Una tradizione che si perde nella notte dei tempi, ma che ogni anno si rinnova a Napoli e dintorni, quella dei “cippi” di Sant’Antonio Abate, chiamato anche Sant’Antuono (per distinguerlo da Sant’Antonio da Padova), in una festività che si perpetua da secoli col calar della sera nella data del 17 gennaio. Una festa intesa da sempre come uno scaramantico spartiacque tra passato e futuro, per invocare la “buona sorte” attraverso l’accensione di falò in vari punti della città, affidando ai “cippi” il potere miracoloso di allontanare sofferenze e negatività, rinforzando quella funzione purificatrice che è propria del fuoco. Mi tornano alla mente gli anni dell’adolescenza e della prima giovinezza quando, abitando in un appartamento con una notevole vista sul golfo, mio padre partecipava all’euforia di noi figlie mentre contavamo e osservavamo in più punti della città lingue di fuoco che si ravvivavano e si espandevano a seconda del materiale più o meno abbondante, generalmente fatto da pezzi di legname e spesso da alberi di Natale, che venivano affidati al falò per attizzare le fiamme… E non posso dimenticare l’espressione convinta di mio padre che attribuiva a quei rituali una sacralità, un momento di svolta, di chiusura definitiva del ciclo delle festività natalizie e un primo varco verso la primavera. Una tradizione, dunque, tra sacro e profano, che coincide con l’inizio del Carnevale e che mai come quest’anno, per il delicato momento storico che attraversiamo, rivendica un significato catartico e di sublimazione, volendo affidare alla cerimonia del “fuocarazzo” la liberazione da tutte le negatività. Sono riti leggendari, ma certamente necessari e significativi per un popolo, il nostro, che ha sempre creduto nella forza della superstizione. Secondo la tradizione Sant’Antonio Abate è il protettore dei campi e del bestiame, tanto che la leggenda vuole che nella notte del 17 gennaio gli animali arrivino addirittura a parlare. Non a caso a Roma si celebra la curiosa funzione di benedire gli animali. Il falò riscalda la terra e incoraggia il ritorno della bella stagione, un rituale che si celebra non solo a Napoli e in varie località della Campania, ma che si è propagato in più parti d’Italia dove si accendono le pire, che esprimono la volontà di abbandonare tutto quanto appartiene al passato per un rinnovamento e una rinascita che parte proprio dal primo mese del nuovo anno. Saranno pure soltanto favole o leggende magari anacronistiche rispetto ai reali problemi del difficile momento che viviamo, ma certamente in uno scenario come quello che stiamo affrontando, in cui sembrano vacillare sogni e progetti, credere nella funzione catartica dei “falò di Sant’Antonio” aiuta ed è un appiglio di rinnovata fiducia, perché se la tradizione ci racconta che Sant’Antonio si recò all’inferno per rubare il fuoco al diavolo, in questo furto a metà tra il fantastico e il sacrilego si racchiude una speranza che mai come oggi è così necessaria per ognuno, affidando alla suggestione di una fiamma che brucia la possibilità di una liberazione dalle sofferenze e dalle preoccupazioni.
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