J. R. R. Tolkien insegnava letteratura ad Oxford ed era un grande appassionato di mitologia nordica, di filologia e di lingue antiche. Dalla frequentazione con C. S. Lewis ed altri si sviluppò il desiderio di creare una mitologia propriamente inglese, avendone constatato l’assenza. In effetti qualcosa si trova nel Sogno di una notte di mezza estate popolato da Shakespeare di folletti e fatine che hanno poi ispirato Campanellino, l’amica di Peter Pan, ma nulla che sia comparabile con le saghe nordiche o con la mitologia greca. Da questa competizione costruttiva nacquero Il Signore degli Anelli da un lato (affiancato da altre opere quali Lo Hobbit ed il Silmmarillon a delineare non solo una saga ma un intero universo) e le Cronache di Narnia dall’altro. Interessante notare come le interazioni tra i membri di un gruppo spingano tutti verso risultati cui individualmente non sarebbero forse arrivati. Non era la prima volta nella storia della letteratura inglese: nel 1816 Lord Byron sfidò i suoi amici a scrivere una storia gotica; da questo invito sorsero Frankenstein di Mary Shelley ed Il Vampiro di Polidori (che avrebbe ispirato qualche anno dopo Dracula di Bram Stoker).

Tolkien prese a modello i miti nordici, passati attraverso Wagner, della forza, della purezza, dell’onestà creando un mondo in cui si combatte per la libertà contro i nemici sul campo, mentre il nemico più temibile è l’infido, il traditore: il Giuda, il Loki, che in Shakespeare diventa l’onesto Jago, qui si traspone nella figura di Vermilinguo. Ancor più critica è la fragilità dell’essere umano che, ben conscio del proprio dovere, lo affronta pur temendo in cuor suo di non riuscire nell’impresa e di cedere alle tentazioni «il giovane capitano di Gondor deve solo stendere la mano prendere l’anello per sé ed il mondo cadrà». Accanto vi sono gli elfi, esseri immortali, eterei, superiori che incarnano l’idea nietschiana del superuomo.

Il Signore degli Anelli fu pubblicato nel 1954-55 in Gran Bretagna, quindi tradotto in italiano nel 1970 e fatto proprio dai giovani di destra, i quali si riconobbero in alcuni dei valori e lo interpretarono utilizzando la Guerra fredda come chiave di lettura. Il romanzo si può adattare alla situazione geopolitica loro contemporanea: nella contrapposizione ovest-est il mondo occidentale è il paladino della libertà e della indipendenza, nelle differenze dei popoli che lo costituiscono, mentre a oriente un potere dittatoriale manda armate di anonimi orchi ad invadere, saccheggiare e sottomettere l’intero continente. Non è difficile ricondurre Sauron a Stalin e la cupe terre di Mordor all’Unione Sovietica, perlomeno come la intendevano loro.

A mio modo di vedere, questa interpretazione è sbagliata. Vi sono molti elementi che ne suggeriscono un’altra, non poi così diversa. Il libro è scritto dopo la Seconda Guerra Mondiale, il tema principale è la lotta dei popoli liberi contro l’Oscuro Signore. Continui sono i riferimenti ad una guerra precedente in cui il nemico era già stato battuto ed il problema principale è ricostruire le antiche alleanze: se non si è uniti questa volta Sauron potrebbe vincere! «L’Oscuro Signore raduna tutti gli eserciti», se il Regno di Gondor sarà lasciato solo, cadrà. La missione di Aragorn, il predestinato, l’erede di Isildur, è sì vincere sul campo di battaglia, ma, per farlo, deve prima unire i popoli liberi e convincerli a combattere. Il riferimento è alla Seconda Guerra Mondiale, più precisamente a l’ora più buia: il 1940, quando a causa del Patto Ribbentrop-Molotov e della neutralità del Belgio e Stati Uniti, la Francia è sola e la Gran Bretagna può far poco per aiutarla. Ammesso che ne abbia ancora intenzione, come potrebbe far pensare l’affondamento della flotta francese a Mers el Kebir (22 giungo 1940): Hitler sta vincendo. La guerra precedente è la Prima Guerra Mondiale, in cui le antiche alleanze nate dalla entente cordiale, sono riuscite a sconfiggere il tentativo egemonico del Kaiser. In questo gioco di riferimenti, in cui Sauron è Hitler, la Contea, una terra amena e lontana, è l’Inghilterra di Tolkien, Saruman è Mussolini alleato, illusoriamente alla pari, di uno che «non spartisce il potere», ed è il primo ad uscire di scena, sconfitto militarmente. Solo ricucendo i rapporti diplomatici si riesce ad ottenere la vittoria finale, come indica il manifesto di propaganda alleata. United we are strong, united we will win!

Questa interpretazione non piacerà ai (non più tanto) giovani ragazzi di destra, ma è decisamente più calzante.