Maria Montessori, scienziata e pedagogista del Novecento, attivamente coinvolta nel contesto politico e culturale del suo tempo, ebbe ad affermare che “La politica può, al massimo, evitare le guerre […] ma non può costruire la pace. La pace, come vita creatrice dei popoli collaboranti, può essere costruita solo dall’educazione” (S. Valitutti, 1983). Educazione: oggi, chiunque si arroga il diritto di parlarne in nome di una certa tuttologia che ha pervaso ogni campo, provocando peraltro, una vera e propria bulimia di informazioni mediatiche spesso incoerenti e per questo disorientanti più che chiarificatrici. L’Educazione è una cosa seria e il suo scopo ultimo è l’empowerment, ovvero fare in modo che ciascun soggetto abbia la possibilità di scoprire e coltivare talenti e attitudini per stare dentro il mondo con dignità e protagonismo. La scuola e la famiglia, luoghi educativi per eccellenza, svolgono un ruolo essenziale e delicatissimo ma, nel tempo della pandemia, sembrano essere state le più penalizzate. È un fatto gravissimo in quanto saranno i nostri bambini e i nostri adolescenti a subirne le conseguenze, quasi privati di futuro. La scienza sta svolgendo un compito fondamentale ma, paradossalmente, viene messa in discussione, anch’essa in qualche modo vittima dell’ondata tuttologa e della crescente affermazione di teorie pseudoscientifiche. Secondo il principio di falsificazione di Popper ci potrebbe stare, ma il dibattito richiede sempre principi dettati dalla ricerca scientifica. Per questo motivo risultano inaccettabili le manifestazioni di pretesa veridicità e di autoreferenzialità nonché lo sguardo miope incapace di pensiero critico e riflessivo. D’altra parte la pandemia, che ha rivoluzionato l’intero pianeta, richiede scelte immediate dettate dall’urgenza del contenimento ma, dopo il primo impatto, è d’obbligo ormai una seria riflessione. Le epidemie ciclicamente hanno da sempre sconvolto le quotidianità e sempre ci si è rialzati e rinati. Ma il nostro è il tempo delle tecnologie sofisticate, della globalizzazione, del tecnocratismo. Come efficacemente afferma Edgar Morin, “Internet fornisce una gigantesca accozzaglia di saperi, dicerie, credenze di ogni tipo, una sorta di scuola selvaggia che circonda la scuola ufficiale, dove vanno a informarsi e a formarsi le nuove generazioni”. Questa volta non sarà semplice rialzarsi. È bene prenderne coscienza. Se l’urgenza di individuare soluzioni sottrae tempo al pensiero è pur vero che pensare bene crea le reali condizioni di rispetto, di uguaglianza, di pace per i popoli. Eppure sembra un obiettivo sempre più irraggiungibile. Perché è così difficile? Il Covid, senza confini, sembra aver messo a nudo l’essere umano, evidenziandone ogni difetto, ogni debolezza, ogni ambizione, il suo delirio di onnipotenza, la presunzione di poter controllare ogni forma vivente e non vivente e di potersi rifornire sfacciatamente di ogni risorsa disponibile sul pianeta. Credo sia opportuno fermarsi e chiedersi: in che cosa consiste la natura umana? Che cos’è la verità? Perché dilagano tante presunte verità che hanno creato il mercato delle fake news? Quale futuro ci attende? Se niente sarà come prima, come diventeremo? Che cosa avremo imparato? L’essere umano sopravviverà ma a quali condizioni? Farsi domande non delegittima la nostra intelligenza, anzi. Il pedagogista Paulo Freire invita alla domanda per scongiurare quella che lui definisce “cultura del silenzio” che innesca meccanismi di sottomissione e crea dipendenza e alienazione. La pedagogia della domanda è speranza di riumanizzazione. Lo ripeto sempre ai miei studenti: “Non abbiate paura di porvi domande!” Le risposte, grazie alle loro architetture di pensiero ancora libere da stereotipie fossilizzate, percorse dal coraggio e dall’intraprendenza giovanile, sono addirittura emozionanti. Ma nessuno li ascolta. Peccato! Sembra