La Russia è il più grande paese del mondo, si estende su undici fusi orari ed è così ricca di materie prime da far dire a Mendeleev che le terre di Russia contengono tutti i metalli del mondo. Non è affatto un caso che sia stato proprio un russo l’inventore della tavola degli elementi. Per contro è un territorio continentale, distante dagli oceani e dalle rotte commerciali, con un ambiente ostile per molti mesi l’anno, privo di confini certi e di difese naturali (essenzialmente catene montuose). Detto per inciso, è uno dei pochi stati, insieme al Canada, a poter trarre enormi benefici da un significativo riscaldamento globale. L’effetto combinato di questi fattori ha determinato, nel corso degli ultimi tre secoli, da un lato la sua tendenza all’espansione verso i mari caldi, in particolare Mar Nero e Mar Mediterraneo e Mar Baltico, quando è abbastanza potente per sostenerla; dall’altro il conflitto con le altre potenze di cui lede la sfera di influenza, culminato con una generale politica del containment attuata dalla potenza dominante: la Gran Bretagna fino al 1945, poi gli Stati Uniti d’America. Pur avendo subito molte sconfitte militari, nessun avversario è mai stato in grado di invaderla completamente. Ha vinto diversi conflitti a carissimo prezzo, potendosi difendere solo con la tattica della terra bruciata, distruggendo le proprie risorse per impedire agli avversari di utilizzarle a proprio vantaggio e superare così il gelido inverno. Questa situazione particolare ha determinato nella psicologia russa una sindrome da accerchiamento, una paranoia che costituisce la chiave di lettura della sua politica estera. Sono stati almeno quattro i tentativi di invasione degli ultimi tre secoli. Nel 1709, Carlo XII di Svezia si spinge fino a Poltava, dove deve dare battaglia pur in inferiorità, perché rimasto senza rifornimenti; dalla sua sconfitta Pietro il Grande crea la Russia moderna. Nel 1812 Napoleone arriva ad occupare Mosca ma la vede bruciare sotto i suoi occhi, mentre si aspetta che lo Zar tratti la resa; i 400.000 caduti durante la ritirata nel gelido inverno, determinano la fine dell’impero napoleonico (che a Waterloo avrà solo un ultimo colpo di coda). Durante la Grande Guerra le truppe del Kaiser Guglielmo II sbaragliano quelle russe, determinando il collasso dell’ordine sociale, la Rivoluzione di Ottobre e la guerra civile; la Russia è annientata, Lenin firma i trattati di Brest-Litovsk cedendo ai tedeschi territori immensi, tuttavia la pace firmata a Versailles nel 1918 annulla tutto e sanziona la Germania, ripristinando lo status quo ante. Nel 1941 la Wehrmacht arriva a vedere le torri del Cremlino, ma è bloccata dai rinforzi giunti dalle regioni mongole; dopo quattro anni e venti milioni di morti, l’Armata Rossa riesce ad issare la bandiera sul Reichstag a Berlino e a ritagliarsi, alla conferenza di Yalta, una buona metà d’Europa. Per contro, ogni volta che è stata abbastanza forte da farlo, ha tentato di espandersi, pur subendo il containment. Nel XIX secolo punta ai Balcani, appoggiando l’indipendenza della Grecia dall’Impero Ottomano, ma è sopravanzata dagli inglesi che la garantiscono di più e meglio. Nel 1853 gli inglesi ne bloccano l’espansione in Crimea con un intervento militare diretto che coinvolge un’alleanza internazionale cui partecipa, su iniziativa di Cavour, anche il Regno di Sardegna inviando 18.000 soldati; la conquista di Sebastopoli frustra le ambizioni russe. Nella seconda metà del secolo espande la propria influenza nei Balcani (Guerra russo-turca 1877) e nella regione dei Canati dell’Asia Centrale, mandando esploratori fino in Afghanistan, quindi costruendo infrastrutture e ferrovie. Anche in questo caso è contrastata dagli inglesi che risalgono dall’India le vicende sono ben descritte nel Kim di Kipling e ne Il grande gioco di Hopkirk. A cavallo del XX secolo lo Zar decide di unificare il paese e puntare all’estremo oriente con la costruzione della ferrovia transiberiana; entra così nella sfera di interessi del Giappone, il quale la attacca nel 1904 e, dopo averne sconfitto l’esercito a Mukden ne sbaraglia le flotte a Tsushima; al dissanguamento finanziario segue quello militare creando le premesse di malcontento per la rivoluzione. Da notare che il Sol Levante è appoggiato dagli inglesi, nonostante il rischio di rompere l’Entente Cordiale con i francesi che invece sostengono la Russia. Nel 1939 Stalin, forte del patto con Hitler, occupa le tre repubbliche baltiche, si prende due terzi della