Spettabile redazione, leggendo sul nostro magazine gli articoli  sulla legislazione dell’interruzione di maternità vedo che tutti, pur con diversi punti di vista, impostano la problematica sul piano etico: l’aborto è proprio un diritto?  prevale il diritto della donna o quello del  nascituro ? in quale settimana arriva l’anima? Così posto credo che il problema  sia insolubile. Propongo da liberale un altro criterio per impostare la questione. Lo stato, se è laico, dovrebbe astenersi per quanto possibile dalle questioni etiche. Dovrebbe, nei limiti del possibile,  essendo  la politica  l’arte del possibile e non del giusto, regolamentare la realtà nel modo più razionale, più equo ed assennato possibile minimizzando i disagi e le limitazioni alle libertà dei cittadini.  La realtà è che l’interruzione della  maternità è, purtroppo, una pratica sovente richiesta e praticata. Vietare tale pratica porta inevitabilmente alle seguenti conseguenze: chi ha molti soldi va all’estero, chi ne ha meno va in ambulatorio da un ginecologo con pochi scrupoli e peggior attrezzatura, chi ne ha ancora meno deve rischiare ed andare dalle praticone di periferia e se ci sono problemi  “le poverette” sono pure criminalizzate perché hanno commesso un reato. Consentire tale pratica, nei giusti limiti (certo non all’ottavo mese), consentirebbe di evitare disagi anche gravi, eventuali lesioni permanenti a future mamme e soprattutto consentirebbe di assistere ed aiutare  preventivamente donne in difficoltà. Penso che così posto, il problema potrebbe essere facilmente regolamentato e risolto. Il guaio è che siamo un popolo, non di poeti e navigatori, ma di credenti. Anche i sedicenti laici, detrattori della religione,  sono in realtà più credenti dei devoti di San Gennaro e i credenti, naturalmente in buona fede, si sentono in dovere di imporre il loro bene a tutti.