Il capo di “Tuttolibri” deve avere una nave di coraggio a pubblicare l’articolo di Carlo Formenti  sul settimanale de “La Stampa” (22 maggio 2023, p. XIX). Crede che siamo nel 1968 e non nel 2023. A leggere la presentazione dei volumi intitolati “Ontologia dell’essere sociale” di Gyorgy Lukacs – quattro volumi per la modica somma di 120 euro – si rimane basiti. Non sapevo fino ad oggi chi fosse Formenti, ma adesso apprendo che si tratta del curatore, autore della prefazione e presentatore: tre cariche incarnate in un’unica persona per rendere nota l’opera di Lukacs, che da giovane “si convertì al marxismo”, come se la teoria elaborata da Marx fosse una nuova religione. Come se non bastasse, più avanti, considera la sua opera come “un faro del pensiero rivoluzionario marxista” per avere enunciato il “concetto di lavoro” ed avere scoperto che esso è “l’unico ente capace di imprimere un orientamento teleologico al processo storico”. Perbacco – bisogna dire – ci voleva Marx e il suo epigono Lukacs e l’epigono del suo epigono per sapere che il lavoro è il motore principale dell’attività umana. Almeno così dovrebbe essere dal momento che chi lavora poco o non lavora affatto gode i frutti del lavoro altrui. La conclusione induce ad una seria riflessione, se si pensa al ruolo ancora attribuito alla classe operaia come “classe sociale” deputata a “rappresentare gli interessi della società nel suo insieme”. Ma non manca il finale ancora più drastico, là dove Formenti attribuisce al filosofo ungherese “una grandezza di pensiero”, grazie al quale “potrà rinascere un marxismo occidentale”.