speriamo che si fermino alle parole e alla vernice. Certo, sono degli strani antirazzisti che praticano la violenza delle parole e dei simboli per affermare le loro idee, ammesso che ne abbiano.
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