Da quando inizia a pensare l’uomo si pone il problema: Chi sono? Le varie risposte che l’uomo si dà a questa domanda corrispondono in senso lato alla psicologia, cioè a un discorso sulla propria natura interiore. Poi le psicologie accademiche cercano di formalizzare ciò che tutte le persone si pongono come interrogativo fondamentale della propria esistenza. La psicologia non è una scienza. I dati che essa assume dalla osservazione della persona normale, dei malati e i dati provenienti da altre discipline sono integrati in un discorso globale di tipo non oggettivo ma interpretativo. Esistono circa 240 scuole di psicologia e ogni scuola ha una prospettiva differente, ora molto ora poco da quella delle altre scuole, anche se più o meno spesso molti autori di differenti indirizzi dicono le stesse cose ma con altri termini. Sono molti i motivi di questa situazione. Forse il principale è che la natura della mente è soggettiva. Non esistono parametri matematici che descrivono con precisione il sentire, il pensare e il comportarsi delle persone (fatta eccezione soprattutto per certe leggi della percezione, anche se nella percezione c’è sempre un margine di soggettività). Anche i test psicologici hanno una validità relativa, perché suppongono dei parametri statistici, ma non è detto che tutte le persone rientrino sempre in quei parametri, anche se sono sane. Un singolo parametro, inoltre, ha un margine mettiamo da 0 a 10. Quindi i dati provenienti dalla psicologia non sono verità assolute.

          Pure nel caso in cui le varie psicologie forniscono degli ampi insiemi nei quali inquadrare dati modi di fare. Per esempio se Freud postula che alla base dell’inconscio ci sia una pulsione sessuale, questo è un ampio contenitore che non descrive con esattezza il comportamento di ogni singolo individuo, che in realtà esprime la sessualità in modi molto diversi.

               I dati che ci provengono dalle neuroscienze sono alquanto approssimativi. Quello che leggiamo sui giornali di divulgazione, per esempio quando il giornalista dice che è stata scoperta l’area cerebrale deputata all’aggressività, non viene condiviso in maniera assoluta primo fra tutti dai neuroscienziati stessi. Le scienze del cervello non hanno ancora dimostrato con precisione se i comportamenti evoluti dell’uomo dipendano da singole aree o dall’attività del cervello nel suo complesso. Ci sono solo ipotesi: i singoli neuroni? Le sinapsi? Le reti? Le aree? Le regioni? Se è vero che pazienti come HB hanno perso la memoria quando subirono una operazione ad una data area del cervello, è anche vero che la perdita di aree analoghe in altre persone non produce sempre lo stesso danno alla memoria.

          Per di più il cervello evolve con il mutare della società per via di una sua caratteristica intrinseca detta plasticità neurale, cioè la formazione di nuove connessioni tra neuroni a seconda dell’ambiente che troviamo. L’effetto Flynn, per cui l’intelligenza psicologicamente testata pare aumentare con il passare degli anni (cioè le nuove generazioni sono più intelligenti), si può spiegare in parte perché il cervello delle nuove generazioni muta al cambiare dei nuovi input che riceve.    

          A questo punto il concetto di malattia mentale è molto relativo, per alcuni studiosi va addirittura rifiutato. In ogni modo il disagio viene vissuto da persona a persona in maniera molto soggettiva. C’è evidentemente una correlazione tra corpo e mente se gli psicofarmaci funzionano, ma come funzionano esattamente sono solo ipotesi, che come tutte le ipotesi hanno anche argomenti che sembrano smentirle. Non può esistere una mente senza il corpo che la sorregge. Ma il concetto di malattia mentale non è equiparabile a quello di malattia organica: quest’ultima suppone un danno evidente ad un organo (nell’infarto del miocardio spesso una necrosi ad un ventricolo), invece la malattia mentale sembra non rientrare esattamente in questo criterio, anche se innumerevoli studi dimostrano certe compromissioni neurali ricorrenti almeno in certi pazienti. Per molti di essi il danno non sarebbe anatomico (come nell’ictus, in cui un vaso sanguigno del cervello si rompe), ma funzionale, cioè per esempio l’attività metabolica del cervello del depresso è diversa da quella del cervello del sano, espressione di un funzionamento diverso. Ma la questione è ancor più complicata perché altri dati sembrano confermare a volte la natura organica.

             Rifacendosi a modelli di riferimento evoluzionistici, spesso si considera il cervello suddiviso in tre livelli evolutivamente progressivi e diversi dal punto di vista di organizzazione neurale :

  1. Rettiliano: istinti sessuali, predazione, difesa del territorio;
  2. Sistema limbico: emozioni;
  3. Corteccia: funzioni superiori come il pensiero.

            Nella nostra funzionalità i tre livelli cerebrali lavorano all’unisono. Il sistema rettiliano contiene le informazioni primordiali sul nostro benessere che derivano dal sistema nervoso autonomo diffuso in tutto il corpo. Dal cervello rettiliano arrivano al sistema limbico che colora i dati di emozione. Da questo i dati arrivano alla corteccia dove ne abbiamo consapevolezza. 

            Pertanto le nostre funzioni più evolute (corteccia) hanno come riferimento ultimo di comprensione le emozioni (limbico) e il corpo nel suo insieme (rettiliano e sistema nervoso autonomo).

             Pare che nelle psicosi (schizofrenia, psicosi maniaco-depressiva) vi sia compromissione del sistema limbico (via dopaminergica), invece nelle nevrosi dei lobi frontali. Ma nelle prime il danno organico parrebbe ai più solo ipotizzabile e non dimostrabile (invece sarebbe dimostrabile solo nelle patologie neurologiche come l’ictus), mentre tutte le nevrosi sarebbero semplicemente disturbi della personalità senza compromissione cerebrale primaria, ma solo conseguente al disturbo della mente. 

              Ma stiamo solo sul terreno delle ipotesi. Dal punto di vista organico, non conosciamo adeguatamente la schizofrenia perché non sappiamo spiegarci l’innalzamento della temperatura corporea, non conosciamo adeguatamente le nevrosi perché non sappiamo spiegarci le conversioni somatiche. Dal punto di vista psicologico, quasi ogni scuola propone proprie spiegazioni dei meccanismi mentali che porterebbero a psicosi e nevrosi. Le uniche cose certe sono che gli psicofarmaci spesso attenuano o eliminano i sintomi e che le psicoterapie sono spesso un grande aiuto. 