tutto così difficile e allora fermiamoci per un momento e chiediamoci: “In che cosa consiste la natura umana?” J.J. Rousseau sosteneva che originariamente l’essere umano ha una natura buona che gli permette di vivere in condizione di libertà e di uguaglianza. Che cos’è la natura buona? È il complesso delle facoltà intellettive e cognitive, nonché umane, che l’uomo possiede sin dalla nascita e che è destinato a perdere a causa di implicazioni sociali e culturali che in qualche modo corrompono la bontà umana originaria. Ciò conduce a condizioni di vita segnate dalla disuguaglianza, da falsi bisogni e da passioni che allontanano gradatamente l’uomo dai principi naturali. Per questo Rousseau propose un’educazione naturale a salvaguardia dell’autonomia del bambino-protagonista (Emilio e poi Eloisa) e costruttore di un futuro dove ogni elemento è in armonia con l’altro. Pensiero affascinante o discutibile, tuttavia molto più attuale di quanto si immagini. Per Machiavelli l’uomo non è né buono né cattivo, ma decisamente propenso alla cattiveria perché la sua natura è malvagia ed egoista. Secondo il filosofo Hobbes la natura umana si caratterizza come desiderante e il desiderio decisamente più rappresentativo è il desiderio di potere che permette di realizzare ogni altro desiderio a scapito di altri. «La felicità è un continuo progredire del desiderio da un oggetto ad un altro. Cosicché pongo in primo luogo, come una inclinazione generale di tutta l’umanità, un desiderio perpetuo e senza tregua di un potere dopo l’altro che cessa solo nella morte» («Della differenza dei costumi», cap. XI). Potremmo proseguire a lungo ma rimando ad altra sede. Per ora, ci basti sapere, secondo anche le evidenze di questo nostro tempo, che la natura dell’essere umano è naturalmente permeata da pulsioni egoistiche che ne contaminano in qualche modo la presunta bontà iniziale. Ed è per questo motivo che considero l’Educazione la chiave di svolta per il cambiamento, il migliore possibile, il più umano possibile e le giovani generazioni la sola speranza di futuro buono quando sostenuti da buoni maestri dentro il luogo educativo scuola, luogo educativo e non “agenzia educativo-formativa” così come viene definita. Che cos’è la scuola? D’impulso mi torna in mente il modello greco di scholé, che “[…] per gli antichi era educazione allo stare insieme e il Maestro non era soltanto colui che veicolava il sapere, ma un facilitatore che attraverso la parola educava al logos, al ragionamento, al pensiero”.[1] Ebbene, questa è l’idea di scuola che auspico, assolutamente realizzabile se sostenuta dagli studi e dalle ricerche di esperti dell’educazione e della formazione, ovvero pedagogisti. L’ondata medicalizzante che ha investito il sistema scolastico ben prima della pandemia non crea società e non tutela i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per esempio il diritto all’istruzione e alla formazione. Non possiamo immaginare che la Didattica a Distanza o la Didattica a Distanza Integrata possano rappresentare, in futuro, un nuovo modo di andare a scuola. Esse sono state e sono utili in emergenza, com’è del resto da tempo per i bambini ospedalizzati o a lunga degenza, ma non devono trasformarsi in pratiche pedagogiche come sostengono certe frange di studi delle scienze umane e sociali. La scuola è l’anima stessa dell’educazione, è luogo di relazione sociale, di contatto, di emozioni, a scuola s’impara l’etica comunitaria, s’impara a gestire il conflitto, s’impara a crescere. Essa è volto, sguardo, contatto, conflitto, sorriso, è il vociare dei bambini, è il loro movimento, sono i loro corpi nello spazio che abitano e vivono. L’apprendimento e la didattica non possono che passare dalla relazione educativa. Il lockdwon che abbiamo vissuto ha innescato la cosiddetta “sindrome della tana”, la DaD potrebbe innescare altrettante e preoccupanti forme di