Il Reggimento “Savoia Cavalleria“ partì alla volta della Russia il 22 luglio 1941. La campagna di Russia fu la più dissennata idea di Hitler e di Mussolini, dimentichi della sconfitta di Napoleone che proprio nell’invasione della Russia vide avvicinarsi il declino inarrestabile della sua fortuna militare e politica. Quella spedizione segnò anche per la Germania una battuta d’arresto che decise a Stalingrado una parte molto importante delle sorti della II guerra mondiale. Per l’Italia fu un fallimento totale anche per la mancanza di un adeguato equipaggiamento delle truppe. Infatti la memorialistica ricorda quasi esclusivamente la tragica ritirata e i prigionieri italiani trattati in modo inumano dai Russi. In effetti la realtà storica è‘ diversa perché gli Italiani seppero battersi eroicamente . Basterebbe citare i bersaglieri del Colonnello Aminto Caretto, Medaglia d’oro al Valor Militare, o gli Alpini del Generale Emilio Battisti che rimase prigioniero fino al 1950,avendo rifiutato un passaggio aereo dei tedeschi che gli avrebbe consentito di tornare in Italia. Ma soprattutto va ricordato il Reggimento “Savoia Cavalleria“ al comando del colonnello Alessandro Bettoni che il 24 agosto 1942 a Izbusenskij ordinò la carica dei suoi squadroni contro le mitragliatrici nemiche asserragliate al sicuro, un’epopea per l’Esercito e per l’Arma di Cavalleria che, come disse Carlo Delcroix, diede addio ai campi di battaglia, manifestando un eroismo pari a quello della “Folgore“ ad El Alamein. Figura centrale fu il colonnello Bettoni che, rientrato in Italia, nascose dopo l’8 settembre 1943 lo stendardo del Reggimento insignito di Medaglia d’oro al V.M. per la carica in terra russa e come ufficiale fedele al Re combatté come volontario della Libertà altrettanto eroicamente per la liberazione del Nord Italia dal giogo nazifascista. Ricopri ‘anche incarichi nel Corpo Volontari della Libertà comandato dal Generale Raffaele Cadorna suo predecessore al “Savoia”. Dopo il referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e la partenza del Re per l’esilio, Bettoni fece avere a Cascais lo stendardo del “Savoia “ che venne posto nell’’ingresso di Villa Italia. Bettoni venne radiato dall’Esercito , privato della pensione e persino dell’indennità della Medaglia d’Argento ottenuta a Izbusenskij. Non vennero presi provvedimenti più severi – si disse allora – per la sua partecipazione alla Resistenza . Era l’Italia repubblicana che muoveva i suoi primi passi volti a cancellare parte della storia italiana, quella nata con il Risorgimento di cui Bettoni fu uno degli ultimi eroi. Egli fu un uomo tutto di un pezzo e riprese a partecipare ai concorsi ippici come faceva prima della guerra . Dopo la morte del Re Umberto lo stendardo del “ Savoia” venne, per disposizione sovrana, posto nel Museo delle bandiere all’Altare della Patria. Morì nel 1951. Ad 80 anni dalla battaglia in terra di Russia che rappresentò la penultima carica nella storia della Cavalleria italiana, Bettoni va ricordato come soldato eroico ,come cavaliere intrepido e come uomo coerente. Un esempio dimenticato di un’altra Italia che da tempo non c’è più. Mons. Italo Ruffino, destinato a fare il cappellano militare in quel mitico Reggimento, mi parlò del Col. Bettoni che conobbe solo dopo la guerra. Un disguido burocratico impedì a Ruffino di entrare in servizio in quel Reggimento, anche se condivise la tragedia eroica dei soldati italiani in Russia, come attesta il suo libro di memorie “Bianco, rosso e grigioverde”.
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