              Il DSM, considerato il manuale delle malattie psichiatriche più importante al mondo, cambia in continuazione le malattie mentali a seconda della più recente letteratura. Nessuno ha trovato la spiegazione valida per tutti riguardo al modo di approcciarsi al mondo di una persona. Vale a dire che nessuno sa perché un individuo vede il mondo nero come Céline nel Viaggio al termine della notte o estatico come D’Annunzio ne La pioggia nel pineto o asettico come il Zeno del romanzo di Svevo. Probabilmente tutti questi atteggiamenti diversi, nella normalità e nella malattia, dipendono dalle esperienze uniche che una persona ha vissuto fino a quel punto. La mente non è un corpo che pompa sangue in maniera matematicamente determinabile né che si ammala come quando c’è una frattura ad un arto. La mente è la sintesi della soggettività delle persone. Anche la malattia mentale va vista come espressione di un vissuto particolare. 

              Pertanto, se non sappiamo bene cosa succede nel cervello e nella mente di una persona che sente le voci o non muove una mano senza avere una malattia neurologica, la psicoterapia non può essere a sua volta una scienza. Sul lettino dello psicoanalista questa figura professionale non dà (o non dovrebbe dare) dei parametri del comportamento normale ma degli input che spingono il paziente a prendere consapevolezza della propria soggettività disfunzionale con lo scopo di migliorarla. Il terapeuta è il Buddha, ma quando il Buddha viene trovato poi deve essere abbandonato, perché il paziente deve prendere coscienza delle proprie mancanze e da lì decidere di guarire. In psicoterapia non esiste la formula magica della cura! Anche nelle psicoterapie più direttive, il grosso del lavoro è fatto sempre dal paziente, al quale nessuno può sostituirsi, nemmeno il terapeuta più preparato.

            Nelle scienze del cervello e nelle scienze umane non esistono formule magiche e paradigmi che spiegano tuto e risolvono ogni problema. Per questo nelle scienze umane più si resta aperti meno errori si commettono.

            I singoli professionisti della salute mentale hanno a che fare con persone e non con organi come il fegato. La persona è un soggetto con una individualità unica. È il soggetto che decide di guarire facendo entrare nel proprio orizzonte percettivo e mentale le indicazioni del terapeuta, che non sono mai ordini ma pretesti per spingere il sofferente a vedersi meglio e quindi a migliorare. Se di fronte ad un evento negativo non possiamo fare nulla, è l’atteggiamento il fattore chiave che spinge il soggetto ad attutire il colpo o a guarire una volta che il colpo è stato sentito.

           Secondo un modello teorico che si rifà grossomodo alla teoria polivagale di Porges, la malattia mentale riguarda ambiente, corpo, cervello e mente in questa maniera. Il malessere fisico o il benessere vengono recepiti dal sistema nervoso autonomo e incorporati nel cervello rettiliano, lì passano al limbico che li colora emotivamente (emozione negativa o positiva) e quindi alla coscienza nella corteccia. Allora in molte malattie mentali non ci sarebbe unicamente un danno locale del cervello, ma una interazione di tutto il corpo e di tutto il cervello che elabora all’unisono una serie di messaggi di malessere. La corteccia mediante la plasticità si modifica sulla base delle esperienze e dei vissuti quotidiani facendo in modo che il malessere sia non più solo una sensazione soggettiva e solo una emozione soggettiva ma diventi un vissuto quotidiano soggettivo. La mente, intesa come entità funzionale disarticolata dal cervello, rifletterebbe tutto questo in una sintesi finale.    

           Il concetto di mente non è estraneo agli animali. Anche gli animali hanno quasi sempre un sistema nervoso e, soprattutto i mammiferi, anche una corteccia, che permette loro di avere una sorta di mente. La loro mente si può ammalare come la nostra. 

          Lo stato mentale dell’uomo e dei mammiferi è condizionato dalla correlazione tra il tronco cerebrale ed i centri corticali superiori. È considerato normale lo stato di un animale sveglio e attento, che reagisce in maniera congrua agli stimoli visivi, uditivi e tattili. Lo stato mentale alterato è indicativo di lesioni della corteccia cerebrale, dell’ipotalamo, del mesencefalo, del tronco. Alcune informazioni relative allo stato mentale sono desumibili all’osservazione diretta altre dal racconto anamnestico: la perdita di abitudini apprese sono più facilmente riscontrabili dal proprietario in ambiente domestico che all’esame fisico diretto.

           I segni clinici significativi delle alterazioni neurologiche che producono stati mentali alterati negli animali sono:

  • Deambulazione compulsiva senza meta;
  • Pressione della testa negli angoli;
  • Perdite delle abitudini apprese;
  • Vocalizzi;
  • Sindrome da disattenzione parziale lateralizzata: indifferenza da stimoli che provengono da un lato dell’ambiente (per coinvolgimento della corteccia cerebrale del lato opposto).

        L’aspetto critico di questa fase dell’esame neurologico consiste nell’operare una distinzione (quando possibile) tra un disturbo neurologico e disturbo del comportamento.

         Questa valutazione è utile, soprattutto, per differenziare le patologie dell’encefalo da quelle del midollo spinale e dei nervi periferici. La depressione del sensorio, assenza o rallentata risposta agli stimoli esterni, in genere è una conseguenza delle lesioni encefaliche, mentre, nelle patologie spinali, anche quando costringono al decubito, l’animale appare lucido e in allerta. Si distinguono tre livelli di alterazione del sensorio:

  • depressione: poco interesse verso l’ambiente esterno;
  • sopore: nessun contatto con l’ambiente esterno, reazioni assenti al tatto ed agli stimoli acustici, presenti, invece, a forti stimoli dolorosi;
  • coma: completa perdita della coscienza, nessuna risposta agli stimoli anche di tipo doloroso.

         Questo dal punto di vista neurologico, cioè quelle patologie organiche del cervello che alterano la mente e il comportamento, esattamente come negli esseri umani: chi è malato di sclerosi multipla può avere allucinazioni. Ma, come gli esseri umani hanno sintomi mentali senza malattie conclamate del cervello, così anche gli animali. Un cane trattato male tende alla depressione. Anche i gatti sono amici degli umani, quindi se lasciati troppo a lungo soli, possono soffrire di ansia di separazione e urinare per tutta casa.

          Quando si parla di emozioni come paura e angoscia, bisogna dire anche che lo stress viene vissuto da ogni costituzione dell’animale in maniera diversa. Un maltese che deve camminare per la strada ha uno stato emotivo diverso dal molosso, che ha una costituzione neurormonale molto diversa.

