Chissà che cosa avrebbe detto un Freud redivivo circa la battuta, oggi ricorrente, con cui alcuni politici lamentano la difficoltà di distribuire gli incarichi giusti alle persone giuste, mormorando con ossimorica soddisfazione (la punta di rammarico si sente, eccome!) d’avere “più poltrone che culi”. Che possa infatti rinvenirsi in questa battuta una componente erotica non può, sulla base delle teorie sostenute da Freud, escludersi, anzi… vedessi mai che l’immagine prosaica dell’atto d’accomodarsi rilassando le lasse membra dopo le dure competizioni elettorali, si poetizzi per contrasto nel morbido e confortante contatto di cuscini più soffici di qualunque pubblicizzato rotolone di quella che Totò chiamava “papier igienique”?
La filosofia si è a lungo interrogata sul significato di parole e cose per scoprire, in tempi recenti, che spesso il significato è dato da un uso tutt’altro che proprio, cioè traslato di una parola, per cui Riccardo è un leome proprio perché non è propriamente un leone. Ed ecco che il significato si estende, cosa che nei detti popolari appare con più frequenza ed efficacia che non nella lingua dotta.
Sul piano di quest’ultima, che è quella “attrezzata” a condurre un esame critico dei fenomeni linguistici, emerge un dubbio: se possa considerarsi “mafioso” il linguaggio che associa le terga, per quanto nobili possano essere, alle poltrone.
Sicché, tornando d’un balzo a Freud, viene da domandarsi se il detto notoriamente mafioso “cumannari è megghiu chi futtiri” sia per così dire speculare alla constatazione d’avere più culi che poltrone.
Qui ci fermiamo nel timore di smuovere acque tutt’altro che i “chiare, fresche e dolci” circa la possibilità di un qualche sotterraneo commercio tra politica e malaffare. Di certe cose si parla solo con prove alla mano. Freud può stuzzicare la fantasia e farla muovere maliziosamente. Ma il saggio sa di dover tacere, specie quando il sole stenta a splendere sulla commedia dell’uomo.