Nel centocinquantesimo anniversario della sua morte
Noi vogliamo fondar la Nazione ….
Un vincolo comune, una bandiera comune, di una vita e di una legge comuni, per 25 milioni di persone, appartenenti, fra le Alpi e il mare, alla medesima stirpe, e uniti da tradizioni e aspirazioni comuni.
È la notte del 24 novembre 1848. Fa freddo, Roma è umida come un cencio bagnato. Pio IX esce da una porta secondaria del Quirinale: con lui un cameriere che gli fa da cocchiere ed un altro servitore. La carrozza, col Pontefice camuffato da un grosso cappello e da pesanti occhiali scuri, pare anche con i capelli incipriati, corre veloce verso la chiesa dei Santi Pietro e Marcellino in via Labicana, dove ad attendere il viaggiatore segreto c’è il conte Carlo Giraud di Spaur, ambasciatore di Baviera presso lo Stato Pontificio, con un’altra carrozza a sei cavalli. Il Papa Re ha deciso di squagliarsela, non è certo il primo della storia, e non sarà l’ultimo. La situazione a Roma in quei giorni, dopo l’assassinio del ministro Pellegrino Rossi, si è fatta infuocata e l’aria che si respira è a dir poco velenosa, soprattutto per lui, accusato di aver abbandonato la causa patriottica italiana, a favore dell’Austria. Dopo la fuga di Pio IX, il 9 febbraio 1849, con votazione plenaria dell’Assemblea Costituente, a seguito del voto favorevole di 118 membri e quello contrario di 26, viene proclamata la Costituzione della Repubblica Romana, un magnifico esempio dell’altissimo senso di democrazia e repubblica posseduto dai nostri patrioti. Fra i suoi articoli: abolizione dei privilegi ecclesiastici, dei titoli nobiliari, dell’inquisizione e della pena di morte. La sera del 5 marzo, Giuseppe Mazzini, il patriota che per primo ha portato in Italia l’idea di nazione, giunge a Roma, entrando in città a piedi, attraverso porta del Popolo, come un pellegrino qualunque, accolto dalla folla festante. Insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, forma il Triumvirato. Chi è Giuseppe Mazzini? Scrisse di lui il Metternich, nelle sue Memorie:
“Ebbi a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone, giunsi a mettere d’accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato…”
Nato nel 1805 a Genova, da Giacomo e Maria Drago, “Pippo”si laurea in legge nel 1827. È anche un valente suonatore di chitarra, ma la madre, alla quale resterà legato tutta la vita, già vede in lui un giovane destinato al successo, elegante e di spiccata eloquenza. Genova in quegli anni è sotto il tallone bonapartista. In una situazione apparentemente senza speranza e futuro per la gioventù, con una spietata censura che ti impedisce di scrivere, perfino di parlare, questo avvocato diviene leader di un gruppo di universitari che sognano di costruire una nuova Italia. Decide così di iscriversi alla Carboneria, un movimento dal carattere patriottico e marcatamente antiaustriaco. Con il Congresso di Vienna del 1815, l’Italia è una penisola divisa in una decina di Stati, con il quasi totale controllo dell’impero asburgico, che Mazzini odia con tutto il cuore, quale oppressore straniero. La sua appartenenza alla Carboneria gli costa cara, nel 1830 viene arrestato con l’accusa di cospirazione e rinchiuso nel carcere di Savona. Durante la detenzione pensa a come costruire il futuro: si può, e quindi si deve, lottare per la libertà della Patria, gettando le basi per un nuovo movimento politico di gioventù, la Giovine Italia. Uscito dal carcere dopo poche settimane, è costretto dalle autorità piemontesi all’esilio, prima in Svizzera e poi in Francia, dove, contrariamente alle sue aspettative, resterà ben diciotto anni. È a Marsiglia che nel 1831 presenta la Giovine Italia, i cui motti: Dio e popolo, Unione, Forza e Libertà rispecchiano la sua idea di un’unica repubblica, con un governo centrale, in assenza di invasori stranieri. Mazzini è il primo leader del fronte democratico a chiamare gli italiani a consacrare “il pensiero e l’azione al grande intento di restituire l’Italia in nazione di liberi e eguali, Una, Indipendente, Sovrana”. Infatti, secondo la sua ideologia, l’unica via da seguire per raggiungere l’unità e l’indipendenza è l’insurrezione popolare. Di conseguenza egli ritiene necessario formare la coscienza politica del popolo, persuadendolo che l’inevitabile metodo insurrezionale sia l’unica strada per giungere all’indipendenza nazionale. Nel 1832 la Giovine Italia inizia a pubblicare un periodico. Il movimento riscuote un successo immediato, soprattutto in Lombardia e in Toscana, gli affiliati si contano a decine di migliaia. Nello stesso anno, il giovane Mazzini conosce la bella e rivoluzionaria Giuditta Bellerio Sidoli, che sarà la donna della sua vita. Vedova di Giovanni Sidoli, giovane e ricco patriota al quale si era unita in matrimonio all’età di sedici anni, ha quattro figli. L’amore che nasce tra i due si rivela travolgente, come testimoniano le lettere che i due innamorati si scrivono nelle situazioni di lontananza forzata, ma che rivelano un amore impossibile. Mazzini vive braccato, costretto