           Anche le malattie fisiche possono essere specifiche di certe costituzioni. Per i cavalli abbiamo la paralisi ipercalcemica del Quarter Horse, la atrofia cerebellare del purosangue arabo, e così via. Per la specie canina sono particolarmente predisposte alle patologie delle vie aeree superiori le razze brachicefale (stenosi delle narici, procidenza del palato molle). Fare il veterinario è difficile perché il paziente non parla e non riferisce i sintomi e poi perché la anatomia e la patologia variano da specie di animali ad altre e il veterinario quindi deve sapere molte cose. Per esempio nel cavallo il palato molle è sotto l’epiglottide, invece nel cane il rapporto è invertito e il palato è disposto sopra l’epiglottide. Nel bovino poi abbiamo altri organi. Il rumine è il prestomaco più grande del bovino e occupa tutto lo spazio di sinistra. Palpando con la mano si percepisce una sensazione di affossamento alla pressione, modificazioni di questa risposta avvengono  per motivi: dietetici, come in corso di timpanismo per aumento della tensione di parete, oppure in corso di dislocazione abomasale sinistra per allontanamento del rumine dalla parete. Un altro prestomaco del bovino è il reticolo. Nel cane e nel gatto il fegato normalmente non è palpabile perché dietro le coste spurie. Diventa palpabile per aumento di volume da cause circolatorie, degenerative, neoplastiche (talvolta percezione di irregolarità).

           Di solito un animale non vive uno stress interrotto ma continuo: un cane sta in una casa con i bambini ed è stressato, esce per fare i bisogni ed è stressato dalle automobili, e così via. Lo stress è cronico e si accumula nel tempo. Lo stress procura anche tossine e infiammazione, quindi l’animale stressato finisce con l’ammalarsi anche fisicamente. È il concetto di malattia psicosomatica: quando una emozione negativa procura una malattia organica.

          I proprietari di animali li amano di solito, ma spesso i proprietari non si immedesimano nella psicologia dell’animale, quindi lo trattano da umano anche se non lo è. Tale atteggiamento a lungo andare stressa l’animale, questo allora inizia con lo stare male. Questo è evidente non solo nei cani, ma soprattutto nei gatti, che sono più sensibili e risentono di stimoli negativi anche minimi. Gli animali non sono cose, ma sono esseri dotati di una mente.

          Può sembrare una cosa da niente, ma i cani di solito non amano essere accarezzati sulla testa. Per alcuni cani il gesto è quasi indifferente, ma per i biotipi più sensibili la carezza sulla testa, essendo inteso come un gesto di sottomissione, può ferire profondamente l’autostima. Inchinare la testa dovrebbe essere un movimento scelto dall’animale stesso, quando decide lui di sottomettersi, e non invece imposto dal proprietario anche mediante una carezza, gradita solo a quest’ultimo, mentre l’animale la vive in tutt’altra maniera. Altri gesti che per noi sembrano giochi o comunque comportamenti ai quali il cane si abitua, pare agli esperti che il cane non sopporta: per esempio afferrargli il muso, tirargli il pelo, traslocare (il cane è un essere abitudinario che vuole sentire gli stessi odori e stare negli stessi ambienti), suoni forti (aspirapolvere, petardi), odori forti (i quali non solo lo disturbano psicologicamente ma gli creano spesso allergie e irritazioni), violenza, bagni frequenti.

          Quindi per comprendere lo stato di stress di un animale va analizzato prima di tutto il comportamento del proprietario. Il buon amante dell’animale deve entrare in empatia con esso ragionando al suo livello. Molti vogliono che un cane o un gatto ragionino come un essere umano, ma è un grande errore.

          Molto spesso poi un proprietario ha dei problemi di ansia o di irritazione che poi trasferisce sull’animale in una maniera molto precisa. Per esempio, quando un cane si gratta per l’ansia e il proprietario continua a sgridarlo, il cane perde la fiducia verso il padrone e si vede accresciuto lo stress. Certe razze sono particolarmente sensibili, come il pechinese, quindi diventano sempre più stressati anche per stimoli che sembrano non eccessivi.

          Cani e gatti sono esseri intelligenti. Il mito che la intelligenza sia appannaggio degli umani è stato scalfito da tempo. Per esempio un cane che vive a contatto con la padrona può accorgersi che questa è incinta. È sicuramente un fatto di fiuto: un uomo ha 6 milioni di cellule olfattive, mentre un cane 300. La donna incinta ha una rivoluzione ormonale di cui il cane si rende conto per via del cambiamento di odore. Ma non solo. Un cane può accorgersi anche che le abitudini della padrona sono cambiate fino a capire che questa è incinta tanto da iniziare a starle accanto continuamente per proteggerla. Ma non è finita qui. Cani e gatti sono talmente intelligenti e intuitivi che possono addirittura mimare inconsapevolmente le malattie psichiatriche dei padroni! 

          Se un animale non sta bene dal punto di vista fisico anche la sua mente non funziona bene. Quindi, oltre al proprietario, un animale può stare male emotivamente anche per via di propri stati fisici. Esattamente come negli esseri umani. Una persona che da qualche giorno è stitica diventa irritabile. Una donna con le mestruazioni spesso è ingestibile per via di continui sbalzi di umore. Alcuni antiparassitari inibiscono il GABA, quindi determinano una predominanza della dopamina, un neurormone che dà impulso e attivazione, rendendo l’animale particolarmente ingestibile. Certi prodotti alimentari industriali per cani hanno un eccesso di metalli pesanti, i quali si accumulano nelle parti grasse dell’organismo: il cervello è ricchissimo di grassi, quindi il mercurio o l’alluminio si sedimentano nel cervello del cane e lo rendono particolarmente ansioso. Un cane riempito di glutammato, anch’esso presente nei prodotti industriali, tenderà ad essere iperattivato. Un cane o un gatto con un forasacco che causa dolore diffuso possono essere, senza una malattia della psiche, depressi oppure insofferenti a tutto. Il cane e il gatto possono grattarsi certamente le orecchie, ma se lo fanno troppo spesso il proprietario dovrebbe sospettare qualcosa, come un forasacco, specie se l’animale inclina anche la testa. Grattarsi spesso in quella zona potrebbe essere pure sintomo di acari alle orecchie o di infezione.

