L’opera di ingegno, frutto dell’intelligenza e dell’estro, è la più alta delle attività umane, quella che consente sviluppo e progresso ed al contempo ne costituisce il patrimonio intellettuale ed artistico. Garantire una adeguata remunerazione ai protagonisti è, in primis, un riconoscimento meritocratico, ma anche la possibilità concreta di realizzare altre opere, invece di doverle abbandonare per mantenersi, con conseguente danno per la collettività. Nei secoli passati sono molto più frequenti i casi di artisti in difficoltà economiche, penso alle traversie di Mozart o Rossini, che non quelli che in vita ebbero gloria e fortuna. Aida è opera monumentale, concepita per l’inaugurazione del Canale di Suez, uno degli aspetti più faraonici fu il compenso che ne trasse Verdi. Un caso raro, molti artisti dovettero, per tutta la vita accettare i capricci del loro mecenate. Haydn visse alla corte del Principe Esteràzy, e dovette comporre la Sinfonia degli addii (n° 45) per suggerirgli delicatamente che l’autunno era inoltrato ed era tempo di concludere il soggiorno estivo. Il legislatore italiano ha fatto propri questi concetti con una legge, la 633/1941, che tutela il diritto d’autore fino a 70 anni dopo la sua morte. Il che significa uno scudo legale, non solo per il titolare del diritto ma anche per i suoi eredi. Poniamo il caso che qualcuno scriva un capolavoro a trent’anni ed abbia la fortuna di vivere fino a novanta, il diritto acquisito si estenderebbe così per i sessanta anni della sua vita più i settanta post mortem, per un totale di centotrenta. È un giusto riconoscimento ed un’ottima tutela alla prosecuzione del lavoro, a garantire la massima indipendenza e libertà espressiva ed intellettuale. Il rovescio della medaglia è la limitazione alla libera fruizione di tutti gli altri che devono riconoscere un quid all’autore o ai suoi eredi. Lo stesso legislatore tutela un altro tipo di proprietà intellettuale, le invenzioni, con il D.L 30 del 10 febbraio 2005, Codice della proprietà industriale. La tutela in questo caso è, però, assai più limitata: il brevetto per invenzione industriale dura infatti vent’anni, dalla data di deposito della domanda, e non può avere né proroga, né rinnovo (art. 60). Inoltre si prende in considerazione una limitazione (art. 70): qualora entro tre anni dal rilascio, o non sia stata attuata l’invenzione brevettata, o lo sia solo «in misura tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese», può essere concessa licenza a chiunque ne faccia richiesta. In questo caso quindi, il legislatore soppesa in modo più equo le due opposte esigenze: da un lato riconoscere e remunerare l’ingegno umano, dall’altro dare la possibilità all’umanità tutta di fruirne. L’invenzione industriale ha sì un diritto morale che non scade, ma il diritto patrimoniale, di trarne vantaggio economico, si esaurisce presto, a limitare un monopolio che a sua volta limita i principi della libertà economica. Oligopolio e monopolio sono considerati fallimenti del mercato dalla teoria economica classica, perché l’attore economico produce una quantità limitata del bene, vendendola ad un prezzo più alto, lasciando una domanda pagante insoddisfatta. La protezione legale, data dal brevetto, costituisce monopolio, per questo i suoi effetti sono limitati nel tempo, a tutela della libera concorrenza ed a beneficio del consumatore. Poste a confronto, le due normative stridono. Nel secondo caso si soppesa l’esigenza di remunerare, creando le condizioni di protezione, l’autore della proprietà intellettuale, bilanciandola però con la libertà di tutti di fruirne. Nel primo caso si tutela, non solo l’autore per la durata della sua vita, ma anche gli eredi, ad avvantaggiarsi di un’opera intellettuale, a scapito di tutti coloro che non ne possono fruire liberamente. Forse sarebbe il caso di stringere questo divario, riducendo la durata del diritto d’autore: francamente stento a capire quale merito si nasconda nella posizione di rendita dei nipoti di qualche autore celebre.