Testimoni della “religione della libertà” sono ritratti dal vivo del dramma storico nella ricerca di Mirella Serri, a proposito de “Gli irriducibili. I giovani ribelli che sfidarono Mussolini” ( Longanesi, Milano 2019 ). Si tratta, anzitutto, di Enzo, Ada ed Emilio Sereni, perseguitati per efficacia delle leggi razziali e destinati a combattere sino alla pagina di resistenza tra gli ebrei tunisini, e per la costruzione dello Stato di Israele. Quindi, sono rievocati tutti i principali  antifascisti della “famiglia napoletana”, tra cui spicca Giorgio Amendola, figlio di Giovanni, creatore del “Mondo” e suggeritore al Croce della idea del Contromanifesto, meglio della “Protesta degli intellettuali antifascisti”, apparsa per la prima volta il 1° maggio 1925 sul “Giornale d’Italia”, intellettuali che si raccoglievano nella biblioteca Croce, in un palazzo sorvegliato dalla polizia fascista, con grave pericolo ( pp. 20 sgg., 29, 37, 65 ). “Uh ! Chist’ è ‘o Palazzo e Croce !”, raccontava  Alfredo Parente fosse il motto di sorpresa e sbigottimento dei passanti napoletani, quando si riparavano sotto il portone del genio meridionale, durante un improvviso acquazzone ( “Croce per lumi sparsi”, La Nuova Italia, Firenze 1975 ). Poi c’era il “gruppo di Ventotene”, che formulerà il programma liberalsocialista ed europeista durante la prigionia in quell’isola; e tra cui, oltre Altiero Spinelli e Ernesto Rossi, si distingue il filosofo ed estetologo Eugenio Colorni, che sposa la sorella di Albert Otto Hirscham, Ursula, e viene fucilato dalla banda Koch il 28 maggio 1944, poco prima della liberazione di Roma ( su di lui, v. il mio Tempo e Idee, Libertates, Milano 2015 ). Né vanno dimenticati il laborioso e onesto impegno di Giuseppe Di Vittorio, animatore di giornali e iniziative antifasciste; Velio Spano, che si sentirà a disagio, quando, a guerra finita, dovrà convivere con il gruppo dei “redenti” ( tra cui il critico letterario Carlo Muscetta ), all’interno del gruppo dirigente del nuovo Partito Comunista Italiano ( pp. 220-223 ). Al qual proposito, Giorgio Amendola sbagliava, opinando che Velio non avesse voluto partecipare alla Resistenza italiana, quando invece “ciò gli fu impedito”. “ I ‘redenti’ erano propensi a sottolineare il tratto populista, ugualitario e antielitario del fascismo, dimenticandone la violenza e le leggi razziali. (..) A sminuire la portata del più vero e sofferto antifascismo ci pensarono dunque coloro che con il fascismo avevano convissuto e che preferirono sostenere l’immagine di una dittatura in molti casi tollerante, capace di opere pubbliche e popolari in grado di sedurre e di attirare i giovani. Connotata da un tratto al contempo moderato e autoritario e persino indulgente verso i dissenzienti e gli oppositori. Tramandando così una storia del ventennio che con il richiamo a un passato movimentista e popolare giustifica ancora oggi la presenza di nuove, striscianti e occulte forme di fascismo”, conclude così la Serri, già studiosa de “I redenti. Gli intellettuali che vissero due volte” ( per Corbaccio, 2005 ) e de “I profeti disarmati” ( sul gruppo di “Risorgimento Liberale” ). Ma nella genesi del trauma, più che dramma, storico, intervennero almeno altri due accadimenti complessi e decisivi: il “riformismo, visto come il peggior nemico”, da Stalin e dal Partito Comunista d’Italia, fino alla sistematica adozione dell’epiteto ingiusto di “socialfascisti e socialtraditori” ( pp. 57 sgg. e passim ); e il Patto di non aggressione Hitler-Stalin, firmato da Ribbentropp e Molotov il 1° settembre 1939, intorno a cui ruota, come su di un asse centrale, tutto il destino dell’umanità, per il principio del secondo conflitto mondiale, cui diede inizio l’invasione spartitoria della Polonia, e la tragedia delle sorti dell’opposizione liberale e socialista. Se Stalin diceva “Vogliamo fare dei nemici di ieri, i buoni vicini di oggi” ( pp. 145 sgg. ); Enzo Sereni dichiarava il 1939 “anno fatale” ( pp. 150-156); mentre il grande Leo Valiani ne subisce le conseguenze nel carcere di Vernet, sui Pirenei, considerando il Patto Hitler-Stalin un tradimento, e – come il personaggio “Mario”, denominato da Arthur Koestler nella autobiografia “Schiuma della terra” – legge e diffonde la “Storia d’Europa” di Benedetto Croce, di cui difenderà l’antifascismo liberale persino di fronte alle sofistiche menzogne di Giulio Andreotti ( v. gli Atti del “Mondo” del 1962 e il mio ripensamento ne “I conti con il male”, Laterza, Bari 2015 ). Al qual proposito, resta esemplare il messaggio e lascito di Enzo Sereni: “Desidero che educhiamo i nostri giovani a odiare il male !” ( pp. 186 sgg. ). L’autrice domina la materia storica con tale signorile padronanza da far scorrere le immagini filmiche di ogni accadimento e personaggio con estrema puntigliosità e naturalezza. Ma io voglio soltanto postillare la trama della complessa vicenda, ricordando le espulsioni dal PCI nel 1930 di Alfonso Leonetti, autore di “Da Andria operaia a Torino contadina” e “Studi su Gramsci”, con Tresso e Ravazzoli, per le questioni legate al disegno totalitario ed egemonico di Palmiro Togliatti, non escluse le vicende dell’ “Oro di Mosca”; l’amicizia con Leone Trotsckj; la polemica duratura con lo stesso Giorgio Amendola degli anni Settanta, a proposito dei “fini della storia”, come dire della denuncia crociana de “Il mondo va verso..” ( 1933 ) e della divisione del mondo tra “perdenti” e “vincitori” ( tra i primi sarebbero rimasti gli “espulsi”; e tra i secondi, i “redenti” ). Ciò è confermato dal “carattere prepotente” del pur “migliorista” Amendola ( come ricorda la Serri a p. 161 del suo libro ) e dalla nostra modesta ma coerente restituzione ermeneutica ( da “Alfonso Leonetti nella storia del socialismo”, Sveva 1994, a “Croce Leonetti e i socialisti” ).

Giuseppe Brescia – Società di Storia Patria per la Puglia – Andria