           I disturbi psicosomatici negli animali si sviluppano per una interazione tra problemi fisiologici, psicologici, psicosociali e ambientali.  Molto spesso i veterinari non considerano la psiche dell’animale nei vari disturbi che questo presenta. Si parla poco in veterinaria della psicosomatica, cioè per esempio che una dermatite può derivare non da germi ma da uno stato di stress. Molto spesso disfunzioni immunitarie riguardano la psiche dell’animale in quanto lo stress influisce sul sistema immunitario, oltre che sul sistema endocrino. Se il veterinario blocca il sintomo fisico con il farmaco ma non la causa psicosomatica, l’animale si ammalerà di nuovo dopo qualche tempo.

            La mente degli animali domestici non è solo intelligente, ma anche emotiva. Cani e gatti rispondono agli stimoli ambientali non in maniera automatica ma filtrata da una mente emotiva. Già Freud individuava nei gatti una fonte di benessere e di felicità, ponendo una base per la pet-therapy. I gatti non sono cose, ma individui dotati di una mente intelligente e emotiva, come tuti gli animali domestici, che quindi possono servire per stringere una relazione benefica per entrambi. I gatti si prestano particolarmente alla cosa (più dei cani) perché sono animali indipendenti, al contrario del cane, quindi con il gatto è più facile stabilire una relazione più libera e ricca di risvolti.

             Anche nei cani disturbi alimentari possono derivare da disturbi psicologici, che riguardano la sfera emotiva e relazionale, esattamente come negli esseri umani. L’alimentarsi serve sia nell’uomo sia nel cane e nel gatto per stare meglio psicologicamente, quindi i disturbi alimentari servono per fronteggiare dei picchi emozionali. La tensione che l’animale vive in quel momento viene diretta nell’assunzione di cibo in modo da tornare all’equilibrio emozionale. Se il cane richiede attenzione e non viene soddisfatto, può ingoiare un sasso o un pezzo di legno, cioè compare la sindrome della pica, ingerisce cose non commestibili. Ma la descrizione di un comportamento singolo è come un sintomo, allora per fare la diagnosi non basta sapere il sintomo ma tutto il contesto: per esempio la sindrome della pica può dipendere anche da un deficit cognitivo nel cane anziano, cioè invecchiando perde la cognizione della cosa giusta da fare oppure la pica può comparire anche nell’adolescenza del cane oppure in concomitanza di cause organiche (parassiti intestinali, malnutrizione, patologie neurologiche, endocrine come nel gatto il diabete).

          C’è poi tutto il problema dell’aggressività negli animali. Pensiamo al cane. Molti proprietari si lamentano che il cane ringhia. Ora, è come per le persone. Quando un umano dice “ti spacco la faccia”. può scherzare con un amico o può litigare quando gli hanno rubato il portafogli. Anche un cane può emettere un ringhio quando gioca con i bambini oppure quando si sente minacciato. Sono due ringhi ma per distinguerli bisogna conoscere il linguaggio non verbale dei cani, che è molto diverso nel gioco oppure nello scontro fisico. Un cane, un gatto, un cavallo non attaccheranno mai per gusto di farlo, come invece uno psicopatico può offendere il sottoposto al lavoro senza motivo. Se un cane ringhia sul serio al padrone, è perché questi non ha imparato a dare all’animale la sicurezza necessaria. Il cucciolo è stato picchiato? Ha subito altre prevaricazioni? È stato molestato mentre mangiava?

          Lo stress è una risposta fisiologica a un pericolo. Se una gazzella vede un leone sta in una fase di attesa, quindi cade in stress acuto quando produce molta adrenalina che prepara l’organismo alla fuga innalzando la pressione arteriosa e la pulsazione del cuore. Nei cani non c’è un discorso generale sullo stress: un pastore tedesco reagisce a un pericolo attaccando, mentre un barboncino reagisce bloccandosi dalla paura. Esistono quindi due reazioni allo stress: attiva (attacco o fuga) e passiva (blocco). Il discorso è complesso dal punto di vista ormonale e costituzionale, ma in genere le due reazioni hanno due diversi tipi di corredo ormonale. Nel primo cane l’ipofisi è più attiva con produzione maggiore di adrenalina, mentre nel secondo cane l’epifisi è più attiva dell’ ipofisi, che quindi produce meno adrenalina. Anche quando parliamo di aggressività un conto è il primo cane, un secondo il secondo: nel cane lupo l’aggressività è un attacco contro un pericolo imminente, invece nel cane più tranquillo è una reazione alla paura, come quando viene curato male dal padrone.

          In ogni modo un cane arrabbiato o impaurito sta in uno stato continuo di stress. Un cane soffre lo stress anche quando viene abbandonato oppure si distacca male dal padrone. Lo stress produce maggiori livelli di cortisolo e questa condizione determina spesso tumori. Perché? L’attivazione simpatica correlata all’ipercortisolemia crea vasospasmo spesso nella mammella della cagna, quindi acidosi e sviluppo di forme tumorali. Allora nella cagna il distacco produce spesso tumore alla mammella perché nella sua psiche la mammella è simbolicamente collegata agli affetti.

          Gli animali, sembra ai più, non commettono atti aggressivi con l’intenzione di fare del male gratuito, cosa che invece fanno gli esseri umani. Un cane può attaccare chi crede inferiore per stabilire la dominanza ma mai per umiliare gratuitamente (anche se di dominanza si parla talvolta a sproposito, comunque essa è assente nei cuccioli fino a tre mesi). Un animale può mordere quando ha il mal di denti: oppresso dal dolore non si controlla più. Ma l’uomo è molto diverso, questi ha anche quella aggressività detta distruttiva (Fromm), cioè senza uno scopo interpersonale che la giustifichi. Ciò dipenderebbe dalla coscienza evoluta umana, che permette di scegliere tra diversi tipi di azione, anche quelli puramente sadici. Quindi gli esseri umani hanno sviluppato altresì strategie per neutralizzare quei componenti della società che fanno del male agli altri, anche ma non solo per scopo utilitaristico, come nel furto o nella rapina.

          Esiste una branca della psicologia detta psicologia della testimonianza. Anche in questo caso non si tratta di verità assolute, ma di alcune indicazioni che gli psicologi possono fornire agli operatori di polizia e ai magistrati per meglio comportarsi nei confronti di rei, testimoni, vittime.

          Esiste il problema del testimone che dice il falso, sin dall’antichità, pensiamo al comando di Non mentire espresso nei Dieci Comandamenti. Ci sono bugiardi psicogeni (che mentono in preda ad un forte desiderio di colmare uno schiacciante complesso di inferiorità), bugiardi patologici (che mentono in preda al delirio), ma anche semplicemente delle persone in buona fede che dicono il falso non perché vogliono mentire ma perché non ricordano bene. Perché? Perché la memoria non è mai come aprire un cassetto nel passato, ma è una rielaborazione, che dipende da abitudine, stati emotivi, e così via.

