E’ mancata a Torino la contessa Clotilde Ceriana Mayneri, importante artista e docente all’Accademia Albertina di Belle Arti . Clotilde che è stata per anni socia autorevole del Centro Pannunzio , apparteneva alla famiglia Ceriana Mayneri che ebbe tra i suoi esponenti Carlo, famoso Generale di Cavalleria, Michele deputato e industriale che fu dei fondatori della Fiat, Ludovico diplomatico e parlamentare di cinque legislature. A casa di Clotilde si respirava la storia di una Torino che non c’è più da tempo, travolta dal fascismo prima e poi dal comunismo post bellico e da certo culturame radical – chic: tutti e tre fecero emergere la città degli arrivati e dei tesserati con il paraocchi ideologico e il conformismo delle vulgate. La libera coscienza e la libera arte di Clotilde, moderna ed antica allo stesso tempo, erano naturaliter in rotta di collisione con le madamazze torinesi di oggi che imperversano sui giornali. Ricordo un lungo viaggio in treno con lei da Vienna a Torino in cui conversammo liberamente di tutto, compresa l’Accademia che ebbe l’onore di averla docente. Era una donna di élite che non esibì mai il suo lignaggio, ma il suo stile elegante faceva inevitabilmente emergere, senza esibizioni di sorta, il mondo a cui apparteneva. Volevano conferirle il Premio “Alda Croce“ , ma il Covid ce lo ha impedito. Abbiamo chiesto al Prof. Ettore Ghinassi artista, critico e storico dell’arte di prestigio che le fu collega ed amico, di scriverne.
Ecco il suo ricordo.
Clotilde Ceriana era una persona schiva, che porgeva con garbo il proprio talento, almeno così la ricordo durante gli anni gloriosi (70-80) del Primo e del Secondo Liceo Artistico. Ottima insegnante, è stata anche un’artista deliziosa, col dono della leggerezza, lontanissima da ogni pretenzioso concettualismo e da ogni ambizione d’enfasi espressiva. Le sue opere su carta, le sue “scritture arboree”, i suoi collages con materiali diversi -carte ingiallite con scritte occasionali in minuscola grafia illeggibile, rametti, fili di stoffa, detriti del tempo- hanno il sapore quasi gozzaniano delle lettere invecchiate nei cassetti, dimenticate e ritrovate per caso.
Ettore Ghinassi