isolamento sociale nei nostri alunni. Ricordiamo ancora il fenomeno Hikikomori? Solo fino a ieri ce ne siamo occupati! Dobbiamo ammettere, con onestà, che la DaD ha funzionato in modo straordinario con molti studenti, ma per tanti altri è stata la causa di mali che hanno prodotto ulteriori disuguaglianze e forme di disagio che rischiano di provocare ulteriore marginalità sociale. La famiglia gioca un ruolo prezioso. I problemi che negli ultimi anni sono stati convogliati e delegati totalmente alla scuola sono tanti: il bullismo, il cyberbullismo, l’aumento di forme depressive e ansiogene, la dispersione scolastica, l’invasiva corrente medicalizzante, il sistema di valutazione poco efficace, la povertà educativa che a torto si pensa riguardi solo la fascia più povera della popolazione, ma che coinvolge intensamente anche le fasce medio alte. Siamo dentro un’altra idea di “povertà” che va acquisita e condivisa, non più delegata. La scuola non è che un piccolo sistema dentro tanti altri sistemi in comunicazione tra loro. Siamo in molti a credere fermamente che sulla scuola bisogna investire a 360 gradi, essa determina l’identità culturale e sociale di un Paese che si definisca democratico, è il suo biglietto da visita! È evidente che il cambiamento auspicabile non riguarda solo gli interventi strutturali degli edifici scolastici, pur indispensabili. Occorre una nuova architettura pedagogica capace di ripensare gli spazi in funzione dello sviluppo del pensiero, della comprensione, della socialità, dove s’impara a crescere, a servirsi delle tecnologie più che ad esserne oggetto, a imparare la libertà. L’Educazione al centro! Lo studioso P. Meirieu, nel suo ultimo saggio, “Una scuola per l’emancipazione”, afferma, ancora una volta, che la finalità dell’educazione in un contesto democratico, non può che essere la seguente: “Formare soggetti capaci di resistere all’onnipotenza delle pulsioni, di pensare con la propria testa, e di impegnarsi nella costruzione democratica del bene comune”. Non è poco! In questo tempo incalzano lessici tecnici, tecnologici, medici, psichiatrici, mentre è sparuta la presenza di voci esperte di educazione. Un evidente danno alla formazione del singolo, alla società, alla Cultura. I nostri giovani, in particolare gli studenti della scuola secondaria superiore di secondo grado, chiedono un’altra scuola, un’altra educazione che non faccia morire il loro entusiasmo e la loro motivazione, che li prepari alla vita e non solo alle richieste del mercato del lavoro. Una nuova idea di scuola deve offrire pari dignità alla formazione umanistica, a quella scientifica e tecnologica. Le discipline umanistiche, sempre più ridotte ai margini dei programmi, sono quelle che formano la persona che in seguito potrà scegliere che cosa fare e diventare. Bisogna ridimensionare il mito del progresso tecnologico, le richieste del mercato, un’organizzazione scolastica che risponde quasi esclusivamente ai criteri di stampo aziendalistico – manageriale. La scuola è luogo di creazione, di conoscenza, di saperi forti, di formazione al pensiero critico e plurale, di fermento culturale, di dialogo e di confronto, di accoglienza e di valorizzazione di ciascuno. Restituire priorità all’Educazione è la sola speranza di futuro: possiamo farcela se c’è autentica volontà. Basta parole vuote! Pertanto auspico che le scelte dei variegati esperti che in queste ore decidono il destino della nostra scuola non siano “rattoppi” emergenziali. Occorrono rinnovamento di pensiero, tensione creativa, analisi dei nuovi bisogni, ascolto di coloro che quotidianamente abitano lo spazio vivo della scuola, studio e, soprattutto, ricerca educativo-pedagogica: un proficuo investimento sul futuro e sulla Cultura, che significa la persona al centro, con dignità.
[1] Biondetti, Landini Saba, Piarulli, Spano, Maestri d’arte per l’infanzia. L’arte di educare