          Noi abbiamo una Memoria a breve termine e una Memoria a lungo termine. Ci sono casi in cui il passaggio dalla prima alla seconda non avviene in maniera adeguata, quindi il testimone crede di ricordare cose non successe nella realtà. Semplicemente i dettagli non entrati nella Memoria a lungo termine, sono riempiti con ricordi falsi. Facciamo solo il caso dello script. Lo script è una abitudine che può influenzare il ricordo. Andiamo tutte le mattine a fare rifornimento al solito benzinaio, però la stessa persona che vediamo ogni mattina da anni cambia perché quel giorno aveva la febbre ed era sostituita dal fratello: noi non facciamo caso al cambiamento di persona e ci ricordiamo lo stesso viso che abbiamo visto per anni. Una cosa del genere può sembrare quasi irrilevante nella vita quotidiana, ma se abbiamo a che fare con un testimone di un omicidio, le conseguenze dello script sono tragiche.

             Inoltre, sembra che quando si consuma un crimine compare un’arma, questa può influenzare la memoria. Se per esempio il rapinatore aveva un’arma, è più facile che il testimone sia stato così focalizzato su questa e ricordi male il volto del delinquente.  

              Dagli esperimenti di Loftus appare che le informazioni successive possano modificare il ricordo in maniera statisticamente rilevante. Veniva proiettato il filmato di un incidente stradale, poi a ciascuna persona veniva chiesto di ricostruire l’evento assieme alla somministrazione di molte altre informazioni. I soggetti avevano ricordi differenti in relazione a queste informazioni sopraggiunte e non aventi a che fare con il filmato dell’incidente.

             Esiste anche la vittima che ricorda male. Per la legge di Yerkes-Dodson, più abbiamo attivazione, più abbiamo memoria, fino a che l’attivazione cresce in maniera spropositata e la persona smette di ricordare. Se ad un esame siamo un po’ agitati (stato di attivazione normale), tendiamo a ricordare bene la lezione. Ma se siamo vittima di uno stupro, questa attivazione incontrollata ci spinge a ricordare male o nulla. Quindi se in un esame il panico ci fa attivare in maniera eccessiva, dimentichiamo quello che abbiamo da dire e facciamo scena muta, ma quando la vittima di uno stupro ricorda male l’aggressore, qualche innocente può finire in galera per anni. 

          Quindi le polizie del mondo hanno sviluppato determinate tecniche, perlopiù mutuate da studi di psicologia e di neurofisiologia, per interrogare bene testimoni, vittime, sospetti, o persone informate dei fatti. Sia per non influenzarli sia per capire se stanno mentendo (il Statement Validity Analysis postula che un racconto vero sia strutturalmente diverso da un racconto falso).

          Esistono diversi tipi di reati, quelli più gravi vengono comunemente detti crimini, tra cui quelli violenti, come l’omicidio, la rapina, lo stupro. I reati violenti vengono perpetrati da soggetti particolari. Tutte le persone possono in un momento di alterazione fare atti inconsulti e trasformarsi loro malgrado in aggressori o assassini. In questi casi un semplice stato emotivo che ha cagionato l’atto criminale non esclude dalla imputabilità (art. 90 Codice Penale), a meno che non vi sia alterazione continuata o momentanea della capacità di intendere e volere. Ma esistono anche soggetti che operano aggressioni e omicidi in maniera reiterata, come i serial killer. Perché? Esiste certamente l’influenza ambientale (essere cresciuti in contesti anomici), esiste certamente qualche componente genetica (una specifica variante del gene MAO-A rende una persona più propensa all’aggressività). Fallon ha esaminato il cervello di alcuni criminali violenti e ha scoperto delle caratteristiche ricorrenti: disfunzioni a corteccia orbitofrontale e amigdala. Esistono in letteratura casi di individui prima sani che poi sono divenuti anti-sociali per via di traumi o malattie al cervello. Pertanto non esiste un solo tipo di criminale.

          Spesso si parla dei serial killer come di individui traumatizzati psicologicamente. Quando un bambino ha subìto abusi sessuali o percosse può avere un trauma psicologico, cioè un evento altamente stressante che lo destabilizza. Affinché egli continui a sopravvivere psichicamente scinde la psiche in tre parti:

  1. parte sana;
  2. parte traumatizzata;
  3. parte di sopravvivenza.

           La parte traumatizzata è profondamente umana, conserva il ricordo del trauma e ha comportamenti e sentimenti molto simili a quelli avuti nell’età in cui ha subìto l’evento traumatizzante. La parte di sopravvivenza è tesa a negare e a compensare il trauma con meccanismi di difesa. La parte sana regola i sentimenti e costruisce relazioni sicure e nella norma. Per esempio una persona che subisce un lutto, può traumatizzarsi e incorrere in una difesa come la negazione: si comporta come se il defunto non fosse tale, continua a parlargli e non sente il distacco. Può accadere che un individuo compensi il trauma diventando un assassino spietato: è così che nascono molti serial killer. L’antisocialità che si esprime anche negli omicidi seriali è un meccanismo di difesa teso a esorcizzare e placare il trauma psicologico.  

          Chi ha a che fare con i criminali sa molto bene che, nella stazione della polizia, la vittima si presenta in un modo, il semplice testimone in un altro, il delinquente vittima degli eventi in un modo e quello abituale in un altro modo. In molti casi l’omicida psicopatico o il serial killer presenta la cosiddetta “sindrome da alienazione”, in cui dimostra di avere questi tratti della personalità: sfiducia, pessimismo, ostilità, disprezzo di sé e degli altri, alta antisocialità. 

           Di solito una persona colpevole si sente schiacciata dal crimine e dagli inquirenti, quindi la prima cosa che vuole fare è confessare. Ma non sempre: certi psicopatici o bugiardi patologici sanno mentire molto bene e anzi vogliono farsi beffa degli inquirenti. Alcuni criminali poi hanno paura della galera e quindi si dichiarano innocenti in tutti i modi. Di solito la persona innocente vuole dimostrarlo in tutte le maniere. Ma a volte ha paura della polizia e quindi confessa cose che non ha fatto. Allora qui entra in azione la preparazione specifica del buon investigatore e del buon magistrato, inquirente e giudicante.

