1. La politica culturale in Italia

La politica culturale che si è perseguita in Italia dall’Unità in poi è stata a salvguardia delle bellezze del paese. Le opere d’arte, i siti archeologici, le chiese, i musei. Ma, per tacito decreto ministeriale, ci si è dimenticati della filosofia. De Sanctis, Croce e Gentile, tanto per parlare di illustri esponenti della nostra politica culturale che furono ministri della pubblica istruzione, hanno relegato alcuni nostri robusti pensatori al mondo della letteratura, salvando il solo Giambattista Vico. Nel caso di De Sanctis, che visse in una temperie storica poco propizia a mettere i puntini sulle i circa l’esistenza di una filosofia italiana, può pure pensarsi che tra lui e Bertrando Spaventa si prendesse atto della necessità di rimandare ad altra epoca il ragionare, per esempio, di Giordano Bruno. Bruno fu un grande filosofo, al quale il rogo decretato di lui e della sua opera produsse gravissimi danni. Le sue opere sparirono dalla circolazione ed è solo dal tardo Ottocento che, grazie agli sforzi di vari studiosi, è stato possibile leggerlo e interpretarlo più o meno correttamente. Bruno scrive in un volgare che fortemente risente della parlata napoletana e il suo Candelaio, opera davvero geniale, è opera di teatro, utile a ridestare le coscienze sopite, ma la cui interpetazione e la cui divulgazione duecento anni dopo appariva davvero difficile e imbarazzante, per chi da “professore” pensasse di rivolgersi a un pubblico di studenti. Tanto per cominciare si sarebbe dovuto spiegare alla gioventù studiosa come mai Giordano Bruno parlasse dei professori come di “pedantacci”. Senza contare lo scandalo che avrebbe prodotto il “recupero” di un filosofo maledetto come, sia in senso proprio, sia in senso figurato Bruno era stato.

Fu probabilmente il silenzio forzato su Bruno a far calare un sipario su quanti lo avevano preceduto  – e, fra gli altri, Pico della Mirandola e Pietro Pomponazzi – a suggerire di partire da Vico per poi a Vico sostanzialmente fermarsi, costituendo l’illuminismo pre-romantico, un altro ostacolo meno oneroso a chi dovesse raccontare la storia di un’italica filosofia. Verri fu recuperato in parte come pensatore politico, di Beccaria si tacque l’ispirazione vagamente utilitaristica, in funzione della quale il filosofo aveva dimostrato, d’ accordo con Verri, che la tortura non serviva a niente, se non a falsare il quadro dell’investigazione che il giudice doveva istruire. Antonio Genovesi poneva il problema se veramente valesse la pena illustrare l’opera di un pensatore auteticamente libero in un’epoca in cui si voleva che il pensiero corresse lungo binari affidabili e sicuri per dirsi autenticamente scientifico.

Fu così che Lorenzo Valla, Nicolò Machiavelli, Francesco Guicciardini, Traiano Boccalini, Pietro Giannone finirono con l’essere più citati nelle storie della letteratura che non nei saggi di filosofia. Senza parlare di un libro come il Secretum di tale Francesco Petrarca, succosissimo libro di filosofia, che fu abbandonato alla curiosità dei letterati che non ne colsero alcuni risvolti vorrei dire pesantemente filosofici.

2. Croce e Gentile

A scusare Croce e Gentile c’è il fatto che, nell’urgenza di frenare la protesta sociale che rischiava di montare anche in Italia, ci si volle appellare alla filosofia per destituire di validità le teorie socialiste e la via più idonea parve quella di dimostrare che Marx aveva dato un’interpretazione errata della filosofia hegeliana.