Polonia ed attacca la Finlandia, con cui giunge ad un accordo, dopo un’avanzata faticosa; l’obiettivo non è solo quello di espandersi, ma allontanare il più possibile la frontiera da Mosca nell’eventualità di un attacco tedesco. Durante il periodo sovietico, i carri armati vengono poi utilizzati per mantenere il controllo dell’Ungheria nel 1956, della Cecoslovacchia nel 1968 e per invadere l’Afghanistan nel 1979. Dieci anni di guerra, costosa e sanguinosa, generano un malcontento tale da rovesciare le istituzioni (per la seconda volta nello stesso secolo) e causare la caduta del muro di Berlino, riducendo la Russia alle sue dimensioni originali. Non v’è dubbio che Putin sia il promotore di una nuova fase espansionistica russa che, passando per la distruzione della Cecenia, la guerra in Siria a protezione della base navale di Taurus, le rinnovate tensioni nel Baltico (la Svezia, notoriamente neutrale, ha reintrodotto il servizio militare obbligatorio nel 2018), l’occupazione della Crimea, portano all’invasione dell’Ucraina nel 2022. Su queste fasi di espansione, o frustrazione e sconfitta, si inserisce il disegno delle potenze straniere che, se da un lato, come già detto, è di containment, dall’altro è di cooptazione per sbassare un eventuale creazione di una potenza continentale europea, intesa come pericolo più grave ancora. In questa logica la Russia è coinvolta nelle coalizioni antinapoleoniche e nel blocco continentale; quindi nella Triplice Intesa per soffocare il tentativo di espansione del Kaiser, successivamente quello di Hitler. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, questa politica è fatta propria dagli Usa con la Dottrina Truman (che ribalta l’idea isolazionista del presidente Monroe) ed è applicata nelle guerre di Corea 1950-53 e Vietnam 1955-75, in modo diretto; ossia con l’invio massiccio di militari americani. Dopo le contestazioni ed il cambiamento dell’opinione pubblica americana nei confronti della guerra, gli interventi limitano i contingenti offrendo supporto, denari ed armi a milizie od eserciti locali. Con pessimi risultati di destabilizzazione come insegnano i casi di Somalia, Libia, Iraq ed Afghanistan. Ne consegue che l’Europa è sempre stata schiacciata tra una Russia in fase espansiva ed una politica inglese volta a frustrare ogni tentativo di unificazione o di egemonia sul continente. L’unico che riesce ad ottenere un risultato importante in questo senso è Bismarck, il quale unifica la Germania nel 1870 a Versailles, avendo combattuto e sconfitto danesi, austriaci e francesi, essendosi potuto garantire l’amicizia di una Russia debole (non in grado di controllare neppure la Polonia), senza che gli inglesi siano in grado di opporsi. Questa lunga premessa, spero non troppo noiosa per il lettore, contiene le chiavi di lettura per interpretare i fatti cui assistiamo e di cui siamo così poco informati, nonostante la continua presenza su media e social. Il vantaggio della geopolitica è che ha carattere di continuità attraverso i secoli, a prescindere da considerazioni politiche che, a confronto, durano quanto un batter di ciglia. E’ sotto gli occhi di tutti come Putin stia cercando di recuperare, sul campo militare, quel prestigio e parte di quei territori che la Russia ha ceduto nel 1989 e che, essendo in parte passati alla Nato, hanno stretto il cerchio del containment nei suoi confronti. Il fatto che l’espansione sia supportata da considerazioni storiche, culturali o linguistiche (Crimea e Donbass sono a prevalenza russofona) è del tutto irrilevante. Hitler nel 1939 chiede solo la città di Danzica ed un corridoio di collegamento tra la Prussia ed in resto del Reich, attraverso il corridoio polacco. I polacchi rifiutano, dobbiamo attribuire loro la causa della guerra? Sono gli inglesi ed i francesi a dichiarare guerra alla Germania, in ottemperanza all’alleanza difensiva con la Polonia, dobbiamo dedurre che sia loro la responsabilità dell’allargamento del conflitto? Hitler è credibile nelle sue richieste o esse sono invece pretestuose? Non è credibile. Perché l’anno prima, alla Conferenza di Monaco, chiede, con buone ragioni, i Sudeti: gli sono dati e dopo pochi mesi invade, senza ragioni, la Cecoslovacchia. Peraltro lo stesso si guarda bene dal rivendicare la provincia di Zurigo o quella di Bolzano, per non urtare l’alleato italiano; fino all’8 settembre 1943, quando è occupata ed annessa al Reich. Putin è credibile nel chiedere il disarmo e la neutralità dell’Ucraina? Sarebbe credibile se