              I criminali di professione sono abituati psicologicamente all’eventualità dell’arresto, dell’interrogatorio e del carcere, quindi difficilmente parlano. Membri di gang, sette, servizi segreti, mafiosi sanno anche che, se parlassero, la punizione dei “fratelli” sarebbe di gran lunga peggiore del carcere. Gli uomini di mafia hanno una avversione atavica verso lo stato, dal quale si sentono storicamente defraudati del proprio. Sono mossi, oltre che dagli interessi, soprattutto da un non riconoscimento dello stato in quanto tale. Ciò giustifica non solo la loro reticenza negli interrogatori, ma anche l’odio tremendo che nutrono verso le strutture statali e i loro rappresentanti.

           Raffaele Cutolo, capo della Nuova Camorra Organizzata, morto nel 2021, fu protagonista di un episodio poco conosciuto, ma che è indicativo della psicologia del mafioso. C’era una volta un vicedirettore del carcere di Poggioreale, si chiamava Giuseppe Salvia. Un giorno affronta Raffaele Cutolo, poiché al rientro da un’udienza in un processo, il boss di Ottaviano non volle essere perquisito, come prescritto dal regolamento. Al rifiuto posto agli agenti penitenziari, che temevano ripercussioni, il vicedirettore perquisì personalmente il Capo della Nuova Camorra Organizzata. Fece il suo dovere! Il boss cercò di schiaffeggiarlo. Il 14 aprile del 1981 Salvia fu barbaramente trucidato in un agguato a Napoli. Per l’omicidio è stato condannato quale mandante Raffaele Cutolo che, per questo delitto, scontava un ergastolo. L’ordine di Cutolo fu dato a Rosetta Cutolo, che a sua volta avrebbe dato l’incarico al gruppo criminale. Giuseppe aveva 38 anni, era sposato e aveva due figli piccoli.

          Il FBI che vediamo tutti nei film americani non è in sé una polizia, anche se può svolgere alcune funzioni tipiche della polizia. Alcuni paragonano il FBI a un servizio segreto interno agli USA, un po’ come la NSA, la agenzia di intelligence più misteriosa del mondo.  Invece la CIA sarebbe il servizio segreto statunitense per l’estero. Gli agenti speciali del FBI possono trovarsi nelle condizioni di interrogare terroristi che minacciano la sicurezza nazionale, quindi il servizio ha sviluppato tecniche molto interessanti, che il futuro agente speciale deve conoscere alla perfezione per ottenere il brevetto finale, dopo il superamento di dure e difficili prove.

         L’arte dell’interrogatorio si acquisisce con anni di pratica, una delle cose più difficili da imparare è stare in silenzio per non influenzare il teste. Sembra qualcosa di gestibile, ma spesso chi fa le domande, preso dall’emozione, dalla voglia di scoprire, dalla rabbia verso un presunto delinquente, tende a condizionare con le sue domande schiaccianti chi sta rispondendo, anche semplicemente facendolo desistere per paura.

           I manuali del FBI innanzitutto distinguono tecnicamente tra intervista e interrogatorio. La prima è rivolta a sapere qualcosa, il secondo è rivolto espressamente a chi sa ma non vuole parlare (quindi è spesso volto a ottenere una confessione). 

          Il FBI propone una procedura con 8 step sia per l’intervista sia per l’interrogatorio. Ma per l’interrogatorio sono utilizzati anche altri modi di fare (per esempio l’accusa esplicita).

         Essi sono:

  1. Preparazione: ciò che avviene prima di entrare dentro la stanza del colloquio. L’agente speciale deve sapere tutto del caso (conoscere i verbali di sommaria informazione), deve scegliere una stanza asettica solo con tavolo e sedia, dove inserire eventualmente oggetti in vita di uno scopo preciso (se la persona pare un duro, farlo sedere su una sedia scomoda, mostrargli un ampio fascicolo con sopra il suo nome per impressionarlo, e così via);
  2. Presentazione: l’agente entra nella stanza e si presenta. Deve stare bene attento a fare una prima impressione utile allo scopo;
  3. Costruzione del rapporto: l’agente stabilisce un rapporto colloquiale e mai minaccioso (le minacce sono assolutamente controindicate perché portano a false dichiarazioni);
  4. Domande;
  5. Verifica: mi hai detto tutto? Hai altro da aggiungere?
  6. Catch-all question: hai altro da dirmi che non ti ho chiesto?
  7. Congedo felice: l’agente deve lasciare una buona impressione, questo serve a spingere il teste a ritornare se ricorda cose nuove;
  8. Autocritica.

         Negli USA polizia e FBI sono più liberi che in Italia, anche senza ricorrere a torture. Qui da noi, invece, c’è l’art. 188 del Codice di Procedura Penale, che vieta di usare mezzi subdoli nell’intervista o nell’interrogatorio. Se il carabiniere dice al sospetto di confessare qualche reato sotto la minaccia di andare in galera, quest’ultimo può avere paura, di fronte alla minaccia di prendersi l’ergastolo può fare una falsa confessione per un reato minore. Allora se lo scopre l’avvocato, questi impugna l’interrogatorio e tutti i dati emersi in esso.

          Inoltre la psicologia evidenzia dei segni comportamentali di menzogna. Non è come nei film, in cui si vede che un dato atteggiamento dimostra la menzogna. Nella realtà si tratta semplicemente di indicazioni, che possono far sospettare una falsa testimonianza, ma non ne sono la prova assoluta (a volte questi segnali compaiono semplicemente sotto stress). I principali sono (non compaiono tutti, di solito due o tre):

  • Voce molto alta, alterata;
  • Contatto oculare meno frequente;
  • Aumento della gestualità con le mani;
  • Cenni d’intesa meno frequenti;
  • Aumento degli errori nel discorso;
  • Rallentamento del ritmo nel parlare;
  • Atteggiamento di chiusura con le braccia (braccia conserte);
  • Frequenti contatti delle mani con il volto.

          Secondo recenti studi i principali segnali della menzogna (o comunque della attivazione emotiva, anche non necessariamente collegata alla menzogna) sono:

  • Dilatazione delle pupille;
  • Sollevare il mento;
  • Stringere le labbra;
  • Tono di voce (tremolante, più acuto).

          È stato detto che che in una intervista o interrogatorio ci devono essere tre tipi di domande:

  • Rilevante il fatto specifico (Hai ucciso Tizio?);
  • Non rilevante (A che ora sei andato a cena da Tizio?);
  • Possibilmente minacciosa ma non rilevante (Sapevi che Tizio era ricco?).

