Cari amici del Magazine, il nostro credo culturale e politico è laico, e tuttavia io rappresento -mi rendo conto che è questa una precisazione di scarso interesse- una stravagante eccezione. Sono cristiano, ma intransigentemente appartengo ad una setta protestante. Tale setta ha un solo adepto: sono io. Non c’è dibattito al suo interno, e forse il mio cognome spiega un poco la questione.
A parte l’animus ludendi, nella mia vita di papi veri ne ho incontrato uno solo. Polacco, eroico resistente antinazista e poi antisovietico. Si fece prete a ventisei anni.
Ero assieme ad alcuni colleghi di una nota istituzione culturale quando Papa Wojtyla mi ricevette in Vaticano. Mi fece l’impressione di un personaggio eccezionale, profondo in tutto su qualsiasi tema sul quale dovesse esprimersi, ma uomo soprattutto di una affabilità fascinosa, e con un suo sorriso nobile e fraterno a un tempo. Se quel criminale di Ali Agca, non lo avesse ignobilmente posto fuori campo togliendogli la padronanza piena della sua vita, forse Giovanni Paolo II avrebbe dato inizio a qualcuna di quelle grandi riforme, che varrebbero per trascinare alfine la Chiesa al passo coi tempi.
L’attuale Pontefice è rimasto finora come prigioniero delle sue stesse rarissime qualità umane e religiose. Lanciò subito una grande sfida: quella di una francescana semplicità di vita nel ripudio di ogni fastosità, rifiutando ogni aureo orpello sui suoi abiti e continuando a calzare scarpe nere, con un paio di ricambio che custodisce nella camera ammobiliata ove trascorre le sue notti. La gran parte di quanti contano in Vaticano, di tanto trasse subito vivissima preoccupazione, e Papa Francesco rimase isolato, andando a dir messe nelle varie chiese romane e portando la parola di Cristo nel mondo. Ma bloccato in Vaticano: è questa l’immagine che trasmette. E l’ambascia che trasfonde. Inutile elencare le tante difficili ma vitali riforme alle quali potrebbe dare inizio. Valga citarne una sola estremamente significativa.
Con la crisi delle vocazioni la gran parte delle parrocchie, dato lo scarso numero di sacerdoti disponibili, si raggruppano: un parroco ogni due o tre nelle città ed ogni sei, sette nelle campagne. Si atteggia sempre più diversamente il compito di un religioso in chi vuole trasfonderlo in milizia, in predicazione. Il sacerdozio, che rende ministri dei sacramenti, è poi riservato soltanto agli uomini. La suora, la donna parroco, che dice messa, che amministra i sacramenti al pari dei sacerdoti, è un non senso per la Chiesa.
Per alcuni aspetti in campo laico non si piange dell’indebolimento del tessuto minuto delle onnipresenti parrocchie e di quanto queste rappresentavano con la loro vigile presenza sovente contro lo sviluppo della libertà politica e culturale. Ma se è vero che il sentimento religioso , per esempio in Italia, ed in vari Stati europei, appare come una esigenza irrinunciabile per la maggioranza dei cittadini, ebbene, si deve allora comprendere che una modernizzazione professionale del complesso delle persone consacrate al culto religioso, darebbe vita a modifiche che tornerebbero utili all’intera società civile.
Le donne, nel caso specifico, le suore, non possono dir messa, non possono divenir parroci, amministrare sacramenti…non è incredibile nell’epoca attuale? L’affermazione dei pari diritti delle donne, ha avuto negli ultimi anni grandi (se pur non ancora sufficienti) progressi. Pensare ad una donna magistrato, ancora a metà novecento sembrava una illusione dei soliti progressisti. Si è invece compiuta nella seconda metà di tale secolo (e con risultati più che positivi) .E la Chiesa? La Chiesa è contro una grande conquista quale quella della emancipazione della donna. Ferma qual torre che non crolla? È il caso di dire piuttosto :attiva nel suo costante logoramento, nel suo inguaribile passatismo. Nel cieco conservatorismo delle sue più alte gerarchie di potere.
A Papa Francesco, uomo sicuramente di grande fede in Dio e gesuita sapiente ed abile…basterebbe una improvvisa enciclica….
EMILIO R. PAPA
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