Cosa può collegare la lettura del primo romanzo di Mara Antonaccio Io non ti voglio più pubblicato nel 2020 (Gian Giacomo Della Porta ed.)  con il primo romanzo scritto da una donna nel Rinascimento, quando ancora il genere non si era consolidato? Eppure un filo solidale collega a mio avviso le due opere: Giulia Bigolin (Bigolina come prevedeva l’usanza del tempo) era una dotta poetessa originaria di Padova dove era  nata intorno al 1518 e proveniente da famiglia di antiche origini. Sposata con  un professore universitario e figlia di un legislatore che intratteneva rapporti di studio e di amicizia con alcuni tra i più illustri esponenti della cultura padovana e nazionale dell’epoca, fu  autrice di  poesie e novelle molto apprezzata. La sua fama tuttavia si spense con la sua morte e solo  a fine ‘700 alcuni suoi lavori furono rivisitati e ripubblicati. Alla fine degli anni ’90 presso la Biblioteca Trivulziana di Milano, Valeria Finucci, docente di letteratura italiana alla Duke University del North Carolina, ha recuperato il manoscritto dell’unico romanzo di Giulia Bigolin, Urania, pubblicato poi da Bulzoni. Urania rappresenta per l’epoca una donna rivoluzionaria che rompe con la tradizione ribadendo l’importanza dell’istruzione come unico mezzo per raggiungere traguardi paritari con gli uomini e rivendicando l’uguaglianza tra i sessi, obiettivo anticipatore  per quei tempi. Il romanzo racconta la storia di un amore non ricambiato tra l’omonima protagonista, colta e intelligente,  e Fabio, innamorato di un’altra, bella ma insignificante. Per il dolore, Urania decide di fuggire travestita da uomo da Salerno alla Toscana e nella fuga incontra un gruppo di cinque donne con le quali discute quali dovrebbero essere le regole dell’amore; successivamente si imbatte in cinque uomini e dialoga con loro dell’educazione maschile e femminile, che non favorisce il progredire culturale delle donne in ambiti quali la letteratura e le scienze. Mara Antonaccio è biologa nutrizionista, giornalista, scrittrice, attivissima e competente, non lesina impegno ed è costantemente alla ricerca di nuovi ambiti in cui mettere alla prova la propria grande vena creativa e l’incontestabile  propensione affettiva: figli, matrimoni, professioni. Anche la protagonista del suo libro, Eugenia,  è a  suo modo donna rivoluzionaria che ribadisce l’importanza dell’istruzione, delle competenze, della libertà inventiva, ma che, a differenza di Urania, non propugna l’uguaglianza tra i sessi per raggiungere gli stessi traguardi degli uomini, bensì la necessità di cogliere ciò che è davvero esaltante per donne e uomini oggi: la differenza di approccio, di sensibilità, di attitudini nella consapevolezza che non siamo simili, fortunatamente, che il piacere della scoperta l’uno dell’altro è solo in questo modo assicurato, che i paradigmi della supposta superiorità maschile inevitabilmente si sfaldano alla luce delle acute considerazioni nelle pagine dell’autrice, lucide e pungenti. Ebbene, proprio nell’intento comunicativo e negli spunti di riflessione che si offrono ai lettori si inserisce ciò che a mio avviso collega i due lavori: Nel romanzo di Mara Antonaccio l’obiettivo è una rivisitazione, in gran parte autobiografica, della propria vicenda personale passata attraverso grandi storie d’amore  che alternano momenti aurorali di esaltazione del cuore e delusione per la loro fine, tra incomprensioni e desideri di evasione da rapporti ormai costrittivi. Nello stesso tempo l’analisi delle cause dei fallimenti di storie nate dall’entusiasmo e dalla caparbietà di averle volute e raggiunte, si alterna, nella protagonista Eugenia, alla considerazione del proprio aspetto fisico, che esula dai canoni di bellezza imposti della normalità, privilegiato metro di misura odierno per stabilire il valore di un essere umano. Non solo: