“La Lettura” (supplemento del Corriere della Sera, 23/10/2022) ospita un dibattito su come la Rivoluzione Digitale “abbia trasformato la nostra specie”. Protagonisti due importanti scrittori, il nostro Alessandro Baricco e il romanziere americano Dave Eggers, presentato come autore di “The every” ovvero “una distopia che fa impallidire Orwell”. Annoto – utilizzando parole di Baricco –  che il titolo dell’articolo/intervista avrebbe potuto essere “Come far sì che la rivoluzione digitale non diventi un disastro digitale” (domanda: ma siamo ancora a tempo?  n.d.r.). Mi propongo di spendere qualche parola sul dibattito, che stimola varie riflessioni. Ma prima un antefatto, come nei romanzi d’appendice. Il caso è quello di una scuola dove gli studenti vogliono eliminare tutte le distinzioni di genere, foriere di discriminazioni. Per esempio, i maschi devono avere il diritto di andare a scuola con la gonna e di andare al cesso insieme alle donne, senza discriminazioni (quindi, cesso unico). Questo lo chiamano libertà. Qualcuno gli ha insegnato che ogni diritto acquisito è un avanzamento, senza spiegare che, nella realtà, ogni diritto che si acquisisce va quasi invariabilmente a limitare qualche altro diritto altrui. Nella fattispecie, limita il diritto, delle donne non “allineate”, di andare in bagno aspettandosi di non incontrare un uomo. Strano che in questo caso non funzioni il mitico, abusatissimo diritto alla privacy; ma forse, una donna che reclami questo diritto sarebbe indiziata di “androfobia”. E non abbiamo menzionato le persone gender fluid, con la loro rivendicazione di un terzo cesso per chi rifiuta di qualificarsi. Riservandomi di chiarire la connessione con l’antefatto, vengo al dibattito con una breve sintesi delle due posizioni, intercalandola con qualche commento. Baricco, che della Rivoluzione Digitale “ha ricostruito l’origine libertaria” (per usare le parole dell’intervistatrice Alessia Rastelli), ne vede all’origine “il rifiuto del 900 coi disastri che ha combinato” (qui si potrebbe obiettare che del 900 i giovani sanno pochissimo, e tendono a confondere le due guerre mondiali, n.d.r.).  Vede gli aspetti positivi della Rivoluzione, in primis quello di aver messo alla portata di tutti certi strumenti, ad esempio la possibilità di informazione, che prima erano per pochi. E si chiede: poi cosa è successo? Sulla storia della rivoluzione digitale: “temo si sia bloccata a causa di una grande forza di restaurazione, del conservatorismo, dell’idolatria del passato” (n.d.r.: deve trattarsi di un passato remoto, certo non quello “cancellato” dalla imperante cancel culture). Critica il passo di “Every” (il romanzo di Eggers) ove sono rappresentati “uomini fieri e liberi” che in pochi decenni erano stati “trasformati in tanti puntini eternamente acquiescenti disposti su degli schermi” (non è convinto che fosse un mondo di “fieri e liberi” il nostro pre-digitale). E continua: “il mondo reale è diventato invivibile […]. Il pianeta è un posto scomodo, quasi sempre in emergenza. Abitiamo in città dove avvengono disastri (n.d.r., credo che Baricco ed io viviamo nella stessa città, percepisco anche io qualche peggioramento ma stento a capire quali disastri vede, a parte quello momentaneo della Juventus), disponiamo di ricchezze che paiono fragilissime [..]. Per impedire il disastro indotto dalla rivoluzione digitale la soluzione è creare un nuovo umanesimo (ndr: semplicissimo!) […] “Siamo nel bel mezzo di una energica restaurazione, una controriforma […)]. Il mondo è dominato dalla paura…”. Eggers sottolinea l’importanza di incrementare con i giovani (soprattutto nell’ambito dell’insegnamento) il rapporto diretto e personale senza accettare che tutto sia devoluto al digitale. Condanna sia l’imperante “tecnoconformismo”, ovvero accettazione totale di ogni nuovo strumento, sia l’accettazione di una sorveglianza totale che altri esercitano su di noi. D’accordo con Baricco sulla paura, che è quella “cavalcata dalla destra americana”. Un’idea che i due intervistati condividono, in effetti: attribuire, più o meno esplicitamente la colpa dell’incombente disastro a Donald Trump ed alla destra reazionaria (si potrebbe obiettare che oggi prendersela con Trump è come sparare sulla Croce Rossa).  