E’ consuetudine che ogni Governo adatti i nomi dei Ministeri, e talvolta anche la loro struttura, in funzione delle linee guida del proprio programma politico. In qualche caso purtroppo, a posteriori, si deve constatare che la modifica della denominazione era finalizzata solo a far proprio o a lanciare un nuovo lessico propagandistico. Non anticipiamo i tempi, dunque, e non facciamo processi alle intenzioni. Sarà solo dopo adeguati tempi di operatività sostanziale del nuovo Governo che si potranno emettere giudizi che non siano pregiudizi. Nell’immediato si può osservare che le modifiche più sorprendenti nelle denominazioni dei Dicasteri, e anche quelle che hanno suscitato le reazioni più indignate degli avversari politici, sono il ‘merito’ associato all’Istruzione e la ‘natalità’ aggiunta alle Pari opportunità. Il Merito sarebbe quel premio che qualcuno ancora testardamente vorrebbe riconoscere all’impegno, al lavoro, alle capacità individuali. Tutta roba ormai da tempo negletta, misconosciuta, financo disprezzata, nella nostra società dominata dall’immagine e dal denaro. Certe analisi sociologiche ideologicamente prevenute vorrebbero negare il merito individuale, deresponsabilizzare l’individuo, addossare alla società ogni colpa riguardo alle differenze di status e di condizione di vita. Si tratta di forzature. Al di là della retorica pauperista e della demagogia della deprivazione, non è interesse di nessuno promuovere politiche di appiattimento giustificazionista (come si è fatto negli ultimi cinquant’anni) e togliere alla Scuola, il luogo in fondo più democratico e paritario, il ruolo di ascensore sociale che dovrebbe avere in ogni Paese rispettoso delle pari opportunità. Altrimenti poi la selezione e la differenza dovranno farle la società capitalista e il destino esistenziale, agenti certo più imprevedibili e ingiusti di un’aula scolastica. Quanto al tasso di natalità, notoriamente in Italia uno dei più bassi al mondo, si tratta di un indice che porta ad affrontare dinamiche macro e preferenze micro, problemi demografici globali e stili di vita individuali. Certamente è pretestuoso e inconsistente reagire al termine ‘natalità’ con l’accusa di voler abrogare la 194. Dal punto di vista globale della comunità umana sulla terra, è certo legittimo domandarsi fino che punto è opportuno spingere la crescita demografica, anche considerando i problemi legati allo sviluppo economico e alla conseguente pressione sull’ambiente e sulle risorse naturali. Nel suo piccolo la storia dell’isola di Pasqua potrebbe valere più di tutte le Grete Thunberg del pianeta. D’altra parte, dal punto di vista microsociologico, il calo della natalità è certo espressione di una umanità più longeva, più ricca, più progredita, ma anche più egoista e più paurosa, e forse più infelice. In un Paese con pochi giovani e tanti vecchi, dove in prospettiva il problema sanitario-assistenziale diventa sempre più stringente e prioritario, è comprensibile la preoccupazione del Governo su questo fronte, pur nella doverosa consapevolezza che le scelte procreative della popolazione sono il portato di complesse dinamiche storiche, economiche e culturali, e appaiono in questo momento in Italia assai difficili da riorientare nel medio termine.