Cento anni fa -il 19 agosto 1923- moriva in Svizzera, nel piccolo centro di Celigny, Vilfredo Pareto , un personaggio eclettico che mi ha sempre affascinato, perché “uomo dai molteplici interessi” (così lo definì John Kenneth Galbraith) e punto di riferimento più che mai attuale per gli studi di economia, sociologia, matematica e scienze politiche. Figlio di un nobile genovese, il marchese Raffaele Pareto, Vilfredo nacque a Parigi quando il padre si trovava esule in Francia a causa delle sue simpatie mazziniane. Già nel 1852 la famiglia poté rientrare a Genova, dove Raffaele insegnò francese alla Regia Scuola della Marina. Dopo una breve parentesi a Casale Monferrato, nel 1861 la famiglia si trasferì a Torino ( in via delle Orfane 6) perché Raffaele aveva ottenuto l’incarico di preparare, per conto del Ministero dell’Agricoltura, la legge sulle bonifiche. Ed è a Torino dove Vilfredo completa la sua formazione: dapprima con la licenza tecnica (1864), poi con la laurea in scienze matematiche e fisiche (1867) e infine diplomandosi ingegnere a pieni voti, con una tesi sulla teoria della elasticità dei corpi solidi e sull’integrazione delle equazioni differenziali che ne definiscono l’equilibrio. Suo compagno di corso fu Galileo Ferraris di cui diventò grande amico.
Vilfredo Pareto è noto soprattutto per l’elaborazione del cosiddetto “elitismo“: con i suoi saggi «Les sistèmes socialistes» (1902 1903), «Manuale di economia politica» (1906) e nel «Trattato di sociologia generale» (1916) fu il primo ad introdurre nel linguaggio scientifico, sociologico e storico politico il termine «élite». “Facciamo dunque una classe di coloro che hanno gli indici più elevati nel ramo della loro attività, alla quale daremo il nome di classe eletta (élite)-scrisse– precisando, però, che questa non è immutabile e fissa, anzi non può durare oltre un certo periodo e ben presto sparisce dalla scena della storia.” .
Ad ulteriormente definire l’importanza del concetto di “classe” in politica, contribuirono poi Gaetano Mosca e diversi studiosi non solo italiani. Il filosofo americano James Burnham in un libro, significativamente intitolato «The machiavellians», diffuse la teoria dell’elitismo dedicando interi capitoli a Pareto, a Mosca ed a Michels.
Raccomandato da Maffeo Pantaleoni, andò ad insegnare a Losanna, dove si stabilì, insegnò e diresse corsi di Economia e Sociologia. L’evoluzione dei suoi studi fondati sul rigore matematico del liberismo economico, lo portò empiricamente a trovare sbocco verso la sociologia politica, cosa che lo rese assai critico verso le teorie egualitarie del socialismo. Joseph A. Schumpeter rilevò come l’economista italiano, secondo lui con qualche eccesso, fosse coerente con la sua visione di una società liberale di individui contrapposta alla società massa.
Pareto, che era un autentico liberale (fu anche fondatore della società “Adam Smith“) ebbe occasione di incontrare per la prima volta a Torino il 22 aprile 1922 un giovane Luigi Einaudi, in procinto di assumere, qualche settimana dopo, l’incarico di docente di Scienza delle Finanze all’Università. Il futuro Presidente della Repubblica ne rimase affascinato, e in diversi suoi scritti traspare una certa ispirazione al suo pensiero.
Vilfredo Pareto, nonostante il carattere difficile e la sua vena polemica, godeva della stima e dell’amicizia di personaggi della levatura di Gaetano Salvemini, Napoleone Colajanni, Georges Soriel, Adrien Naville e John Mainard Keynes con il quale (forse l’unico intellettuale italiano) tenne un costante rapporto epistolare.
Anche per Pareto, come per Mazzini c’è sempre qualcuno che ha avuto modo di adattare il suo pensiero ai propri proclami: per entrambi l’esempio principe fu Mussolini, ma solo un paio d’anni or sono, ad un Congresso conservatore, il controverso Boris Johnson si riferì a Vilfredo Pareto accostandolo a Margaret Thatcher.