sempre a nascondersi. Il bambino che nasce nel 1832, Joseph Démosthène Adolphe, quasi sicuramente dalla loro relazione, muore nel 1835 a soli tre anni. I primi movimenti insurrezionali, come quello di Genova, falliscono. Jacopo Ruffini, suo amico fraterno, viene arrestato e sottoposto per un mese a torture ed interrogatori, per fargli rivelare i nomi dei compagni cospiratori. Ormai giunto allo stremo, si suicida in carcere tagliandosi le vene. A seguito di tale tragico episodio, per la prima volta (e non sarà l’ultima) Mazzini viene accusato di mandare gli altri a morire, standosene al sicuro, ma la morte dell’amico Ruffini lo segnerà per tutta la vita. Nel 1833 si registra un secondo fallimento, l’invasione della Savoia, in conseguenza del quale il tribunale piemontese decide la condanna a morte “ignominiosa” in contumacia per Mazzini. Di nuovo in fuga, costretto a nascondersi, scappa in Svizzera, nella cittadina di Grenchen, dove nel 1834 a Berna decide di fondare La Giovine Europa. Tre anni dopo, sotto le pressioni di Francia e Austria, la Svizzera decreta la sua espulsione, e il nostro patriota è di nuovo in fuga. Una fredda sera del 12 gennaio 1837, all’Hotel Sablonniere del quartiere latino di Londra, arrivano quattro italiani piuttosto trasandati, stracchi, con capelli lunghi e barbe incolte. Hanno viaggiato molto e non è stato un viaggio comodo. Braccati dalle polizie di mezza Europa, dalla Svizzera hanno raggiunto Calais e qui si sono imbarcati per l’Inghilterra, fino a raggiungere Londra. Mazzini, completamente vestito di nero, come usa da tempo, in segno di lutto per l’Italia oppressa, è uno di loro. I primi tempi a Londra si rivelano durissimi per il nostro esule, che deve combattere una profonda crisi morale, la solitudine, la miseria, che decide di nascondere perfino ai suoi genitori, soffrendo in silenzio, impegnandosi tutto al Banco dei Pegni per sopravvivere e combattere la fame. Col passar del tempo, raccogliendo intorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia, frequentando ambienti intellettuali ed anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley (vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron, idolo di gioventù di Mazzini), lo scrittore Charles Dickens, la giornalista americana Margaret Fuller, che ritroverà a Roma nel 1849, la sua situazione migliora, ricevendo notevoli aiuti. Apre una scuola serale italiana, gratuita, per bambini e adulti, poveri e immigrati, finanziata dallo stesso Dickens. La sua fama accresce enormemente, con la Giovine Europa Mazzini estende il desiderio di libertà del popolo italiano a tutte le nazioni europee. Ormai considerato il più autorevole rivoluzionario d’Europa, temuto dal Piemonte, comunica con gli italiani in Italia, a New York e in Sud America (Garibaldi è in Uruguay). Nel 1847 scrive una ardente supplica a Pio IX, chiedendo all’apostolo dell’eterno Vero, di unificare l’Italia, la Patria Vostra! Inutile aggiungere che la lettera non servirà a nulla, se non a finire negli schedari vaticani. Tra le numerose lettere che gli vengono segretamente recapitate, sfruttando vari espedienti, gli giungono anche quelle dei fratelli veneti Attilio ed Emilio Bandiera, ufficiali disertori della Marina da guerra austriaca, che da ferventi mazziniani progettano una insurrezione in Calabria, che però viene scoperta anzitempo. La ragione potrebbe risiedere nel fatto che da tempo la corrispondenza destinata a Mazzini viene manomessa dal governo inglese, che dopo averla letta la passa al giusto destinatario, con copia conforme inviata regolarmente al governo austriaco. L’operazione dei fratelli Bandiera si rivela un fiasco, i due fratelli patrioti vengono catturati e fucilati dai Borboni a Palermo. Siamo al 1848. Nell’intera Europa si verifica la cosiddetta Primavera dei popoli, un’ondata di moti rivoluzionari e liberali. Come una gigantesca ondata, essa investe molte regioni europee, in primis l’Italia, dove i primi effetti sono spettacolari: Palermo, Napoli, Granducato di Toscana. Dal 23 marzo 1848, a seguito delle famose cinque giornate di Milano e Venezia (Repubblica di San Marco), gli austriaci, nel giro di pochi giorni, sono cacciati dalle città del Lombardo Veneto e dei ducati emiliani, costretti in parte ad arrendersi, in parte a rifugiarsi nelle fortezze del Quadrilatero (Peschiera, Verona, Mantova, Legnago), e in parte a fuggire oltre l’Isonzo, registrando ben 25.000 perdite su 75.000 effettivi, fra morti, feriti, prigionieri, disertori e fuggiti all’Est. Fuori d’Italia l’ondata di libertà investe anche Vienna, Praga, Ungheria e Germania. Piemonte, Toscana, Stato Pontificio, Regno di Napoli, sotto la spinta delle forze liberali, il Piemonte anche per interessi dinastici, decidono di inviare truppe contro l’Austria. A Venezia liberata giungono anche le flotte piemontese e napoletana. Lo stesso 23 marzo, Re Carlo Alberto di Sardegna dichiara guerra all’Austria. Dopo anni di esilio, il 17 aprile 1848 Mazzini ritorna in Italia e a Milano insorta viene accolto in modo trionfale.