avanzasse pretese verso Estonia e Lituania che hanno il 25% di popolazione russa? Lo sarebbe se chiedesse un corridoio per collegare il distretto di Kaliningrad al resto della Russia? Tutte pretese legittime, ma nascondono una pura e semplice politica di potenza, guidata e dalla volontà di espandere la propria influenza e dalla sindrome di accerchiamento. Gli Stati Uniti hanno approfittato enormemente della caduta del muro di Berlino per allargare la Nato a proprio beneficio ed aggiungere l’Ucraina sarebbe un ulteriore passo in avanti verso est. Fornire supporto economico ed armi, senza intervenire direttamente, ricorda la legge affitti e prestiti, con la quale sostengono gli anglofrancesi tra il 1940 ed 1941, fino al loro coinvolgimento diretto con l’attacco a Pearl Harbour. L’Europa si trova quindi ad essere nuovamente schiacciata tra l’espansione russa da un lato ed il containment americano dall’altro. Di per sé è debolissima, se non quasi smilitarizzata, dopo essere stata spartita a Yalta dalle potenze vincitrici. Ammesso e non concesso che l’obiettivo, per garantire pace libertà e benessere ai cittadini europei, sia un’Europa forte, indipendente e sovrana, e parafrasando il poeta non più serva, più vil, più derisa sotto l’orrida verga, qual è la strada da percorrere? Sacrificare l’Ucraina in nome dell’amicizia con la Russia e di uno sconto sulle materie prime, gas in primis? Questo è quello che ha costruito la cancelleria tedesca negli ultimi dieci anni, forse memore di Bismarck, e che si è concretizzato nel gasdotto Nord Stream 2 (ricordo che l’ex cancelliere Schroeder è un dirigente di Gazprom). Il barone però trattava con una Russia debole, non in fase espansiva. O, viceversa, seguire la politica americana cercando di sbassare velleità e potenza militare russa, fornendo il più possibile supporto ed armi all’Ucraina? E’ quello che sta facendo la Germania da alcune settimane, se è vero che ha fornito 2.700 missili antiaerei. Il prezzo da pagare è una crisi energetica e di approvvigionamenti ben riassunta nella frase «Nord Stream 2 è pezzo di metallo in fondo al mare». Con l’aggravante che il mondo oggi è multipolare ed allontanare la Russia e le sue risorse, può rafforzare l’espansione economica, politica e militare cinese. Le risposte, auspicabili o meno che siano, sono nei fatti: l’Europa si è allineata alle richieste americane e deve rivedere le proprie forniture energetiche, essendo colpevolmente troppo dipendente dall’estero, essenzialmente per miopi ragioni ideologiche. Faccio notare che, se il petrolio, essendo facilmente trasportabile, ha sempre avuto un mercato globale, il gas è in passato stato vincolato alle linee di trasporto, ma oggi è possibile liquefarlo, trasportarlo via nave, quindi rigassificarlo. Il che consente agli Usa di vendere il proprio gas in Europa, in sostituzione di quello russo. Che sia proprio questa la causa ultima della guerra? Difficile prevedere l’evolversi della situazione. Di certo gli appelli alla pace, la crisi umanitaria, le condanne morali, lasciano il tempo che trovano: un tempo di guerra. Spiace dirlo, ma in guerra l’unica cosa che conta è ciò di cui i contemporanei sanno di meno: l’andamento delle operazioni sul campo. Se i russi dovessero vincere, e facilmente, fino a che punto potrebbero ancora espandersi? Quante altre pretese potrebbero accampare in direzione del Baltico? Se, invece, dovessero impantanarsi e perdere decine di migliaia di soldati senza risultati consistenti, allora potrebbero essere più propensi ad un accordo. L’Ucraina potrebbe essere un nuovo Vietnam o un nuovo Afghanistan? Il territorio non si presta: l’uno una foresta pluviale, l’altro una zone montuosa impervia con pochi passaggi obbligati, ottimi per la resistenza e la guerriglia; qui invece c’è un tavoliere di campi coltivati ideale per le manovre di carrarmati, come ci ha insegnato la Seconda Guerra Mondiale. Nelle città però la resistenza ad oltranza è sempre possibile: Kiev potrebbe diventare la nuova Stalingrado? A che prezzo? Quello che può fare l’Europa è trarre spunto da questa drammatica situazione per riflettere sulla propria unità e sulla propria sovranità. Per questo occorrono decisioni ed istituzioni comuni, ed un esercito all’altezza di momenti di crisi. Una Russia indebolita, con una Gran Bretagna al di fuori dell’Unione Europea, possono essere le premesse per un processo di indipendenza dal comodo, ma opprimente, ombrello statunitense.
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