D’accordo, l’anno dantesco è ormai andato, ma ci sono casi in cui si sconfina volentieri. Le ricorrenze possono moltiplicare la nostra attenzione, e ben vengano, ma non andiamo troppo per il sottile. Dante è senza tempo, per tutti i tempi e per ogni spazio, insomma universale. Quindi anche per il Piemonte e la Liguria che ospitano in varie località  incontri dal titolo “Dell’Arte Contagiosa” spettacolo artistico-teatrale dedicato a Dante Alighieri e al suo viaggio nel mondo ultraterreno” e lo fanno ad anno dantesco concluso.

Seguendo questa logica, ci permettiamo di andare indietro di cento anni nel tempo e lontanuccio nello spazio, precisamente nel 1921 in Russia, per accorgerci di un grandissimo interesse là per il nostro  Sommo Poeta, ma ancor più per soffermarci su una mente davvero sorprendente. Quella di Pavel Florenskij, genio santo e martire. Ucciso, non solo lui lo sappiamo bene, nel tragico 1937, anno della massima repressione staliniana. Ucciso perché? Perché era un sacerdote, quindi per definizione un nemico della rivoluzione. Perché era uno straordinario scienziato e, nonostante ciò, credeva in Dio. Assurdo. Perché affermava e scriveva cose inaccettabili per il regime. Per esempio, nel 1921 in occasione dei Seicento anni dalla morte di Dante, in un testo dal titolo “Gli immaginari in geometria” dimostrava che l’universo rappresentato nella Divina Commedia anticipava  in modo geniale le allora recentissime teorie della relatività di Einstein. Un doppio peccato contro il regime: Florenskij si permetteva di rivalutare l’oscuro Medioevo e di prestare attenzione alle assurde convinzioni (pseudo)scientifiche dell’oscurantismo borghese. In realtà la sua fu una luce sbalorditiva sull’opera del Sommo Poeta. In estrema estremissima sintesi, la Divina Commedia ci cala nelle geometrie non euclidee e in un universo dalla forma incredibilmente affine ad una ipersfera o 3-sfera, esattamente come ipotizzato da Einstein .

L’intuizione artistica sa cogliere il mistero in maniera mirabile ed è in grado di vedere cose che con fatica e attraverso percorsi tortuosi la scienza riesce gradualmente ad avvicinare. La grande scienza non può che sposarsi con una capacità di sguardo poetico ed è ben lontana dalle visioni miopi a cui spesso portano certe tendenze alla eccessiva specializzazione, importantissima certo in molti casi, ma che rischia l’aridità se non sa porsi in relazione con il Tutto

Straordinario Dante, nessuno oserebbe metterlo in dubbio, anche per le sue intuizioni scientifiche che dopo Florenskij sono state confermate da altri autorevolissimi fisici, tra cui il nostro Carlo Rovelli, autore di un libro dal suggestivo titolo “La realtà non è come appare”.  Egli afferma che la struttura dell’universo descritta nel Paradiso è la stessa suggerita da Einstein ed è coerente con le più recenti teorie cosmologiche. Ma vogliamo anche dire quanto straordinario fosse Padre Pavel Florenskij? Egli, nel 1921, quasi quarantenne, piuttosto giovane secondo i nostri canoni odierni, padroneggiava le teorie più innovative della fisica, comprese quelle del suo contemporaneo Einstein, era in grado di leggere ed esplorare in profondità la Divina Commedia, e un sacco di altre cose oltre quelle che qui ci interessano. Vorremmo aggiungere però almeno un tassello. Florenskij sostiene che la pittura medioevale, in particolare quella delle icone, non si pone il problema della prospettiva tirannicamente limitata ad un unico punto di vista, non certo per ingenuità o incapacità, quanto piuttosto perché ha una visione che ha lo scopo  di sollevare la coscienza al di sopra di ciò che è percepibile dai sensi. Insomma, qui è chiara la parentela con ciò che fa Dante con la sua immaginazione che tanto si rivela vicina alla verità. “Squarciando il tempo, dunque, la Divina Commedia finisce inaspettatamente per trovarsi non indietro, ma avanti rispetto alla scienza nostra contemporanea”.  Così Florenskij conclude il suo saggio e così ci suggerisce che Dante, come tutto ciò che è Bellezza, sopravanza e anticipa ogni visione puramente meccanicistica.