proprio partendo da una condizione di diversità rappresentata dall’obesità sin dall’infanzia, Eugenia reagisce  alle imposizioni culturali vigenti con grinta  e senza alcuna sudditanza verso chicchessia, manifestando  il desiderio di affermazione in tutti gli ambiti dove era possibile eccellere, così da dimostrare, grazie all’intelligenza e alla volontà, la possibilità di indagare, di appropriarsi di ambiti non prettamente femminili, portando avanti quotidianamente le fila parallele di una casa, di quattro  figli, di amori tormentati e di professioni diversificate,  ricche di soddisfazioni.. L’obiettivo è dimostrare la vacuità delle ipotesi di giudizio che ciascuno applica all’altro quando i criteri di normalità si scostano dai parametri imposti da una cultura dominante e pervasiva, valorizzare la bellezza dell’impegno professionale e la gioia che deriva da un lavoro ben fatto, analizzare le spinte che concorrono a costituire la diversità di genere: Giulia si distinse in quanto in grado di superare i canoni imposti e riservati alle donne, argomentando sulle possibili alternative, Mara applica a se stessa ogni possibile sfida dove dimostrare la sua capacità, il suo approccio diverso e vincente. La sua  protagonista vive in prima persona accadimenti, avventure e sentimenti e si confronta con sé stessa in un costante dialogo interiore, anzi in un vero corpo a corpo, tanto è viva e presente la fisicità, la sensualità, il gusto della vita che passa attraverso un piacere a tratti incontrollabile di cibo, una fame di riconoscimento e d’amore per placare ferite non ancora rimarginate e allontanare l’altrettanto invadente stimolo a diete e interventi tormentosi. E con il lettore, uomini e donne, ingaggia una costante sollecitazione, suggerisce esplicite domande: Cosa ci rende preferibili? Un corpo snello o la ricchezza interiore?  Cosa ci induce a scegliere l’altro? Elaborate considerazioni che crediamo autonome o il nostro DNA e poche molecole che fanno il loro lavoro, indipendentemente dalla nostra volontà? Cosa fa la differenza tra uomo e donna? Urania  discute d’amore con cinque donne e cinque uomini interrogandosi sulla verità di ruoli prefissati e inadeguati per vive intelligenze che vogliano applicarsi a settori diversi dalle pratiche domestiche e manifestarsi invece in ruoli non convenzionali, Eugenia, non a caso “la ben nata”, a sua volta si interroga sui fondamenti e i limiti di rapporti di coppia  che nascono per voler essere paritari, ma che si scontrano con stereotipi interiorizzati e solo superficialmente, quando non opportunisticamente, sconfessati. A distanza di cinque secoli, un manoscritto recuperato e riportato in vita, pur con tutte le limitazioni proprie dell’epoca, può essere accostato alla vena fertile di una scrittrice contemporanea che non teme di mostrarsi controcorrente, né di palesare le proprie fragilità nella ricerca di un dialogo che invita a riflettere sulle vere spinte che ci inducono al legame sentimentale, a ciò che può consentire di mantenerlo vivo, soddisfacente, aldilà degli autoinganni e soprattutto nel rimescolamento di ruoli e consuetudini: intelligenza affettiva, emozionale, da applicarsi ad entrambi i sessi, uno spiraglio verso la fine dei cliché che costringono, soffocano e limitano la manifestazione di uno spirito libero che vuole volare alto. Aldilà della diversità di contesti, epoche, stili, va sottolineato a mio avviso l’intento che accomuna i due lavori: lo strumento romanzo per appagare una sete di libertà e di affermazione nella consapevolezza dei propri meriti e talenti, un dialogo aperto con i lettori per partecipare le proprie tesi ed esperienze, da condividere come materiale di riflessione. In altre parole: due donne ben consapevoli di sé. Vi pare poco?

“Io non ti voglio più” – Mara Antonaccio – Gian Giacomo della Porta Editore