A dicembre 2019 la quota FCA nel mercato italiano è crollata al 23,72. Si tratta del dato più basso di sempre. Negli anni ‘70 Fiat/Lancia coprivano oltre il 60% del mercato, a cui bisognava aggiungere la quota di Alfa Romeo, allora ancora di proprietà IRI. Dunque i tre marchi italiani superavano il 70% del mercato dell’auto in Italia, oggi sono ridotti ad un misero 23%.
Si dirà l’apertura dei mercati, la globalizzazione, l’entrata del produttori coreani e cinesi negli ultimi decenni. Certo questi sono stati fattori che hanno fortemente aumentato la concorrenza tra le aziende automobilistiche mondiali. Ma in nessun paese il produttore nazionale, da sempre in posizione dominante, come Fiat in Italia, ha subito una tale riduzione di vendite, un vero e proprio tracollo.
Se poi allarghiamo lo sguardo al mercato europeo (dati 2018 ) vediamo che il gruppo FCA è fermo al 5,8 %, mentre il gruppo VW è al 23,03% ed il gruppo Peugeot è al 15,4%.
Negli anni ‘70 le quote di mercato in Europa di Fiat e di VW erano quasi uguali, mentre oggi il gruppo Volkswagen vende oltre quattro volte la quota di FCA!
Le cause di una tale performance negativa?
Sono principalmente dell’azionista di controllo e del management.
L’Avv. Agnelli, uomo abilissimo nelle relazioni, ha sempre curato moltissimo i rapporti politici e mediatici, molto poco l’aspetto industriale.
I suoi manager negli ultimi decenni hanno privilegiato gli interessi degli azionisti di controllo (LA FAMIGLIA) , piuttosto che curare il prodotto auto.
Gli investimenti hanno marginalmente interessato l’auto e molto di più altri settori (finanza, media ,assicurazioni ecc..). L’ultimo manager che conosceva a fondo l’auto è stato l’ing. Ghidella, cacciato da Romiti con l’avallo dell’Avvocato.
Anche Marchionne si è rivelato manager abilissimo nell’estrarre valore dalle società mediante coraggiose operazioni finanziarie; in definitiva ha privilegiato le operazioni di borsa piuttosto che le innovazioni tecnologiche ed il miglioramento della qualità del prodotto. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: oggi FCA dispone di pochi modelli e di qualità inferiore alla concorrenza. Fiat ha solo più Panda e 500 (quest’ultimo modello del 2007 mai rinnovato), Alfa vende poco i due modelli di punta (Giulia e Stelvio) ed è costretta ancora a vendere la Giulietta, modello del 2010 mai aggiornato, Lancia è ridotta alla sola Ipsilon, venduta solo in Italia.
Il giovane Elkann ha accentuato il distacco della famiglia dal settore auto cercando di vendere, massimizzando il guadagno. La cosa sembra riuscita con la vendita ai francesi di PEUGEOT. Sia ben chiaro: non è una fusione, bensì una vendita. Infatti i francesi avranno la maggioranza nel Cda, l’Amministratore Delegato sarà di PSA ed il centro vero di controllo sarà Parigi e non Torino.
Quando due anni fa PSA comprò OPEL, nella ristrutturazione conseguente all’acquisto, furono licenziati 7.000 dipendenti, tutti tedeschi ed eliminati alcuni modelli Opel che erano in diretta competizione con analoghi modelli PSA.
Temo fortemente che la stessa cosa si verificherà, entro un certo lasso di tempo, anche in Italia. Ci sarà l’inevitabile ristrutturazione, sempre necessaria dopo una fusione/vendita. Verranno eliminati modelli e stabilimenti italiani, perché costituiscono la parte debole del gruppo.
Infatti Jeep in USA sarà forse anche potenziata perché PSA non ha una presenza significativa negli Stati Uniti. Forse verranno salvati gli stabilimenti in Brasile, sempre perché PSA è meno presente in quel continente. Purtroppo in Europa invece PSA è molto più forte di Fiat, e dunque ad essere cannibalizzata sarà quest’ultima.
In tutto questo discorso ciò che sconforta è il servilismo di tanti media italiani che continuano ad ignorare i dati obiettivi di mercato.
Altrettanto deludenti i politici, di destra e di sinistra (i grillini non si pongono neppure il problema): infatti continuano a credere alle fantastiche promesse mirabolanti fatte dal management FCA, promesse sempre smentite dai crudi dati delle vendite.
Vorrei tanto essere contraddetto nel futuro, perché temo che il costo della lenta agonia di Fiat verrà pagato da Torino in primis e poi dall’Italia tutta.
Gianpiero Aureli