A parte il fatto – e questo è un rimprovero che si muove più a Gentile che non a Croce – a parte il fatto, come dicevo, che prendere in castagna dall’alto della cattedra un allievo che si discosta dall’insegnamento del maestro non mi pare sia un atto politicamente opportuno, riportare alla matrice filosofica una disputa politica serve a poco e a nulla. Il politico utilizza, senza troppi scrupoli i filosofi ai quali è stato fatto dire in tutti i tempi quel che faceva comodo, al punto che alcuni di loro sono stati più che non usati addirittura abusati. Inoltre bisogna ammettere, a distanza di tempo, che Marx, nel suo voler agire da politico, preferì agli abiti più decorosi del professore quellli senz’altro più scomodi e dimessi del giornalista per così dire d’assalto a quell’epoca rischioso e per nulla remunerativo. Al di là di questo rilievo di sapore vagamente moralistico, va riconosciuto che anche allora le preoccupazioni politiche impedirono che si riscostruissero le linee generali di un pensiero filosofico che rispecchiasse la vicenda culturale italiana nel suo insieme. Vicenda che, beninteso, come accade presso tutti i popoli, è anche fatta di acquisizioni che vengono da fuori. C’è, per esempio, ed è stato studiato più volte e da diverse angolazioni, un utilizzo della filosofia di Locke in Italia. C’era peraltro anche stata, nel nostro paese, una vera esplosione dell’editoria già a cominciare dal Cinquecento, fenomeno che non può tacersi per chi voglia raccontare una storia delle idee. E non sarebbe forse da parlare anche delle grandi università di Bologna, di Napoli, di Padova, università quest’ultima nella quale si formò Copernico?

Il punto però è che Croce e Gentile ebbero entrambi il torto, per me grave, di fare del partito liberale un partito antirivoluzionario, dandogli una connotazione decisamente destrorsa. Non si resero conto del fatto che la rivoluzione liberale era stata solo raccontata ma non  aveva posto radici nella cultura del paese. Essi fecero della filosofia che dai tempi di Socrate in poi è popolare, una forma di erudizione, con l’aggravante di inseguire una moda. Il pregiudizio “umanistico”, secondo cui quel che si consegna alla storia è fatto concluso e conclamato, non fece balenare alla loro mente quel che invece capì un giovanissimo professorino torinese più liberale di loro. Alludo a Piero Gobetti, geniale animatore culturale autenticamente calato nella modernità.

In particolare per quanto riguarda Gentile, va sottolineata quella che senza tanti giri di parole chiamerei la bufala dello “Stato  etico” che per l’italiano è un autentico ossimoro. Voglio dire che per l’italiano acculturato può pure essere che sia superata la dicotomia insanabile tra politica e morale, ma ancora nell’Italia di oggi, per almeno la metà dei diplomati delle scuole superiori, la politica è “sporca” per necessità. Parlare a un italiano di “Stato etico” significa raccontargli bugie. Si dirà che erano altri tempi. In realtà erano tempi che preparavano quelli che viviamo.

All’epoca in cui Croce e Gentile sposavano la causa dello storicismo, dando a intendere agli italiani che la storia, con le sue congenite astuzie, non può che portare al progresso e alla conquista della libertà, gli italiani, provati dall’avventura della prima guerra mondiale, imparavano a diffidare dei politici. Questi apparivano loro “galantuomini” a parole, e furbacchioni nei fatti. A volte era vero, altre volte no. Ma si sa che la fantasia popolare giudica per categorie di comodo e ai galantuomini liberali gli elettori di matrice cattolica rimproveravano di non essere suficientemente santi, mentre i socialisti li bollarono come “borghesi”.

Storicismo o non storicismo e “astuzie della storia” a parte, questi due metri di giudizio sono diventati in Italia dominanti. Eppure il primo è inconsistente e nessuno voterebbe alle elezioni politiche per un sant’Antonio o un san Francesco, che tutti vorremmo  avere per amici. Quanto al  “borghese” è termine così vago e povero da non significare quasi nulla, tant’è che nell’uso si ricorre all’espressione “tipicamente borghese”, tentando di definir meglio una identità che resta comunque posticcia perché quel “tipicamente” non ha senso. Ci sono borghesi intelligenti e borghesi cretini, borghesi colti e borghesi ignoranti, borghesi avari e borghesi generosi, borghesi aperti alle novità e borghesi “misoneisti”, come nell’Ottocento si diceva. Ci sono infine borghesi ricchi e borghesi poveri. E allora che cosa significa “borghese”? Forse che Togliatti non era borghese, come tanti altri leader del P.C.I. ?

Erano queste ovvietà illiberali che dovevano essere messe in luce. Era la rivoluzione liberale che doveva in qualche modo ripartire, non spegnersi definitivamente. Una rivoluzione che aveva fatto dell’Europa un’area entro la quale sperimentare varie forme di democrazia, ciascuna rispondente alla storia dei singoli popoli.

