Nella giornata dedicata alle donne e ai loro diritti, non si può fare a meno di evidenziare, ancora una volta, purtroppo, luci ed ombre sul cammino delle donne verso una effettiva parità e verso il riconoscimento della loro dignità. Le ombre non possono che mettere a fuoco i dati drammatici sulla violenza di genere, tali anche in forza della pandemia in atto, che ha aggravato una situazione già difficile precedentemente. Infatti, i dati ISTAT evidenziano, con riferimento al periodo marzo 2020-maggio 2020, un aumento del 73%, rispetto all’anno precedente, delle chiamate al numero nazionale antiviolenza 1522; aumento da imputare, secondo l’Istituto centrale di statistica, non esclusivamente alla crescita dei casi di violenza, ma anche alla maggiore conoscenza del numero di soccorso, con conseguente incremento delle richieste di aiuto da parte delle vittime. Peraltro, delle 5.000 telefonate arrivate al 1.522, solo 695, rileva l’ISTAT, si sono trasformate in denunce; altre 164 donne hanno presentato la denuncia ma, successivamente, la hanno ritirata. I motivi della mancata denuncia delle violenze subite sono ricollegabili, secondo le rilevazioni dell’istituto centrale di statistica, nel 21,6% dei casi, “alle conseguenze negative che si possono generare nel contesto familiare”: la paura di non essere capite o, ancor peggio, credute (come se si potesse mentire su condotte così gravi e lesive della propria dignità personale!), unitamente al timore di poter perdere i mezzi di sussistenza per sé e per i figli, condiziona le vittime di violenza tanto da non voler denunciare per non “compromettere la famiglia”. Infine, se si considera che le violenze commesse tra le mura domestiche rappresentano ben il 93,4 % dei casi e le segnalazioni di violenza fisica sono state il 52,7%, con un aumento rispetto all’anno 2019 del 9,3%, mentre quelle di violenza psicologica il 43,2%, non si può che concludere che il fenomeno della violenza di genere presenta profili di rilevante allarme sociale, che non può e non deve passare inosservato. L’Italia, quale membro delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, in ossequio alle raccomandazioni ONU in materia di violenza di genere ed alle Convenzioni internazionali, è stato uno dei primi Paesi europei a sottoscrivere e ratificare, con la legge 27 giugno 2013 n. 77, la Convenzione sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, nota come “Convenzione di Istanbul”, adottata dal Consiglio d’Europa il giorno 11 maggio 2011 ed entrata in vigore il 1° agosto 2014, a seguito del raggiungimento del prescritto numero di dieci ratifiche. Il nostro Paese si è adeguato a quanto previsto dalla Convenzione di Istanbul con la legge 19 luglio 2019 n. 69, nota come “Codice Rosso”, che, conformemente a quanto previsto dalla Convenzione medesima, ha introdotto nuove fattispecie di reati, quali la “Diffusione illecita di immagini video sessualmente espliciti” (c.d. “Revenge porn”), la “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”, la “Costrizione o induzione al matrimonio, la “Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare” e del “Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa”. Inoltre, sono state aggravate le pene previste per reati già esistenti nel codice penale, quali quello di maltrattamenti in famiglia, atti persecutori, violenza sessuale e violenza sessuale di gruppo, atti sessuali con minorenne e, quale forma di tutela preventiva della vittima, la misura del divieto di avvicinamento alla vittima ed ai luoghi dalla medesima frequentati, la quale concorre con l’omologa misura preventiva prevista dal codice civile. Nonostante siano stato adottati gli interventi legislativi sopra menzionati, le istituzioni comunitarie, nel rapporto del 13 gennaio 2020, hanno evidenziato, per l’Italia, una lacuna legislativa conseguente all’assenza di rimedi civili nei confronti delle autorità statali che non abbiano rispettato il proprio dovere di adottare misura preventive o protettive adeguate nell’ambito dell’esercizio dei propri poteri, come previsto dalla Convenzione di Istanbul, il Governo italiano dovrà riferire alle istituzioni comunitarie entro il 30 gennaio 2023,, così come in relazione all’avvenuto adeguamento alle raccomandazioni finalizzate ad una effettiva tutela contro la violenza di genere. Seppur siano evidenti i progressi legislativi in relazione alla tutela delle vittime di violenza con il c.d. “Codice Rosso”, si deve, purtroppo, evidenziare che il cammino verso l’effettivo contrasto alla violenza di genere sia ancora, purtroppo, lontano, soprattutto sotto il profilo delle misure di prevenzione del fenomeno, che sconta, ancora oggi, la persistenza di forti stereotipi di genere e sociali. La colpevolizzazione della vittima costituisce parte rilevante del problema della violenza di genere, fenomeno che va contrastato non solo con adeguati strumenti giuridici, ma anche, e soprattutto, a livello sociale, con l’educazione delle nuove generazioni al rispetto dei diritti ed alla consapevolezza che la tutela della dignità della persona è un compito ed un obiettivo che riguarda tutti. Se quanto sopra rappresenta la zona d’ombra del fenomeno violenza di genere, si deve evidenziare un ulteriore passo avanti nel contrasto alla violenza di genere. Infatti, con la legge 15 gennaio 2021 n. 4, l’Italia ha ratificato per prima la Convenzione ILO (Organizzazione Internazionale sul Lavoro) sottoscritta a Ginevra il 21 giugno 2019, relativa al contrasto alla violenza ed alle molestie sul lavoro, che obbliga gli Stati ad adottare le necessarie misure al fine di tutelare le lavoratrici e i lavoratori, a prescindere dalla tipologia del rapporto di lavoro, estendendosi a tutti settori economici e dalle circostanze in cui possono verificarsi fattispecie di violenza e molestie, in occasione di lavoro, in connessione con il lavoro o, comunque, ricollegabili all’ambiente lavorativo anche mediante l’utilizzo di strumenti telematici.
La ratifica della Convenzione rappresenta, indubbiamente, un passo importante al fine di dare impulso a ulteriori misure di contrasto e di prevenzione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro, mediante il recepimento dei suoi tre pilastri (protezione e prevenzione, meccanismi di ricorso e di risarcimento, formazione e sensibilizzazione), anche a livello sovranazionale, considerata, purtroppo, la diffusione del fenomeno a livello europeo e mondiale.
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