Non sono un suo acceso ammiratore, e non voglio esserne nemmeno un accanito censore, ma da modesto operatore del Diritto qual sono, vorrei cercare di fare chiarezza, non senza molti spunti critici, relativamente l’attività più rilevante da questi effettuata, ovvero la riforma relativa alla prescrizione penale.
La volontà di andare ad innovare la materia, nasce quasi sicuramente da un’esigenza “europeista”; dal dibattito giuridico-politico in sede europea che spesso ha visto censurare l’Italia per le lungaggini processuali che hanno causato scarcerazioni illustri per decorrenza di termini, arrecando danno anche all’economia continentale.
Dopo le varie sentenze Alicaij e soprattutto Cestaro (relativa ai fatti del G8 del 2001) che hanno visto sanzionare l’Italia per la scarcerazione per avvenuta prescrizione di presunti colpevoli, ha fatto storia la nota sentenza Taricco, con la quale nel 2015 la Corte di Giustizia Europea dichiarava l’incompatibilità del sistema prescrittivo italiano con il diritto comunitario europeo, nella previsione di termini massimi di alcuni atti interruttivi, un dato quest’ultimo, che determinava l’impunità delle frodi in materia europea, comportando un evidente danno finanziario all’Unione.
Orbene, relativamente a tutto quanto riportato, l’intervento del ministro non è da considerarsi inopportuno. Tuttavia, nel disciplinare la materia, egli si è mosso con la leggiadria di un elefante in una cristalleria, adottando le soluzioni più semplicistiche che hanno in parte anche leso il forse più importante principio del diritto nostrano, ovvero quello della certezza del diritto, che non sta solo nell’individuazione del reato e nella previsione ed applicazione della pena, ma anche nella previsione di un termine da applicarsi ad un procedimento giudiziario. Tanto da aver costretto il premier Conte ad un (opportuno) intervento correttivo, con il cosiddetto Lodo Conte Bis.
Bonafede con la sua riforma, ha probabilmente voluto uniformarsi alla normativa del paese traino dell’Unione Europea, la Germania, che di fatto in materia penale limita tantissimo l’efficacia della prescrizione; non entro nel dettaglio per non tediare il lettore, valga però evidenziare come la stessa opererebbe in tale paese in maniera assai marginale se fosse strutturata come quella italiana pre-Bonafede, essendo la durata media dei processi penali in terra tedesca quattro volte inferiore a quella italiana.
Cosa aveva previsto il ministro? Semplice, la sospensione dei termini prescrizionali dopo la sentenza di primo grado. Con buona pace dei vari imputati che avrebbero vissuto anni, se non decenni con la spada di Damocle di una sentenza pendente sulla loro testa. Questa è tortura e non giustizia.
Con il lodo Conte Bis si è parzialmente ovviato a questa (s)tortura. La prescrizione si interromperebbe solo se la sentenza di primo grado sia stata di condanna, risparmiando il supplizio a chi sia stato dichiarato innocente dal Tribunale. Certo ci aspettano calcoli complicati sui termini prescrizionali quando l’assoluzione intervenga in appello, prima di una eventuale Cassazione, e dopo una sentenza di condanna in primo grado.
Tuttavia, seppur limati gli angoli, non credo sia questa la strada da seguire, anche perché di fatto otterrebbe il risultato opposto a quello voluto in sede europea: ovvero l’ulteriore allungarsi dei processi, senza l’ombra della prescrizione a far correre i magistrati. In Europa interessano poco le prescrizioni mentre si vogliono processi più brevi (si badi bene brevi, non sommari) e possibilmente con l’applicazione di un principio spesso poco applicato in Italia, pochissimo dalla giustizia penale in ambito tributario, ovvero quella della presunzione di innocenza e non quello della presunzione di colpevolezza fino ad evidente prova contraria. Un Pubblico Ministero che ottiene la condanna di un innocente non vince una causa, ma perde due volte. Sul piano giuridico e su quello umano.
Non è dunque la strada intrapresa da Bonafede quella giusta. Serve invece rimpolpare le fila dei magistrati. Nuovi concorsi che vadano a coprire la carenza di Giudicanti, in modo che si vada ad invertire la tendenza alla depenalizzazione selvaggia volta ad alleggerire i carichi di lavoro dei magistrati che poi portano alla maturazione delle varie prescrizioni.