           La persona innocente mostra segnali di attivazione emotiva nella domanda rilevante il fatto e in quella minacciosa ma non rilevante. Invece il colpevole ha segnali di attivazione emotiva nella domanda rilevante (perché ha commesso il delitto, quindi rivive emotivamente il fatto specifico) e di tranquillità nella domanda minacciosa ma non rilevante.

          Oggi il FBI si trova a fronteggiare soprattutto queste minacce:

  • Raccoglie informazioni sulle attività criminali per costituire dei database di supporto alle indagini proprie e della polizia;
  • Controspionaggio: attività volta a tutelare la nazione dalle spie straniere attive sul territorio degli Stati Uniti;
  • Antiterrorismo (Terrorist Screening Center, Terrorist Explosive Device Analytical Center, Joint Terrorism Task Force)  e WMD (Weapons of Mass Destruction);
  • Penale: contro i reati federali, come quelli postali e le rapine; programma protezione testimoni, assieme ai US Marshals; assistenza alle vittime per opera di FBI victim specialists (inquadrati nell’OVA, Office Victim Assistance); i FBI forensic accountants seguono le tracce di denaro contro i reati patrimoniali; la BSU o Behavioral Science Unit offre supporto alla polizia statale in merito a crimini particolarmente complessi, come omicidi, incendi, stupri, atti contro i bambini; la CNU o Crisis Negotiation Unit è specializzata nell’attività di negoziazione per la liberazione di ostaggi; il HRT o Hostage Rescue Unit è adibito ad operazioni ad elevatissimo rischio; unità cinofile dette anche K-9; unità di sommozzatori dette anche USERT; e così via;
  • Cyberspazio: attività contro attacchi informatici interni e esterni e attività di indagine penale informatica a supporto della polizia.

         Il FBI ha propri uomini per il reclutamento del personale, l’addestramento, la supervisione degli agenti speciali, nonché per le attività di polizia interna al FBI. Indaga direttamente sugli omicidi dei suoi membri, di quelli della CIA e delle altre agenzie federali. Il FBI addestra direttamente o indirettamente anche unità informative e operative nei paesi del mondo: per i carabinieri in Italia, le APE (Aliquote Primo Intervento) e il GIS (Gruppo di Intervento Speciale) risentono altresì della scuola statunitense. Il GIS, fondato nel 1977 come unità controterrorismo, è divenuto in seguito una forza speciale, impiegata anche all’estero. Per molto tempo il GIS è stato guidato dal Comandante Alpha, il carabiniere più decorato d’Italia, la cui vera identità è nell’ombra. Il GIS catturò nel 2010 Gerlandino Messina, considerato il numero due di Cosa Nostra. Invece Salvatore Totò Riina venne arrestato nel 1993 dalla sezione CRIMOR del ROS (Raggruppamento Operativo Speciale), celebre organo investigativo dei carabinieri.

         Non esiste un solo tipo di crimine. In Italia le organizzazioni a delinquere si stanno evolvendo secondo un fenomeno conosciuto come “oligarchizzazione delle mafie”, come dicono i criminologi. Gli strati più alti delle mafie intesserebbero rapporti di mutuo scambio con l’alta finanzia e le massonerie (anche Riina parlava di questi vertici), entrando subdolamente nelle strutture interne dello stato e dei poteri forti e perpetuando crimini come voto di scambio, corruzione, concussione, aggiotaggio, peculato e riciclaggio ad alti livelli, mentre i mafiosi di basso rango commetterebbero crimini più popolari come spaccio di droga, rapine, estorsioni, e così via.

              Musacchio parla a proposito di “paramafia” o “mafie invisibili”, le quali non rientrano tra gli elementi essenziali sanciti dall’art. 416 bis del Codice Penale, ma sono mafia molto di più di quella disciplinata legislativamente. Non usano la lupara, ma il denaro e il potere come armi. 

            Questo fenomeno è conosciuto anche negli Stati Uniti dove la struttura mafiosa LCN, imparentata con Cosa Nostra, intesse rapporti criminali molto in alto. Il FBI parla a proposito di criminali White-Collars, Colletti Bianchi. Secondo il modello di Sutherland, i professionisti, i politici e i mafiosi di alto rango (cioè i Colletti Bianchi) commettono soprattutto crimini economici, i quali differiscono dai reati economici comuni (come il furto) per via della rispettabilità del criminale (essendo del ceto alto) e per via del contesto professionale rispettabile (politici, avvocati, e così via) nel quale il criminale opera.

            I Colletti Bianchi sono terreno fertile per lo spionaggio straniero, il quale può scegliere propri uomini tra le file dell’alta società di una nazione con lo scopo di operare più efficacemente a danno della stessa. Il FBI resta particolarmente attento, nel suo compito di intelligence e di controspionaggio, per identificare certi agenti, come riesce spesso: e i media ne parlano apertamente. Per esempio è risaputo che la Cina raccoglie dati del DNA negli USA e in tutto il mondo costituendo una minaccia alla sicurezza statunitense ma anche una possibilità di abuso dei diritti umani di gruppi minoritari in suolo cinese. Negli USA la influenza maligna straniera non si concretizza solo nelle azioni di spionaggio tradizionale per carpire diversi tipi di segreti, ma anche nell’influenzare il sentimento politico degli americani. Per questo nel 2017 il Direttore del FBI Christopher Wray ha istituito la Foreign Influence Task Force.

            Un settore particolarmente rilevante è costituito da quegli agenti FBI, CIA o di altri servizi segreti occidentali che sono reclutati da potenze straniere per scucire a pagamento informazioni sensibili. È risaputa la storia di Robert Hanssen, agente del FBI incaricato del controspionaggio, il quale dai primi anni Ottanta al 2001, anno del suo arresto, rivelò ai Russi importantissime informazioni a danno degli americani, per esempio sugli armamenti ma anche sulle spie del KGB che erano state a loro volta reclutate dagli USA a danno dell’URSS.

            Nei servizi segreti del mondo le informazioni provenienti da attività di intelligence interna e esterna vengono analizzate da professionisti che si prefiggono diversi scopi: dalla sicurezza nazionale (per esempio bloccare reti terroristiche) alle decisioni politiche (fare leggi che contrastino in maniera mirata certe attività criminali, stipulare alleanze strategiche con stati per interessi economici, e così via). La semplice informazione va sempre analizzata per poter divenire fonte di conoscenza, cioè valutata e integrata con altre informazioni per poter capire realmente un fenomeno e decidere il da farsi. Ma, come nota un grande esperto di analisi d’intelligence, Marrin, l’attività degli analisti delle informazioni sensibili viene poco considerata e usata dai decisori politici. Questo per varie ragioni, ad esempio quando le analisi contrastano con la linea elettorale del leader politico.