La Repubblica Romana, il suo capolavoro
Dopo la fuga di Pio IX da Roma e il suo accorato appello alle potenze straniere, il pericolo che si profilava all’orizzonte, il più grave di tutti, parlava francese. In Francia c’era aria di elezioni e Luigi Napoleone, pur non volendo scontentare i clericali che volevano il ritorno del papa a Roma, era contrario ad attaccare apertamente la Repubblica Romana, che godeva di ampia stima presso i democratici francesi. Il 21 aprile, mentre tra musiche, canti, fiaccolate e bengala, a Roma il popolo festeggia la ricorrenza della fondazione della città, una flotta francese formata da 17 navi salpa dai porti di Marsiglia e Tolone, diretta a Civitavecchia. Il Labrador, nave ammiraglia, ospita il generale comandante della spedizione Nicolas Charles Victor Oudinot. Il 27 aprile arriva a Roma, proveniente da Rieti, Giuseppe Garibaldi con la sua Legione. La battaglia di Roma inizia il 30 aprile, e registra una splendida vittoria degli italiani sui francesi.
Roma di sera è tutta illuminata ed in festa!
Il popolo romano festeggia la vittoria, l’entusiasmo è alle stelle, si festeggiano perfino i prigionieri francesi, che fraternizzano con i romani. Si sa che gli italiani in fondo sono buoni di cuore. Soprattutto si festeggia Garibaldi, che si è pure beccato una palla al fianco. Il suo valore, la sua strategia ed i suoi volontari, alcuni dei quali alla loro prima esperienza in battaglia, battutisi alla pari contro i veterani francesi, hanno contribuito alla vittoria. Il nemico, stravolto dalla fatica della giornata, depresso per la sonora sconfitta subita, si sta ritirando verso Castel di Guido. Il Generale, sfruttando giustamente il vantaggio e l’entusiasmo derivati dalla vittoria, ora intende premere le truppe francesi, fino a ricacciarle in mare, da dove sono venute.
Ma Mazzini dice no! Contrasto con Garibaldi
Garibaldi viene richiamato a Roma. Da questo momento, comincia il suo manifesto dissidio con Mazzini. Il 3 giugno riprendono i combattimenti, inizia la fase più gloriosa della giovane Repubblica Romana, con tanti episodi di eroismo da parte di giovani: Mameli, Manara, Enrico Dandolo, Colomba Antonietti, il piccolo Righetto. Alla fine arriva la resa, la fine della Repubblica significa per Mazzini un nuovo esilio. Nel 1850 è di nuovo a Londra, dove viene a sapere della morte della adorata madre Maria. Nonostante ciò, aiutato dalle amicizie londinesi, continua a raccogliere fondi, destinati ad un prestito “diretto unicamente ad affrettare l’indipendenza e l’unità d’Italia”. Le cose non si stanno comunque mettendo bene per lui. Nel giugno 1857, in un ennesimo tentativo insurrezionale finito male, un gruppo di mazziniani viene massacrato a Sapri. Fra essi è presente anche il capitano Carlo Pisacane, uno degli eroi della Repubblica Romana, che si toglie la vita. Dopo il fallimento dei moti insurrezionali, la stella del nostro patriota è ormai al tramonto. In Italia c’è un astro nascente, si chiama Camillo Benso, conte di Cavour, è a capo del governo piemontese. Non si potrebbe certo definire un uomo bellissimo: di statura inferiore alla media, piuttosto rotondetto, con un profilo non aggraziato, né proprio rispondente ai canoni di un fisico atletico. Eppure, il suo fascino è tale da consentirgli di annoverare numerose amanti. I nazionalisti italiani cominciano a vedere in Casa Savoia e nel suo primo ministro le guide del movimento di riunificazione, affidandosi alla sua abile diplomazia. Ciò vuol dire separare l’unificazione dell’Italia dalla riforma sociale e politica invocata da Mazzini. Cavour si rivela abile nello stringere un’alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che porteranno alla nascita dello Stato italiano tra il 1859 e il 1861. Nonostante le continue sconfitte, Mazzini e i mazziniani non cambiano strategia, rimanendo fortemente convinti