Viene spontaneo chiedersi perché in occasione del centenario non siano previste iniziative di studio e di commemorazione per una figura così importante. Proprio cinquant’anni fa un lettore svizzero, il signor Paul Leroy, scrisse a Indro Montanelli da Ginevra per chiedergli come mai l’Italia non avesse degnamente commemorato il cinquantenario della morte di Vilfredo Pareto, “il più grande pensatore — sosteneva — che il vostro Paese abbia dato alla cultura europea. A che cosa è dovuta questa dimenticanza? Al fatto che Pareto passa per un precursore del fascismo, o al complesso di colpa che provate nei suoi riguardi per averlo sempre misconosciuto e costretto, per avere una cattedra universitaria, a venirsene in Svizzera?”. Nella sua rubrica “Controcorrente” pubblicata da “La Stampa” il 9 dicembre 1973, il grande giornalista espresse poca benevolenza verso Pareto (infatti titolò la rubrica “Pareto l’Antipatico“), però riconobbe che una qualche iniziativa sarebbe stata opportuna. Sarcasticamente volle ipotizzare che questo fosse dovuto a un motivo più prosaico di quelli immaginati dal suo corrispondente: e cioè al fatto che la ricorrenza cadeva in pieno Ferragosto, “quando gl’italiani –scrisse– sono impegnati fino al collo nella più sacra delle loro attività: il riposo. Questi pensatori, santo Dio, dovrebbero pensare anche a morire in stagioni che alle ricorrenze si prestino…“, poi però aggiunse: “Pareto fu senza dubbio un grosso cervello, e la cultura accademica dell’Italia democratica commise un grave errore, oltre che una pesante ingiustizia, a disconoscerlo. Non fu il solo caso, del resto: anche Guglielmo Ferrero fu costretto a cercarsi una cattedra in Svizzera perché in Italia la camorra universitaria gliene sbarrò il passo… Anch’io ritengo che su Pareto seguiti a pesare l’ombra del fascismo. E questo, lo riconosco, è abbastanza idiota. E’ vero che Mussolini disse più tardi di essersi formato sui suoi testi e sulle sue lezioni. Ma le lezioni pare che le abbia seguite a spizzichi e bocconi nella sua breve parentesi elvetica; e quanto ai testi, Mussolini non aveva l’abitudine di leggere, ma solo di leggiucchiare: esercizio a cui i lavori scientifici di Pareto si prestavano poco“.
La Fondazione Luigi Einaudi di Torino ricorda sul sito istituzionale che nel suo Archivio storico sono conservate lettere, documenti e immagini di Vilfredo Pareto in tre fondi diversi (quelli appartenuti a Luigi Einaudi e a Roberto Michels, con i quali intrattenne rapporti, e quello di Giovanni Busino, che curò l’edizione delle sue Oeuvres complètes). Purtroppo Giovanni Busino, che è stato il più grande studioso di Pareto, è mancato lo scorso anno e noi sappiamo che la ben finanziata Fondazione (da non confondere con il “Centro” Einaudi sempre attivo nel capoluogo subalpino) raramente si palesa al popolo con iniziative di divulgazione, uscendo dal comodo e prestigioso Palazzo d’Azeglio dove ha sede. Preferisce qualche passerella quando personalità come i Presidenti della Repubblica vengono a Torino per commemorare il loro illustre predecessore…. ma chiudo qui la valanga di osservazioni che ci sarebbero da fare su paludate istituzioni culturali torinesi, ben finanziate e adeguatamente collocate in prestigiose sedi storiche,ma decisamente carenti nell’opera educativa . Esse rappresentano la parte più negativa di quell’elitismo così ben rappresentato da Pareto: “L’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge per molti è un dogma; ed in tal caso sfugge alla critica sperimentale – scrisse nel suo “Manuale di economia politica con una introduzione alla scienza sociale- Ma, se ne vogliamo discorrere scientificamente, vedremo tosto che non è punto evidente a priori che tale eguaglianza debba essere di vantaggio alla società; anzi, considerando l’eterogeneità della società stessa, il contrario pare più probabile.”
Vilfredo Pareto merita ben più del poco spazio al quale abbiamo voluto dedicare queste righe. Ma il 2023 non è ancora passato… Chissà!