3. E Carlo Cattaneo?

Prima che Croce e Gentile si rivolgessero agli studi filosofici Carlo Cattaneo aveva elaborato una sua teoria, a cui aveva dato il nome di teoria delle menti associate che da sola basta a spazzar via qualsiasi stupido pregiudizio razziale, ivi compreso quello di un presunto genio della stirpe, sul quale poi i “bianchi” colonizzatori che fossero inglesi, francesi, tedeschi o italiani, misuravano i crani di africani e orientali per esaltare la bellezza e l’armonia (presunte) del corpo del più civile europeo. Spiega in sintesi Cattaneo: se vivo in condizioni di isolamento e non comunico con gli altri, non posso dar vita a niente che migliori lo status della comunicazione interpersonale. Se invece vivo in gruppi di una certa consistenza numerica, prendo iniziative, entro in competizione, emulo e ciò mi spinge a escogitare la soluzione a problemi concreti. Non è la “razza” a fare gli uomini diversamente intelligenti, ma il fatto che la mente quando si associa a quelle degli altri lavora meglio e di più. È tutta qui la differenza tra l’aborigeno australiano che va disinvoltamente nudo e l’uomo della civile Europa che sfoggia l’abito da passeggio. Il “genio” della stirpe insomma è un’invenzione del nazionalismo più becero.

Che sia così lo dimostra il fatto che, toccando le sponde dell’Australia, diversi esploratori girarono in lungo e in largo il continente senza trovare quel mare interno che a loro giudizio avrebbe dovuto esserci. Si sbagliavano, perché, se ci fosse stato un mare del genere le coste si sarebbero popolate come migliaia di anni fa era accaduto delle sponde del nostro Mediterraneo.

Ma Cattaneo era un positivista e diversi tra i positivisti aspiravano a cambiare il mondo, sforzandosi di guardare al futuro.

Oggi il panorama degli studi filosofici è in Italia diverso, diversissimo. Tanto per cominciare ha agito l’influenza dell’esistenzialismo di marca francese, ricco di istanze neo-umanistiche sincere e profonde. Ma veramente l’umanesimo fu un porre l’uomo al centro dell’universo? Non fu piuttosto un interrogarsi sulla posizione dell’uomo che ambisce a un centro che non esiste? E oltre la denuncia delle miserie dell’antropocentrismo di cui Leopardi fu antesignano, ci sono attacchi all’etnocentrismo che non sono da noi meno forti che altrove.

Avviandomi a un conclusione, tengo a ricordare che in Italia abbiamo avuto filosofi e studiosi di filosofia di tutto rispetto dei quali, a parte quanti si dedicano alla filosofia per passione o per lavoro, si sa poco o nulla. Tra i filosofi sono in parte noti al pubblico Giorgio Colli, Norberto Bobbio, Nicola Abbagnano, Luigi Pareyson, Enzo Paci, Emanuele Severino, Gianni Vattimo e Giulio Giorello; noti, sfortunatamente per loro, più per l’attività politica che per l’opera da loro condotta, Armando Plebe, Lucio Colletti e Marcello Pera. Di Luigi Scaravelli, Emilio Garroni, Franco Volpi, Rosario Assunto ed Emanuele Riverso, autori di pregevolissimi saggi filosofici, è arrivata al pubblico italiano solo qualche briciola. Fra gli storici della filosofia spiccano i nomi di Eugenio Garin e Mario Vegetti che hanno fatto entrambi scuola. Dei filosofi viventi tengono banco Giorgio Agamben, Massimo Cacciari, Carlo Sini, Ermanno Bencivenga, tutti autori considerevoli. Meno noti ma di non minore valore sono studiosi seri come Silvano Tagliagambe, Gianfranco Dalmasso, Sebastiano Maffettone, Ciro Sbailò per limitarmi a nomi di studiosi il ui valore risulta chiaro a me che scrivo. Di studiosi come Vittorio Macchioro (1880 – 1958) s’è quasi persa la memoria. Al presente c’è di notevole soprattutto un interesse per la filosofia antica con l’esigenza di rifare completamente i conti con Platone e Aristotele ma anche con Eraclito e Epicuro.

Ma nelle scuole tutto è ancora fermo all’età crociana, nonostante gli sforzi sovrumani che fanno alcuni bravi professori.