Uscendo dal convegno del Centro Pannunzio, dedicato allo storico del Fascismo Renzo De Felice, ho pensato: “ci risiamo!” poi, frenando la mia impulsività, ho ragionato che non si voleva parlare dell’opera di De Felice bensì dello studioso. Certo, è già importante che almeno si parli del più grande e internazionalmente apprezzato storico del Fascismo, tuttavia ritengo sarebbe ora di entrare nel merito dei contenuti della sua biografia mussoliniana, perché è proprio su questa che non si vuole, o non si ha fino in fondo il coraggio di dibattere. Tornando al dibattito: In particolare la presenza di uno storico della portata di Dino Cofrancesco, che da sola mi aveva convinto alla partecipazione, è stata per me una delusione, non per l’intervento anche spiritoso di uno dei pochi che abbia frequentato De Felice, quanto par la leggerezza del suo intervento, dal momento che mi sarei aspettato le sue analisi graffianti cui mi aveva abituato, sui temi e non sulla persona. Concordo, De Felice non è certo un prosatore, non è di facile lettura: “ma chi se ne importa” aggiungo io. Certo, Cofrancesco si è attenuto ad un copione e probabilmente non voleva liquidare in poche parole temi che altre volte ha espresso con grande coraggio. In questo clima idilliaco ci stava l’interessante biografia del personaggio, oltre alla relazione del Prof Gianni Oliva che solitamente non teme di essere controcorrente e che ha parlato (anzi accennato) degli “anni del consenso”, mentre Luciano Boccalatte, chiamato all’arduo compito di intervenire quale direttore delI’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza, si è salvato in corner parlando più del libro che De Felice scrisse sugli ebrei nel fascismo, piuttosto che della sua biografia di Mussolini, l’opera della sua vita, certo, ancora solo qualche anno fa, o non sarebbe intervenuto o avrebbe svolto ben altro intervento, occorre riconoscerlo, ma quanta fatica ha fatto il Direttore Pier Franco Quaglieni a sottolineare i cambiamenti ancora troppo timidi. Ripeto, tutto perfetto ma “deja vue”. Se De Felice fosse ancora tra noi, sicuramente dopo tanto vituperio accetterebbe di buon grado gli onori e riconoscimenti, ma forse soprattutto vorrebbe si parlasse del suo “revisionismo”, cioè del mestiere dello storico, pronto anche a cambiare idea. Il De Felice del “Mussolini rivoluzionario” non è quello del “Mussolini il fascista”, tantomeno quello del “Mussolini il Duce”. Man mano che procedeva la sua ricerca storica, lui, di formazione marxista ha rivalutato fino in fondo la metodologia dell’azionista Chabod e del liberale Croce, arrivando a sostenere che oggi non si può essere antifascisti, perché il fascismo è morto e sepolto e qualsiasi cosa dovesse cercare di ripeterlo, non sarebbe più il fascismo che resta un unicum, sia dal punto di vista dei copiatori a livello internazionale, come degli apologeti di casa nostra che sicuramente non hanno letto De Felice. Per questi motivi il Centro Pannunzio dovrebbe promuovere una serie di seminari di studio prendendo come riferimento, almeno i primi tre volumi della sua opera su Mussolini, naturalmente sarei pronto a collaborare.
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