che l’unità italiana potrebbe scaturire da un moto insurrezionale attuandosi solo attraverso la ripresa del processo rivoluzionario. Al congresso di Parigi del 1856, Cavour riesce ad ottenere un buon successo, riuscendo a sollevare in un consenso internazionale la questione italiana. Al tempo stesso si aumenta il credito del Piemonte presso la maggior parte dei patrioti, i quali progettano la fondazione di un’organizzazione, la Società Nazionale Italiana, che raccolga tutti coloro che sono disposti ad accettare la prospettiva di una lotta per l’indipendenza guidata da Casa Savoia. Tra questi si possono annoverare alcuni nomi illustri come Manin, Pallavicino, La Farina e Garibaldi. Proprio Garibaldi, interpellato, accetta di farne parte prendendo inevitabilmente le distanze da Mazzini, il quale aveva sempre combattuto l’idea di rivolgersi ai sovrani per raggiungere l’unità e l’indipedenza dell’Italia. L’anno successivo a Plombières, Cavour e Napoleone III getteranno le basi per l’alleanza franco-piemontese e della guerra contro l’Austria. Appare evidente che a Cavour Mazzini non piace. Il momento di massima tensione, che porta all’esplosione del contrasto tra loro, è la discussione di una legge al Parlamento piemontese che viene approvata nell’aprile del1858. Va precisato che, nei mesi precedenti all’approvazione di questa legge, Cavour, dopo l’attentato di Felice Orsini contro l’imperatore Napoleone, non esita a scaricare su Mazzini e sul suo movimento l’accusa di terrorismo. Il 17 marzo 1861, in seguito alla Seconda guerra d’indipendenza combattuta dal Regno di Sardegna per conseguire l’unificazione nazionale italiana, viene proclamato il Regno d’Italia, con Re Vittorio Emanuele II. Si tratta di Monarchia, non di Repubblica, e Mazzini ne è escluso. Per Mazzini non c’è scampo, sul suo capo pendono due condanne a morte. Ricominciano le fughe, gli arresti, i passaporti falsi, e la sua salute sta peggiorando. Nel febbraio 1871, partito da Basilea e in viaggio per il passo del San Gottardo, conosce in una carrozza Friedrich Nietzsche, allora poco noto filologo e docente. Il 7 febbraio 1872 riesce a rientrare in Italia a Pisa, sotto le false generalità di Giorgio Brown. Qui, malato già da tempo, vive nascosto nell’abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Ernesto Nathan, fino al giorno della sua morte, che avviene il 10 marzo dello stesso anno, quando la polizia è sul punto di arrestarlo nuovamente. La notizia della sua morte si diffonde rapidamente, commuovendo l’Italia. Si decide di imbalsamarne il corpo, se ne prende cura lo scienziato Paolo Gorini, nella camera mortuaria del cimitero monumentale di Staglieno, con risultati non proprio buoni. La sua salma viene esposta a distanza di un anno e quindi tumulata. Nel 1946, in occasione della nascita della Repubblica Italiana, avviene la ricognizione della mummia, che è sistemata ed esposta brevemente al pubblico: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo, che reca scritto all’esterno “Giuseppe Mazzini”. La figura di Mazzini deve restare in eterno un retaggio indiscusso del Risorgimento. I suoi scritti sui doveri dell’uomo verso l’Umanità, verso la Patria, verso la famiglia, verso se stessi, la difesa e la diffusione dei valori di Libertà, Uguaglianza, Fratellanza dimostrano il valore eterno del suo pensiero. Dopo oltre trent’anni di esperienza di insegnamento passata in istituti superiori statali, auspico di vero cuore una sempre maggiore diffusione e valutazione del nostro glorioso Risorgimento fra i nostri alunni.
Copiando nel link sottostante, potrete assistere ad un breve video, tratto dal docufilm della Cinemart di Gianna Menetti:
LA BATTAGLIA DI ROMA 1849 – Nascita e fine di una Repubblica
nel quale Mazzini pronuncia il discorso iniziale all’Assemblea.
https://vimeo.com/684765636/2cd06bbf10 Roma, 10 marzo 2022