Il corpo di Karol Wojtyla, Papa Giovanni Paolo II, è stato raggiunto e squassato da due colpi – forse tre, questo rimane uno dei misteri di quell’episodio – che hanno percorso una traiettoria tutt’altro che lineare tra gli organi vitali del Pontefice, sfiorandoli tutti senza centrarne nessuno.  La corsa in ambulanza da piazza San Pietro al policlinico Gemelli mentre il Papa, dissanguandosi, si affidava alla Vergine cui ha dedicato il suo pontificato e la sua vita, il perdono immediatamente concesso all’attentatore, l’intervento umano o forse miracoloso di una religiosa che afferrandola ha deviato la mano del killer. È un viaggio nella cronaca e nel miracolo, il libro che Antonio Preziosi, direttore di Rai Parlamento, ha dato alle stampe per San Paolo nel quarantesimo anniversario dell’attentato a Papa Wojtyla.

“Il Papa doveva morire”

Più che titolo è già un’apertura di senso: non solo era il piano, l’intento di Ali Ağca e dei suoi ignoti mandanti, non solo era l’auspicio di chi tra gli estremisti turchi dei Lupi Grigi tramava contro un capo religioso che in tre anni di pontificato s’era già rivelato come capo di stato dal polso fermo, ma è anche e soprattutto un dato di cronaca, un fatto. Oltre che un dato rivelato di fede: il vescovo bianco di cui parlarono i tre pastorelli veggenti di Fatima era lui, e nel terzo segreto la sua caduta pareva una morte. Per come la realtà si è data, per i fatti e per la profezia, quel giorno il Papa era morto. E lo sapeva, lui, che riconoscente alla mano materna che opponendosi alla mano assassina ha guidato la pallottola dentro il suo corpo senza permetterle di finirlo, a quella Madre ha donato il bossolo che mancò d’ucciderlo, impedendo così in qualche modo alla scienza di analizzarlo per capire con maggiore certezza la verità dei fatti, ma dichiarando la propria convinzione di salvezza. Nell’ottica del Pontefice non serve quasi, la verità, quando entra in conflitto con il dato di fede: Preziosi lo sa e nel suo testo li tesse insieme, questi due orditi che sono stati egualmente importanti nell’attentato più noto del secolo scorso dopo quello di cui fu vittima J. F. Kennedy. Fu una “diversa” regia – è questa la tesi riportata con taglio giornalistico da Preziosi in un testo strutturato proprio come una sceneggiatura – a guidare gli eventi in modo che la morte di Wojtyla fosse rimandata al 2 aprile 2005.

Il “dopo” attentato

Che sia stato miracolo o caso – e chi ha fede sa che il caso ha nome Provvidenza – a Giovanni Paolo II fu concesso un lungo pontificato per dire e per fare tanto, attraversando le epoche, e segnandole. Doveva ancora maledire le mafie dalla Valle dei Templi di Agrigento, doveva ancora vedere il Muro di Berlino liberare il blocco sovietico nel quale lui, religioso, aveva vissuto e testimoniato la fede da clandestino: aveva da fare, Karol Wojtyla, in quel 1981. Qualcuno, qualcosa, o nulla, ha semplicemente permesso che lo facesse. Antonio Preziosi, memore di un lungo percorso giornalistico che lo ha portato a dirigere per la Rai tra le altre cose i giornali radio e l’informazione parlamentare, mostra in questo lavoro la competenza acquisita nei tanti anni di cronache vaticane, lasciando trasparire l’interesse per la carismatica figura di Giovanni Paolo II, già protagonista di un suo precedente volume, Immortale. Esiste, sul fondo del libro, un filo rosso che accomuna lungo la storia i tre ultimi pontefici: la misericordia divina, cui Francesco ha dedicato un Giubileo straordinario, Benedetto XVI l’enciclica Deus Caritas est, e a cui Giovanni Paolo II tributava la propria sopravvivenza. Per il resto delle trame umane – quelle trame oscure che oscure rimangono, tanto che l’attentatore Agca cambierà decine di volte versione dei fatti, senza mai permettere una ricostruzione certa della dinamica – non c’è altra spiegazione che quel saluto che il papa polacco rivolse al suo gregge, nel giorno dell’elezione: Non abbiate paura.