        Di solito, stando alle informazioni che trapelano sui media, un servizio segreto sarebbe organizzato con tre tipi di mansioni:

  • I funzionari sono negli uffici, partecipano ai meeting, riferiscono al Parlamento e agli organi di stampa. Per esempio, quando in Italia era circolante il Mostro di Firenze, i funzionari si occupavano di analizzare i delitti e di coordinare le indagini;
  • I veri e propri agenti segreti sarebbero infiltrati nella popolazione, spesso con falsa identità, per raccogliere informazioni (le cosiddette spie e talpe) e fare attività sotto copertura. Sempre riferendoci al Mostro di Firenze, gli agenti erano stati chiamati a far finta di essere coppiette in automobile per attirare quell’assassino seriale, invece erano armati e lo attendevano;
  • Ci sarebbero poi i collaboratori, cioè professionisti in varie discipline, i quali, pur non appartenendo al servizio segreto, offrono alcune prestazioni. Il noto criminologo Francesco Bruno, pur non essendo nelle fila dei servizi segreti italiani, venne chiamato a fare una indagine, i cui risultati espose in 5 ore.

           Anche nelle polizie del mondo e nei carabinieri, che sono una forza armata in servizio permanente di polizia, ci sono funzionari che stanno nella stazione di polizia o nella caserma, si occupano di modulistica, partecipano in maniera ufficiale alle attività di polizia giudiziaria, poi c’è tutta una serie di agenti infiltrati nelle varie organizzazioni o che stanno comunque sotto copertura tra la popolazione per tutelarla dalle minacce criminali.

           Il FBI fa la stessa cosa: ci sono sia membri incaricati per esempio di rilasciare la certificazione per chi vuole arruolarsi nella polizia statale, ma anche agenti in servizio segreto (è da poco salito all’onore della cronaca che negli USA agenti del FBI si erano finti come autisti di grandi trafficanti di droga e riuscirono alla fine ad arrestarli).

           I Servizi e le polizie hanno diversi modi per ottenere informazioni. Certamente ci sono quelli più tecnologici (la classica microspia, i controlli informatici e delle telecomunicazioni, e altro), ma le spie sono tuttora l’elemento fondamentale. Sono dette in gergo HUMINT. Si pensa che gli attentati del 11 settembre 2001 siano stati possibili per un fallimento delle HUMINT. Quindi i Servizi si sarebbero riorganizzati.  

           Oggi ci sono anche gli studi della vittimologia. Esistono persone che sono predisposte a diventare vittima, e spesso sono anche “vittime recidive”, con i loro comportamenti anche patologici attirano l’interesse dell’aggressore. La vittima può essere completamente innocente (non attira) oppure più o meno facilitante. La “vittima innescante” è quella talmente facilitante che ha più responsabilità dell’aggressore nello scatenamento della violenza. 

           Certamente una persona inconsciamente masochista può anche provocare una persona a farle del male: in questo caso la psicopatologia della vittima facilita il crimine. D’altro lato, la vittima può subire un trauma tale da ammalarsi psicologicamente, come nella sindrome da trauma da stupro (Burgess, Holstrom 1974).

             Il crimine a volte può essere qualcosa di complesso e si può solo spiegare nella interazione aggressore-vittima. I casi di stupro sono psicologicamente molto complessi e la vittima va analizzata da personale con molta esperienza.

              Bisogna altresì dire che in criminologia, così come in psicologia e in psichiatria, non ci sono mai modelli validi sempre e per tutti. Ogni situazione va analizzata nello specifico.

               Una persona può morire a causa di quattro fattori:

  • Naturale;
  • Accidentale;
  • Suicidio;
  • Omicidio.

         Non sempre è facile stabilire la causa della morte e distinguere tra queste quattro categorie. In caso di morte equivoca, si analizza la scena del crimine oppure il medico legale tenta di capire se c’è stato suicidio o omicidio, o altra morte. Nel caso che permangano ancora dubbi, si ricorre alla autopsia psicologica, cioè si traccia il profilo psicologico e personologico dell’apparente suicida per capire se questi possa realmente essersi ucciso da solo.

           Quindi anche la vittima morta può parlare e fornire molte indicazioni, basta saperle trovare. In caso di aggressione con omicidio è possibile che sotto le unghie della vittima ci siano tracce della pelle dell’aggressore perché la vittima si difende. Chi si suicida ha spesso microspruzzi del proprio sangue sulla mano che impugnava l’arma (in caso di omicidio e depistaggio sulla scena del crimine, la mano dell’apparente suicida impugna l’arma ma non ci sono tracce né di sangue né a volte della polvere da sparo).

            Shneidman è il padre della suicidologia, cioè dello studio della psiche dei suicidi, e quindi anche della autopsia psicologica. Non si tratta di un avvicinamento alla morte ma di allontanamento dalla vita per via di un problema considerato più grave della morte (pressione psicologica e conseguente agitazione psicomotoria fino al turbamento) in una condizione di acuto dolore psichico (psychaché). 

           Di solito chi si uccide presenta questo percorso (che gli studiosi tentano di ricostruire nel processo di autopsia psicologica):

  • Pochi motivi per vivere;
  • Alta dimensione pulsionale con scarsa capacità di elaborazione del conflitto psichico;
  • Piani di suicidio;
  • Tentativi di suicidio;
  • Suicidio riuscito.

         Ogni individuo è unico, quindi ogni suicidio è unico, anche se ci sono alcuni parametri che sembrano ricorrere (in genere le Comunanze che ricorrono più spesso sono 10).

           Chi decide di uccidersi può alternare questa decisione con comportamenti apparentemente incompatibili, come uscire la sera con il partner. Di solito chi si uccide, prima lascia messaggi strani o ambigui nei quali compare in qualche modo la volontà di farlo.

             Beck ha ideato la SSI, cioè la scala per la valutazione del rischio di suicido (preventiva). Stanley ha messo a punto un’altra scala, detta SAS.

             Per Holmes e Holmes sono 4 i motivi principali per cui ci si uccide:

  • Finanziari
  • Salute fisica (malattie gravissime)
  • Amore non corrisposto
  • Salute mentale (borderline, schizofrenia paranoide, depressione).