Le conclusioni da trarre divaricano, essendo di sapore pessimista per l’Americano e ottimista per il Nostro. Eggers vede il mondo digitale guidato da un “disagio per l’incognito” (“ecco perché ogni anno affidiamo sempre più aspetti della nostra vita a numeri e algoritmi”) che non è destinato a superare: “cieca condiscendenza”. Quanto a Baricco, la degenerazione disegnata da Eggers forse ci può stare – rileva – ma l’essenziale è chiedersi “se gli esseri umani in questa civiltà stiano perdendo o acquistando senso, se stiano perdendo il valore della loro vita o lo stiano acquistando”; conclude che stanno acquistando. Mah (n.d.r.). Una narrazione, quella dei due scrittori, che personalmente trovo un po’ lacunosa, e mi spiego con qualche pensiero. Il primo: nel nostro mondo (l’ “Occidente Cristiano”), come in passato usava chiamarlo, la generazione vittima della tecnologia (“millennials” e seguente) è da considerare come la più viziata nella storia dell’umanità. Dà tutto per scontato. Può permettersi di considerare come normali e dovuti certi beni e certi stili di vita che una volta erano riservati all’élite di censo. Non ha idea (per carenze scolastiche e per scarse letture) di come si viveva nei secoli andati e poi ancora cinque o sei decenni fa: molto parcamente… Questo non è colpa del web, e però resta il fatto che dal web non ne traggono notizia. Non è che tutto questo produca un effetto demotivante? Un dettaglio non irrilevante, che non migliora le prospettive: nel mondo digitale, regole e costumi li impongono i giovani e giovanissimi: i/le cinquantenni tendono a imitare, per non sentirsi esclusi/e. Secondo. Una parola chiave, che nel dibattito dei due scrittori non incontro mai, è “nevrosi”, a mio avviso fondamentale come spiegazione e traduzione del “disastro” che temono. È la parola alla quale dovremmo dedicare tutta la nostra attenzione, con la speranza di trarre da eziologia e diagnosi qualche indicazione di terapia. Non è nevrosi quella che guida lo sciamare del sabato sera verso la discoteca coi suoi ritmi ossessivi? “Li porto lì e non è che cerchino sesso – mi dice il taxista – cercano lo sballo per lo sballo”. Porto come esempio un dato di osservazione: ho vissuto gli anni dell’ultima guerra mondiale (che dire difficili è dire poco), e i successivi anni 50 (molto lavoro e pochi soldi), senza avere mai avuto sentore diretto di un suicidio. Negli ultimi venti anni, nel giro delle mie conoscenze, di suicidi ne annovero più di uno. Forse le difficoltà materiali rafforzano l’istinto di sopravvivenza, piuttosto che deprimerlo? C’è un’evoluzione del costume che certamente ha radici molteplici e che lascio agli specialisti. Solo qualche parola sui suicidi di adolescenti, che sono diventati un problema: in USA, raddoppiati negli ultimi sette anni. Cosa è mai cambiato? Qui nessuno può convincermi che il fattore tecnologico non sia coinvolto. La mia visione: né paura né tantomeno povertà, ma una forma di nevrosi che chiamerei “smarrimento” di chi nel web ha smarrito vecchi valori e significati, e nel web ne cerca d nuovi, ma non li trova (quando li trova, peggio ancora!).  Figlio di quella vana ricerca, il nichilismo, quello evocato da Nietzsche nel passo famoso del “Dio è morto”: “Non sembra venire notte, sempre più notte? […] Il nichilismo è alle porte. Da dove viene costui, il più sinistro di tutti gli ospiti?”. Aggiungo che nella mia vita di lavoro e ricerca ho passato vari anni nell’Africa subsahariana, forse l’area più o povera del mondo: mai sentito menzionare suicidi, tanto meno suicidi giovanili (roba da ricchi?…). Per il terzo pensiero, mi offre materiale ancora il Corriere della Sera (3 ottobre 2022) Un pezzo di Monica Ricci Sargentini commenta i risultati dell’indagine condotta dal Senato sul rapporto tra tecnologia digitale e giovani, attinti ad un libro (“Coca Web”, Minerva ed.) del senatore Andrea Cangini, membro della commissione. Sentiamo la sintesi di Monica: “Per la prima volta nella storia dell’umanità, le nuove generazioni mostrano un quoziente di intelligenza inferiore a quello delle generazioni che lo hanno preceduto. Calano le facoltà mentali dei più giovani, aumenta il loro disagio psicologico”. Gli esperti – prosegue– sono concordi nel mettere in relazione la mancanza di concentrazione e di memoria, la depressione e i disturbi alimentari con l’abuso di social e videogiochi. Cangini nella legislatura appena conclusa aveva presentato un progetto di legge per vietare l’uso degli smartphone ai minori di 14 anni. Se vi sembra una misura draconiana – conclude Monica – sappiate che l’anno scorso la Cina ha limitato a tre ore la settimana l’uso dei videogiochi ai minorenni.  Xi Jinping mira (qui sono io che la vedo così) ad un impero su scala mondiale, e sa che non può arrivarci con un’armata (lato sensu) di giovani handicappati. La Cina, notoriamente, è un paese ove per far rispettare le regole si impegnano molto. Mia conclusione: non c’è partita (va be’, mettiamoci pure un altro punto interrogativo). Ora, ecco chiarita la connessione con l’antefatto: in quella scuola, prodotto della Rivoluzione Digitale, nel suo mondo noi avremo comunque stabilito i nostri diritti; e potremo far pipì dove vogliamo (forse). Digitale, e persino analogica.