Il Centro Pannunzio a favore dell’abrogazione del titolo V della Costituzione e in difesa dell’Unità d’Italia. Occorre un’iniziativa politica tempestiva per difendere, 160 anni dopo, lo Stato unitario nato dal Risorgimento, oggi minacciato da un regionalismo che ha spaccato l’Italia. La riforma del titolo V va abolita al più presto. Il Centro Pannunzio lancia l’idea di un referendum abrogativo. Già oltre un anno fa abbiamo riflettuto sui limiti del regionalismo che compiva nel 2020 cinquant’anni. La pandemia ha quasi impedito i festeggiamenti programmati stoltamente in modo autocelebrativo, senza una riflessione storica o almeno storico-politica seria. Le Regioni a statuto ordinario si sono rivelate un sostanziale errore che era previsto dalla Costituzione (uno dei limiti di quel testo) e che la saggezza della Dc centrista aveva evitato all’Italia. Esse si sono rivelate uno spreco enorme di denaro pubblico con la creazione di una pletorica burocrazia regionale che si è aggiunta a quella statale. Inoltre esse non hanno affatto avvicinato lo Stato al cittadino, come era stato promesso. Il Federalismo sognato da Cattaneo durante il Risorgimento era un’utopia non compatibile con la storia italiana caratterizzata da secoli di divisioni. Cattaneo guardava alla Svizzera, una realtà non confrontabile sotto nessun punto di vista. Occorreva alla formazione dello Stato in Italia o una monarchia unitaria o una repubblica di tipo mazziniano, altrettanto unitario. Cattaneo era un affascinante intellettuale, ma del tutto incapace di fare i conti con la realtà, malgrado la sua cultura “politecnica“. Solo ad un altro utopista abbastanza velleitario come Salvemini, un caso di giacobinismo professorale, come venne detto, Cattaneo apparve un realista a cui guardare per vincere le utopie ideologiche del marxismo . Nella stesura della Costituzione le regioni nacquero non tanto da un federalismo minoritario , quanto piuttosto da certo spirito antiunitario e antisorgimentale soprattutto ben presente nella Dc, erede del partito popolare di don Sturzo e nell’azionismo che si richiamava a Cattaneo.
Comunisti e socialisti si rivelarono inizialmente contrari perché videro le Regioni come una minaccia allo
Stato unitario. Altrettanto contrarie le forze liberali che sotto diverse denominazioni erano presenti all’ Assemblea Costituente, sia pure in netta minoranza. Il Titolo V della Costituzione nacque da una serie di compromessi e stabilì un regionalismo lontano dalle follie visionarie di Emilio Lussu , erede del partito sardo d’Azione, una delle figure più nefaste della politica e della cultura italiana che fini la sua variegata esperienza politica al servizio del PCI. Nel clima della Costituente era ben presente il Separatismo siciliano di Finocchiaro Aprile e dei gravi pericoli da esso rappresentati . Il regionalismo venne anche visto come una scelta contraria allo Stato nato dal Risorgimento perché la maggioranza della Costituente era formata da forze estranee o nettamente contrarie al moto risorgimentale. In effetti però il titolo V rimase lettera morta e fu il centro-sinistra con socialisti e repubblicani a pretendere la costituzione delle Regioni a statuto ordinario, anche se erano già ben chiaro il pessimo funzionamento del regionalismo siciliano.
Bene o male dal 1970 le Regioni svolsero la loro funzione e in alcune zone diedero anche prova di buongoverno. L’arrivo della Lega Nord di Bossi e del suo federalismo demagogico ed incolto (il prof. Gianfranco Miglio, unica testa pensante della Lega che esibiva il cappio in Senato, venne quasi subito decapitato ) portò nel 2001 i partiti di centro-sinistra, nel tentativo maldestro di “svuotare” la Lega, di varare una riforma del titolo V che ampliò i poteri delle Regioni e degli enti locali. Venne allora anche sancito che l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari venisse spartita tra Stato e Regioni, creando le premesse per 21 sistemi sanitari diversi con inique diversità di trattamenti sanitari nelle diverse regioni. Le Regioni incominciarono a spendere in maniera dissennata e si verificò la profezia di Mala godi che aveva previsto la finanza allegra delle Regioni. E in parallelo ci furono clamorosi scandali sulla gestione delle finanze regionali , a partire dalle spese pazze di molti consiglieri. La pandemia ha messo in palese evidenza che le regioni si sono rivelate e si rivelano un elemento disgregante che genera confusione nella lotta al virus, al di là’ del protagonismo e delle incapacità dei sedicenti governatori (dizione del tutto arbitraria). Oltre agli errori del governo Conte e del ministro Speranza l’Italia deve combattere contro presidenti e assessori regionali che hanno peggiorato le cose creando confusione. La riforma del titolo V è in tutta evidenza la causa prima del gran bordello italiano che non solo il VII centenario dantesco ha riportato di moda citare. Si è anche manifestata una classe politica regionale fatta per lo più da piccoli personaggi. La Conferenza Stato – Regioni che dovrebbe il momento di raccordo, si rivela una quasi inutile cassa di risonanza di conflitti. Oggi sarebbe urgente che il Parlamento ponesse mano al titolo V, restituendo allo Stato i suoi poteri. Le regioni si rivelarono già inadeguate a dar corso alla famigerata legge Basaglia n. 180 nel quadro del Servizio Sanitario Nazionale (un vero non senso) votata in un clima demagogico avvelenato perché anche in questo caso l’aver regionalizzato l’attuazione della legge fu un grave errore. Oggi solo chi non è in buona fede , può condividere la situazione che si è creata.
Invece di muoversi con urgenza, c’è chi vuole lo ius soli, il voto ai sedicenni, una legge speciale contro l’omofobia come provvedimenti prioritari. A 160 anni dalla proclamazione dello Stato unitario, l’Italia rischia di tornare indietro. E c’è gente che invece di vedere il gravissimo pericolo che abbiamo di fronte e che si è già rivelato causa di danni molto gravi (pensiamo ai vaccini) ritiene di rifare la verginità politica ai propri partiti con proposte quanto meno intempestive . Siamo all’assurdo che neanche più la Lega è per il federalismo. Ci fu una Lega persino secessionista, quella che suggerì la furbizia della riforma del titolo V, una colpa storica che la pandemia ha fatto comprendere anche alle anime candide o ai filibustieri che vogliono un’Italia divisa e conflittuale. Renzi con il suo referendum molto discutibile aveva visto lucidamente il problema di eliminare l’errore del 2001, ma troppi non hanno voluto capire che almeno quella riforma era importante ed oggi è urgentissima. Un referendum abrogativo può essere la strada da percorrere per ristabilire il buon senso e l’interesse nazionale che non ha nulla a che vedere con il nazionalismo. E’ semmai la grande “idea di Nazione“ di cui scrisse magistralmente Federico Chabod.
E andrebbero anche totalmente riviste le ragioni a statuto speciale , in primis la Sicilia, che sono uno stato nello Stato e che non hanno più una giustificazione storica di sussistere. Sono quasi solo fonte di sperpero di denaro pubblico, di favoritismi, di assunzioni clientelari molto onerose e di inefficienza.
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