Sono stato recentemente al Vittoriale degli Italiani,  insieme ad una qualificata delegazione del Centro Pannunzio , ad incontrare Giordano Bruno Guerri. L’intervista a Guerri su “La Stampa“ pubblicata il 2 giugno  rappresenta qualcosa di importante sia perché è un fatto davvero inusuale che il giornale di Giannini dia voce a personalità  libere come Guerri, sia perché  essa chiarisce in modo inequivocabile la posizione dello storico e dello scrittore, attuale presidente del Vittoriale che personalmente avrei preferito come ministro della Cultura, una nuova denominazione del ministero che non mi piace. In Francia discussero in passato sul come chiamarlo, preferendo “per“ la cultura invece che  “della“ cultura, espressione che in Italia  evoca in parte il Minculpop. Guerri ha spiegato  in modo ineccepibile che occuparsi in termini storici di fascismo, non significa affatto essere  nostalgici. L’aver scritto di Bottai, di Marinetti, di D’Annunzio “per cambiare una vulgata sbagliata“ è stato il  nobile compito che Guerri si è assunto, infrangendo l’egemonia culturale feroce che ha gravato pesantemente sulla cultura italiana per decenni. Guerri ha anche dichiarato di detestare il Fascismo ed ha aggiunto che sarebbe stato “un furioso antifascista durante il regime“ che resta l’unica scelta importante perché esserlo oggi senza rischi, anzi con molti vantaggi,  appare del tutto fuori tempo. L’antifascismo dei molti che cambiarono camicia dopo il 25 aprile 1945, andando in soccorso ai vincitori, come diceva Flaiano, non ha nulla di eroico, anzi esprime il più volgare opportunismo che non riguardò solo gli intellettuali ma tanti italiani qualunque. Guerri ha evidenziato nell’intervista come l’egemonia culturale del PCI  appaia un fatto storico indiscutibile. De Gasperi e i partiti laici scelsero la gestione del  potere, Togliatti rivolse la sua attenzione alla cultura che finì di prostrarsi al PCI: gli intellettuali – ha ricordato Guerri – “non sono leoni e sappiamo bene da dove vengono, dal Rinascimento stipendiati da un signore”.

Guerri ha anche spiegato come Berlusconi abbia fatto  sottoscritto un tacito accordo con la sinistra , tenendo per sé le televisioni e la cultura di massa. Il resto lo ha lasciato alla sinistra. ”Secondo Guerri” non ha mai usato Mondadori o Einaudi a fini politici perché a lui non interessava. Sarebbero stati strumenti formidabili; anche sotto Berlusconi la cultura alta di destra è rimasta orfana. ”Una verità sui limiti abissali di Forza Italia che ha i premiato spesso gli sprovveduti e gli incolti, lasciandosi scappare i “professori” , ma non soltanto quelli.

Nell’ intervista Guerri (che ha appena pubblicato un nuovo libro su D’Annunzio “Gabriele D’Annunzio. La vita come opera d’arte” – Rizzoli 2023) ha anche  spiegato le distanze del Vate dal fascismo  come è ormai assodato dalla storiografia più seria. Guerri ha anche raccontato  un episodio emblematico: “Quando sono arrivato al Vittoriale fuori c’erano bancarelle con paccottiglia varia, i gagliardetti, gli Eja Eja Alalà, i manganelli, le magliette con la scritta ”me ne frego“. Prima gli imposi di vendere  anche le magliette con Che Guevara. Quando scadde la concessione, sono riuscito a far rimuovere le bancarelle e a Gardone non si trova più un accendino con il Duce. Per questo mi sono inimicato un sacco di gente a destra, prima di tutti Casa Pound.” Conosco Guerri ed ho letto quasi tutti i suoi libri. Egli è davvero un intellettuale libero e la sua laicità è davvero un aspetto importante della sua opera. E’ un chierico che non ha tradito, se vogliamo evocare il grande e dimenticato libro di Julien Benda. Mario Soldati mi disse più volte di avere una grande stima di Guerri e mi citò il suo libro su Bottai con prefazione del socialista Ugoberto Alfassio Grimaldi che fu molte volte ospite del Centro Pannunzio e che consentì ad un liberale come me  di scrivere su “Critica sociale“. Soldati aveva conosciuto Bottai e concordava pienamente con la tesi di Guerri.