Lo sguardo è attratto dalla pioggia. Scende dalla via tra le case come un velo possente e continuo.
“Ma cosa guardi! Perdi solo tempo.” Questa voce la conosco, la sento vicina e sono stupito, sussurro “Elena”.
“E bravo, mi riconosci, cosa aspetti a intervistarmi?”
“Non ho fatto alcuna evocazione.”
“Qui da noi si sa tutto e mi sono evocata da sola.”
Non c’è dubbio, è sempre stata determinata e decisa. È lei, la prima vera diva del cinema muto italiano, l’unica vera diva del cinema italiano, direbbe qualcuno.
È Francesca Bertini, al secolo Elena Seracini Vitiello, nata a Prato il 5 gennaio 1892, morta a Roma il 13 ottobre 1985. Figlia dell’attrice fiorentina Adelaide Frataglioni e del trovarobe napoletano Arturo Vitiello che la adottò e riconobbe, affermò qualcuno ben informato di quanto avveniva in teatro.
“Ebbene ho passato l’infanzia a Napoli, ero e sono una ragazza napoletana, come tutti sapevano.”
“E a Napoli hai cominciato a calcare il palcoscenico giovanissima.”
“Bene, sono contenta che usi il tu, ti dissi di farlo quando ci siamo conosciuti al Grand Hotel a Roma. Sì, sì, ero una ragazza e recitavo nella compagnia di Eduardo Scarpetta e non solo mi davo da fare e recitai in un gran numero di film muti, avevo parti secondarie. Mi sono sempre data un gran da fare.”
“Già, vero. Pietro Bianchi nel suo libro “La Bertini e le dive del cinema muto”, oltre a dire che le dive venivano illustrate con abiti molto scollati e piume di struzzo, scrisse che la Bertini ‘era stata la protagonista del film Assunta Spina, un film sulla tristezza delle plebi meridionali’, un film che ti rese diva.”
“Assunta Spina è stata girata a Napoli, recitai appassionatamente. Dissero poi che ero la prima diva, che quel termine era stato coniato per me.”
“Poi qualcuno disse che sei stata la prima e l’ultima diva, ovvero l’unica. Ricordata anche perché con aria tragica ti attaccavi alle tende…”
“A quell’epoca andava bene così, bisognava far capire al pubblico. Ho sempre recitato. Non parlavamo, era il muto. Ho girato più di cento film con la mia faccia. Ci truccavamo con un fiammifero, con un fiammifero acceso sotto un piattino, facevamo un po’ di nero.”
“In realtà eri truccatissima, capelli scuri, sguardi intensi come promesse ammalianti, avevi un successo strepitoso, eri desiderata, incantavi uomini e donne. Il tuo pubblico.”
“Verissimo, troppi uomini mi volevano. Io no. ho detto di no persino a Guglielmo Marconi.”
“Hai lavorato alla costruzione di te stessa, bellissima e affascinante.”
“Molto, moltissimo, ero la prima. Ero una donna allegra. Molto spericolata, ho volteggiato su un cavallo. Ero una donna audace in tutti i sensi.”
“Ecco il motivo per cui piacevi a molte donne, eri un simbolo, un esempio. Amavi te stessa.”
“Quando il Padreterno ha costruito Francesca Bertini, ha costruito una cosa perfetta. Un’altra Francesca Bertini non ci sarà più. Francesca Bertini ha lanciato Francesca Bertini.”
“Nel cinema hai fatto tutto: interpretazione, sceneggiatura, regia, la Bertini film. Talmente nota all’estero che bastava il nome Bertini per lanciare il film.”
“Ebbene? Era così, Francesca Bertini era famosa ovunque, libera, estrosa, impavida, sbarazzina. Una donna libera.”
“E ben pagata.”
“Guadagnavo tre milioni e cinquecentomila lire all’anno. La Bertini era l’unica, poteva vegliare fino a ora tarda e al mattino essere freschissima. Dal 1918 al ’21 ero l’attrice più pagata al mondo. Nel 1921 avevo fatto milioni a palate e 120 film.”
“Una donna fatale e irraggiungibile.”
“Ma no! Ero del cinema muto, un bel periodo. Desideravo una piccola casa come tutti. Nel 1921 ho sposato il conte Paul Cartier che aveva sedici anni più di me. Gli americani mi offrirono un contratto da un milione di dollari, ma lui non volle che facessi cinema in America. Sono stata felicissima con mio marito, vivevo in una splendida villa. Stavamo benissimo. Nel 1924 ho avuto un figlio.”
“Eri giovane, 32 anni. Niente più film?”
“Qualche particina, per il nome. Qualche apparizione televisiva e nulla. Gioie, dolori, nella vita ho appreso che tutto può mutare.”
Francesca Bertini mi guarda con gli occhi neri luccicanti nella penombra, mi sussurra “Hai ancora il mio ritratto?” “Sì, talvolta lo guardo. Sorride e si dissolve, con il tempismo da diva.
vista immaginaria di Beppe Valperga