Non vedevo l’ora che finisse questo maledetto lockdown per poter tornare al cinema. Ed il primo film che mi sono goduto è stato “Il cattivo poeta”, di Gianluca Jodice. Il film tratta, in sostanza, dell’ultimo anno e mezzo di vita di Gabriele d’Annunzio (magistralmente interpretato da Sergio Castellitto) al Vittoriale. Va detto, e questa non è una novità, che il Vittoriale era pieno di spie, che agivano all’insaputa l’ una dell’altra ed inviavano i rapporti ai loro superiori ,che poi li confrontavano. Così il Vate, prigioniero d’oro al Vittoriale così come Garibaldi lo era stato a Caprera, veniva controllato scrupolosamente onde evitare qualcheduno di quei suoi colpi di testa che lo avevano reso famoso. Quello che sì è saputo solo da pochi anni è che anche il PNF (Partito Nazionale Fascista) decise di inviare una spia al Vittoriale, nella figura del giovane federale di Brescia (il capoluogo della provincia di cui Gardone Riviera fa parte) Giovanni Comini (Francesco Patanè). Viene ricostruita molto bene l’atmosfera di disfacimento morale in cui il Vate visse quella che definiva “la turpe vecchiezza”, accanto alle sue amanti ufficiali Luisa Baccara (Elena Bucci), colei che lo introdusse all’uso e all’abuso della cocaina e Amélie Mazoyer (Clotilde Courau) e passando da una squallida impresa sessuale all’altra con amanti occasionali a pagamento. Va però fatta qualche critica sulla ricostruzione storica. Non crediate di conoscere la verità sulla fine di Gabriele d’Annunzio al Vittoriale per aver visto questo film che, seppure non falso dal primo all’ultimo fotogramma come “Il patriota”, il film sulla guerra d’indipendenza americana con Mel Gibson, qualche punto debole, per usare un eufemismo, lo presenta. A parte la sfortunata, anzi tragica, storia d’amore di Comini con la sorella di un antifascista (e questo ci sta, altrimenti, senza qualche elemento di fantasia, non sarebbe stato film, ma un documentario), a parte qualche personaggio quasi identico all’originale, come Gabriele d’Annunzio e l’architetto Giancarlo Maroni (Tommaso Ragno), altri personaggi sono caratterizzati davvero molto male. Per esempio il ministro dei Lavori Pubblici Giuseppe Cobolli Gigli appare non solo molto più anziano di quanto fosse all’epoca, ma si esprime con un marcato accento dell’Italia centro-meridionale, mentre era per metà triestino e per metà istriano. Viene poi dipinto come un viscido personaggio il commissario di Pubblica Sicurezza Giovanni Rizzo (Massimiliano Rossi), del quale il giovane Comini si accorge subito che è li a spiare il poeta (ma non ci voleva molta fantasia per immaginarlo e lo stesso Gabriele d’Annunzio se ne era accorto). I rapporti tra Rizzo e il Vate, a dispetto di ciò che mostra il film, pare fossero molto cordiali e il commissario cercava di accontentare il poeta meglio che poteva, sia nei suoi desideri più legittimi, sia in quelli più strani. In fondo era una tattica pagante, più il Divino Gabriele era contento, più stava tranquillo, ciò che il regime in fondo voleva. Rizzo fu anche tra coloro che rafforzarono il mito dannunziano, con un libro pubblicato da Mondadori nel 1941, “Diario di lotte e di poesia”. Nel 1953 presso Rizzoli pubblicò “I segreti della Polizia” e sette anni dopo, per l’editore Cappelli, “D’Annunzio e Mussolini, la verità sui loro rapporti”. Originario della provincia di Messina, come quel Luigi Rizzo che partecipò alla Beffa di Buccari e all’impresa di Fiume, ogni volta che tornava da una licenza in Sicilia, portava doni al Signore del Vittoriale. I rapporti tra i due erano improntati a cordialità e, nei limiti imposti dal suo non nobile lavoro, pare che Rizzo per Gabriele d’Annunzio provasse comunque un certo affetto. Una curiosità: Giovanni Rizzo, senza essere nominato, è un personaggio della canzone di De Gregori “Il bandito e il campione”, in quanto fu proprio lui ad arrestare il pericoloso criminale Sante Pollastri. Anche l’incontro tra Mussolini e il Vate alla stazione di Verona nel 1937 si svolse in maniera molto diversa da come narra il film. E il film fa anche capire – cosa anche questa non vera – che il poeta potrebbe essere morto a causa di un avvelenamento provocatogli dalla cameriera Emma Haeufler, una meranese che, invece, spiava il Vate per conto dei servizi segreti tedeschi. Un’altra cosa storicamente piuttosto insostenibile è vedere – nel 1937! – gli squadristi torturare antifascisti nei sotterranei della Casa del Fascio di Brescia. All’epoca il fascismo, divenuto regime, aveva a disposizione, per fare ciò, tutte le polizie e le milizie possibili e immaginabili. Gli squadristi (le cui imprese risalivano a quasi vent’anni prima) oramai servivano come nota di colore per qualche parata e si era già dato il caso di alcuni di loro che, per non aver messo “la testa a posto”, avevano raggiunto al confino, o addirittura sostituito, qualche antifascista. Le didascalie finali ci informano che Comini venne espulso dal PNF. A me risulta, invece, che venne nominato alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel marzo del 1939 (un anno dopo la morte del Vate), per la XXX Legislatura e rimase in quella posizione fino allo scioglimento della Legislatura, avvenuto il 2 agosto 1943. Vero è che Comini si guadagnò qualche antipatia ai “piani alti” del PNF, poiché inviò un rapporto ai suoi superiori in cui diceva che, da indagini da lui esperite tra gli iscritti al PNF, la troppo stretta alleanza con la Germania e la probabile entrata in guerra non risultavano eccessivamente popolari. Si sa che, quasi sempre, chi dice la verità risulta antipatico… Ieri come oggi.
Di seguito il trailer del film: