Don Lorenzo Milani fu un grande educatore perché seppe mettersi in mezzo ai suoi studenti, rinunciando alla pretesa di farne dei discepoli. Era un sacerdote e probabilmente sapeva che la predica va bene in chiesa, non a scuola.

Era proprio questo il punto dolente della scuola italiana dell’epoca in cui don Milani insegnò con l’esempio a insegnare a tanti professori e professoresse generosi e generose di raccomandazioni, di consigli, di ammonimenti, di minacce (ti boccio!), tutte cose che servono assai poco. Soprattutto non servono a quegli studenti che, poveri e figli di emarginati, non avevano e non hanno neanche oggi dalla scuola la giusta soddisfazione di “crescere”, imparando a relazionarsi con gli altri, preparandosi così ad affrontare la vita che li aspetta.

Io non so a chi don Milani si ispirasse. Forse più che a don Bosco potrebbe pensarsi a don Filippo Neri. Ma quello che sicuramente colpisce è la consapevolezza di quanto assai poco educativo fosse il pensiero che “fatta l’Italia, si dovessero fare gli italiani”. Gli italiani già c’erano, bisognava capirli e accettarli. Non farlo fu l’errore della scuola pubblica italiana sia liberale, sia fascista, sia democristiana. Non si tratta di ficcare nella testa dei bambini idee giuste, rimuovendone, se ci sono, quelle sbagliate. Le idee preconfezionate non diventano valori, perché, calate dall’alto, offendono la mente e, se malaguratamente lascino un’eco nell’indottrinato, ne induriscono il cuore. Bisogna parlare e scrivere non agli studenti, ma con loro, altrimenti il loro vocabolario che è povero, resta povero, mentre bisogna che si arricchisca.

È una visione assai concreta di politica culturale, che non è orientata alle istituzioni e neppure alle famiglie ma direttamente agli studenti, agli utenti reali di un servizio sociale dovuto in un paese civile. A questo bisogna mirare fin dalla scuola primaria, considerando che i bambini non hanno alcuna idea delle istituzioni e qualcuno non ha neppure una famiglia. Però vive in questo mondo ed è comunque una persona.

Ancora oggi io credo che chiunque insegni, farebbe bene a leggere (mi correggo, a rileggere) un libro come Lettera a una professoressa.