Che si fosse salvata la statua di Gabriele D’Annunzio dalla contestazione che toccò, ad esempio, a Montanelli e ad altri personaggi, rappresentò un fatto che ebbe dell’incredibile. Certe testoline bacate avrebbero dovuto subito scagliarsi contro il poeta, che poteva essere il primo della lista di proscrizione stilata da chi giudica il passato con gli occhi del presente. D’ Annunzio è stato ed è ancora considerato un precursore del Fascismo, e come tale anche un poeta da non leggere, secondo un modo di vedere le cose incapace di distinguere politica e poesia. Per decine d’anni è stato inserito nell’Indice dei libri proibiti dalla inquisizione politica, molto peggiore di quella religiosa. Solo in tempi recenti si comprese finalmente che non fu affatto un precursore della dittatura (a cui era naturaliter ostile, non fosse altro che per il suo modo “sregolato“ di vivere) e che anzi, ebbe rapporti conflittuali con Mussolini, anche se gli studi di Renzo De Felice su D’Annunzio politico avevano già chiarito molte questioni fin dal 1978. Ma la vulgata è dura a morire e c’è gente che anche oggi giudica in base a pregiudizi politici D’Annunzio che fu pure un patriota, un soldato eroico nella Grande Guerra ma che soprattutto va considerato, piaccia o non piaccia,  uno dei maggiori poeti del Novecento. Anche il fatto di essere stato un patriota che fu interventista e partecipò alla guerra con imprese eroiche e clamorose, era un altro motivo sufficiente per condannarlo, perché amare la Patria è considerato tipico di persone con visioni violente ed anguste. Anche chi ha esaltato il poeta perché patriota, ha commesso in verità un errore simile a chi lo ha condannato perché fautore della guerra e compromesso con il regime fascista. Che la statua triestina fosse rimasta indenne in questo clima di incultura mista ad odio e a grossolana iconoclastia, è stato un fatto quasi inspiegabile,  perché D’Annunzio che amò’ tante donne, non si può certo considerare un uomo rispettoso delle donne che ha amato, secondo la sensibilità odierna. Venne giudicato un uomo assetato di sesso e divorato dalla lussuria più sfrenata, magari accompagnati da qualche lettera ardente e da qualche bel verso poetico. Ce n’era abbastanza per condannarlo all’inferno creato da certo odierno femminismo. Pochi sanno che a Fiume nella Carta del Carnaro – la costituzione della sua reggenza – volle nel 1920 il voto alle donne e la parità tra i due sessi, una scelta molto avanzata, attribuibile più ad Alceste De Ambris che al Vate che, comunque, la condivise senza riserve. D’Annunzio è stato un uomo complesso e non riconducibile a giudizi sommari. La sua opera, infatti, ha momenti di altissima arte e momenti caduchi e retorici. Forse gli ignoranti ed intolleranti imbrattatori nulla sanno di questi elementi di giudizio. O forse si tratta di puro teppismo frutto di odio politico inasprito dalle polemiche disoneste di chi ha cercato di giustificare goffamente persino le foibe. Semmai andrebbe rilevato che il monumento triestino a D’Annunzio è particolarmente brutto e non sarebbe sicuramente piaciuto all’esigente Gabriele che si circondò al Vittoriale  di una raffinatezza a volte così ricercata,  che alcuni  considerarono  kitsch.