[Kalòs kai agathòs, in greco “Il bello e il buono”, è una rubrica di Simone Tempia che, ogni settimana, propone sul Magazine del centro Pannunzio uno stimolo culturale proveniente dalla rete, gratuito e immediatamente fruibile, selezionato secondo criteri stringenti di qualità artistica e culturale.]
Gli insegnamenti della scuola dell’obbligo ci hanno dotato di una conoscenza del mondo fondata su alcuni semplici, chiari, inequivocabili concetti: ci sono i mari e i fiumi. Le città e i paesi. Le montagne, le colline e le pianure. Ogni tanto, qua e là, un lago. Qualche oceano. Alcuni deserti. Eppure, a ben guardare, tra rilievi e avvallamenti, in questo mondo trova spazio anche qualcosa che ha saputo sfuggire alla smania schematizzatrice dei vecchi sussidiari: l’utopia. Fiume, Bussana Vecchia, Postaja Topolove: realtà di aggregazioni sociali nate e cresciute intorno a principi piuttosto che ai cardi e ai decumani di romana memoria. Raccontare questi mondi peculiari, queste enclave schizogene di ideali in un mondo codificato, è difficile se non impossibile. L’indole alla semplificazione, acuitasi negli ultimi tempi, predilige infatti la trivializzazione della realtà piuttosto che la sua conoscenza: tutto deve essere semplificato ai minimi termini, le sfumature azzerate, i dettagli espunti con brutalità, il tutto per far emergere contorni netti e tracciabili con un pennarello impugnato come un punteruolo. Per raccontare queste utopie non basta un articolo, un’intervista, lo spazio di un elzeviro fatto da poche sagaci battute degne di uno degli innumerevoli tentativi di imitazione della ben nota rivista di enigmistica: l’utopia concretata è l’esondazione incontrollabile del pensiero sulla realtà. È l’espressione massima della volizione alfieriana. E, come tale, richiede spazio, tempo e comprensione fuori dagli schemi editoriali canonici. Monte Verità è un’utopia nata ad Ascona, comune svizzero del Canton Ticino. A discapito del nome è una collina che che però ha ospitato alcune delle massime cime filosofico-artistiche del secolo scorso. Carl Gustav Jung, Károly Kerényi, Erich Maria Remarque, Hermann Hesse, Filippo Franzoni, Otto Gross, Kafka, Isadora Duncan, Max Brod: gli abitanti di Monte Verità sono stati molti e molto noti. Raccontare cosa sia stato Monte Verità per loro, con loro e dopo di loro è impresa ardua. Ci è riuscito il critico d’arte Riccardo Conti che ha deciso di vivere negli occhi di Harald Szeemann, curatore d’arte e storico dell’arte svizzero, Monte Verità. Ne è uscito un reportage narrativo, con poche immagini e molte storie, che attraversa esoterismo, filosofia, arte, design e architettura del novecento tracciando un filo rosso che molto disvela del disegno organico di un mondo da cui, il nostro immaginario, discende in maniera praticamente biologica. Qui trovate la storia di Monte Verità tracciata nell’unico modo in cui si poteva raccontare.
Buona lettura.