In questi giorni divampa la polemica: da un lato, si sbracciano i sostenitori dello scritto di italiano, dall’altro, i suoi detrattori si difendono a suon di sgrammaticate raccolte di firme. Chi vincerà? Alla fine, prevedo che prevarrà il tradizionalismo e si conserverà il tema scritto di epoca prepandemica. Con non troppa convinzione, la maggior parte delle persone accetterà la scelta, qualsiasi essa sia, condita con il solito fatalismo italico del “Non abbiamo potuto fare niente”, che si udirà riecheggiare negli squilli di tromba a destra e a sinistra. Ma, sarebbe da chiedersi, quello dello scritto è il vero problema dell’Esame di Stato e – in definitiva – della scuola italiana? Si tratta ancora dell’Esame con la “E” maiuscola, che una volta si fregiava del titolo di “Esame di Maturità”? Un tempo, i professori si spostavano da un capo all’altro della Penisola per esaminare gli studenti delle altre scuole. Era una pratica, che consentiva uno scambio di idee e di conoscenze in una Nazione scarsamente omogenea, dal punto di vista culturale e delle istituzioni scolastiche. Oggi, se ci si basa sui risultati del Sistema Nazionale di Valutazione (leggi INVALSI), si può constatare che il livello culturale e delle scuole italiane è ancora assai eterogeneo. L’unico aspetto che ci accomuna da Nord a Sud è la sempre minore capacità di comprendere la lingua di Dante, Petrarca e Manzoni. E, in questo contesto, l’Esame di Maturità non poteva che diventare meno pretenzioso, tanto da essere ribattezzato più modestamente “Esame di Stato del Secondo Ciclo”, per differenziarlo dall’esame di terza media, nel frattempo diventato “Esame di Stato di Primo Ciclo”. Di quello di quinta elementare (ve lo ricordate?) si sono perse le tracce ormai da molti anni. Probabilmente, tra non molto, seguirà la stessa sorte quello di terza media, se non fosse che, con i tassi di abbandono scolastico, di cui possiamo vergognarci (13,5% nel 2019 contro l’obiettivo europeo del 10%), una bella fetta di popolazione resterebbe senza alcun titolo di studio. Insomma, avrete capito che, secondo me, il vero problema oggi in un Paese, dove gli scrittori pullulano laddove i lettori scarseggiano, non è discutere sull’abrogazione o meno del tema all’esame di quinta superiore. Bisognerebbe agire a monte, rimettendo l’Italiano al centro della nostra scuola italiana. Questa lingua, ormai misconosciuta e incompresa dalla maggior parte degli studenti e degli ex-studenti, avrebbe bisogno di essere quantomeno rispolverata. Diamo più ore a due materie da tempo bistrattate: Italiano e Lettere, liberandole da ripetitivi e triti progetti di Educazioni Civiche e Geografie e Storie e Competenze di Cittadinanza. A queste ultime, infatti, si sono tagliati e si tagliano gli spazi a favore della scuola innovativa, quella dei CLIL e dei CODING e di tutte le parole inglesi, di cui si ignora il reale significato. Ma, poiché pare che lo studio della Storia e della Geografia e del Diritto Pubblico ancora rivestano una certa utilità per il cittadino medio, i vari Ministri hanno stabilito di rifilare agli insegnanti di Italiano il compito di svilupparle al meglio, costringendoli a fare i salti mortali per confezionare progetti ad hoc nel corso delle loro numerosissime – sic – ore. Per favore, ridiamo dignità allo studio della nostra lingua, o tra poco dovranno istituire una Regione a Statuto Speciale per la minoranza linguistica costituita da coloro che sanno usare correttamente nel parlato e nello scritto il congiuntivo e il condizionale.
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