In queste ultimissime settimane il  ddl Zan sta riempiendo le pagine dei giornali, soprattutto dopo la presa di posizione del Vaticano, che ha chiesto di modificarlo, pena violazione del Concordato. La legge nasce per essere uno strumento, secondo il suo propositore, di ulteriore riconoscimento paritario di alcune categorie di cittadini in accordo con quasi tutte le forze politiche che siedono in Parlamento, ma resta un testo divisivo. Non mi stupisco perché l’argomento lo è sia a causa delle modalità di scrittura del testo di legge, che hanno inquietato le notti anche di chi non è affatto omofobo, ma perché sentir parlare di garanzia di diritti a chi è gay, trans, poliamoroso o non ben incasellato sessualmente, provoca ancora pruriti a molti nel 2021. Occorre essere onesti e dire senza paura di essere “scorrect”, che la nostra società è ancora intrisa di pregiudizi a tutti i livelli: culturali o di censo, a destra come a sinistra, fra gli intellettuali e tra chi non può propriamente essere definito tale. E quel che dovrebbe far riflettere è che la questione ha radici profonde e ha visto eccelsi esponenti del mondo dei pensatori e dei politici del secolo scorso, oltre che di questo, attivi oppositori. Se si leggono con piacere da ricercatore critico alcuni avvenimenti dei decenni passati, si trovano interessanti testimonianze di omofobia anche in personaggi insospettabili.

Due personaggi influenti e di ampia cultura ed esperienza che con le loro teorizzazioni hanno cambiato il corso della Storia, cito l’esempio degli ideologi del Comunismo Marx ed Engels, non furono da meno degli omofobi moderni. Pare che in un carteggio tra i due, il secondo si lamentasse dell’ingerenza sempre più fastidiosa della lobby gay nella società dell’epoca, accusando quelli che letteralmente definisce “pederasti”, come una potenza all’interno dello Stato, che sovvertirà l’ordine naturale delle cose, dichiarando: “guerra alla fxxx e pace al buco del cxxx”.

Nello stesso periodo in Italia, il ministro della Giustizia del Regno Giuseppe Zanardelli, già presidente del Consiglio, autore del primo codice penale “liberale” post unitario, entrato in vigore nel 1890 e utilizzato fino all’introduzione del codice Rocco nel 1930, non aveva inserito nello stesso una norma che punisse i comportamenti omosessuali. Il motivo ammesso dallo stesso legislatore è poco chiara e indubbiamente ipocrita; egli infatti preferisce riguardo alla questione essere ignorante piuttosto che ammetterne il “vizio”. Il sottotitolo cioè sarebbe: “si fa ma non se ne parla, anzi, facciamoci i fatti nostri”. 

Durante la mia ricerca per la scrittura di questo articolo, per caso mi sono imbattuta in un aneddoto sull’argomento legato a Benedetto Croce, intellettuale di primissimo ordine del ‘900, filosofo, senatore, ministro e fondatore del Partito Liberale Italiano. Ecco, proprio un pensatore di tale livello ha fatto in modo che un libro del partenopeo Luigi Settembrini, considerato uno dei padri della Patria, autore di stimati testi sul Risorgimento, fosse “censurato”. Pare infatti che Settembrini avesse scritto un romanzo sconosciuto a tutti dal titolo: “I neoplatonici”, in cui narrava di un amore omosessuale dell’epoca classica, periodo in cui era piuttosto usuale che gli uomini di un certo censo avessero amanti imberbi, in cui lo scrittore si lanciava in descrizioni molto dettagliate, che nulla lasciavano all’immaginazione.

Quando il testo venne casualmente ritrovato tra le sue carte a sessant’anni dalla morte nel 1937, venne inviato a Benedetto Croce per un’eventuale pubblicazione postuma. Il filosofo ne fu scandalizzato e pose il veto alla stampa, affermando testualmente: “di certo si è trattato di un lubrico e malsano errore letterario del Venerato Maestro, martire patriottico dei Borboni”.

L’argomento bollente ha scalfito il rigore di molti uomini definiti “tutti di un pezzo”;

per esempio il Migliore, Palmiro Togliatti, se la prende con il premio Nobel per la letteratura André Gide, colpevole a suo avviso di aver preso le distanze dal comunismo. Sulla rivista del partito “Rinascita” ha parole di fuoco verso l’intellettuale, che esorta: “ad occuparsi di pederastia dove è specialista”, piuttosto che di parlare di politica.

Anche Enrico Berlinguer direttore del mensile della Figc usa toni simili a quelli del suo predecessore, anche lui se la prende con uno scrittore francese: Jean-Paul Sartre, evidentemente poco allineato per il benpensante PCI dell’epoca e soprattutto non istituzionalizzato dal partito, che egli definisce: “un degenerato lacchè dell’imperialismo, che si compiace della pederastia e dell’onanismo”.

Il “facciamoci i fatti nostri sino a che non si sa” ispira anche il comportamento delle forze politiche nell’Italia repubblicana. In un bel libro del giornalista Giampaolo Pansa, “Ottobre, addio”, nel ricordare l’atteggiamento del Partito Comunista, decisamente bacchettone e conservatore sia verso l’omosessualità che l’adulterio (ricordo che Togliatti fu per anni adultero e amante di una giovanissima Nilde Jotti, quindi da che pulpito…), si legge: “ognuno si faccia i fatti suoi, purché li copra e se li tenga per sé”.

Termino citando anche alcuni presidenti della Repubblica molto amati, che hanno espresso atteggiamenti omofobi; per esempio “il presidente più amato dagli Italiani”, il socialista Sandro Pertini disse no ad una delegazione di omosessuali che chiese di essere ricevuta al Quirinale, adducendo la scusa che non fosse quello il momento, che lo avrebbe preso in considerazione, forse, dopo le elezioni.

Anche il presidente Oscar Luigi Scalfaro, esponente cristiano della DC decise di non presenziare e di non mandare neppure un telegramma per il funerale dello stilista Gianni Versace, omosessuale dichiarato e morto in circostanze fosche.

Meglio non mischiarsi.

 E noi dobbiamo mischiarci?