La  campagna   propagandistica  neoborbonica  ha  diversi  decenni  di vita  per cui  riflettendo  ed esaminandola  in una  prospettiva  storica, possiamo  individuarne  sia  alcuni temi  di riferimento, sia  gli autori, ex giornalisti  e nessuno  vero storico,  e  definirla  come   una  vera e  propria  strategia  antisabauda, perché  il referendum  istituzionale  del  1946 ,non aveva  posto un generico  dilemma monarchia – repubblica, ma  aveva indicato una  ben precisa  monarchia  e dinastia  essendo  il  simbolo  monarchico, sulle schede elettorali,  costituito  dallo scudo sabaudo  e corona  reale. La  propaganda  neoborbonica  ha  la  sua  origine  in alcuni scrittori   meridionali, a prescindere dall’ipotesi  di una regia  o  di una  sollecitazione  di poteri forti  repubblicani di  distrugger  la  base  del voto  monarchico  referendario in  tutto l’ex  regno  delle Due Sicilie, a favore  di  Casa Savoia, per impedirne  un possibile ritorno ,nonché  del voto politico  a favore del partito monarchico. Non  dimentichiamo tutte  le  manovre  governative  della  Democrazia  Cristiana, purtroppo  riuscite, di  dividere  il movimento  monarchico, preoccupata  per  i graduali successi  elettorali  del  Partito  Nazionale Monarchico , dopo li 1948 , nelle elezioni regionali  siciliane e sarde, e  nel  1951 e  1952  nelle  elezioni  amministrative  e nelle  elezioni   politiche del 1953, successi che insidiavano  il suo primato proprio nel  Mezzogiorno. In  questa  ottica  fa riflettere  la legittimazione  statale  repubblicana  della concessione  degli ordini dinastici  borbonici  e la  conseguente loro diffusione  particolarmente  tra gli esponenti  delle  nostre  Forze Armate, dimentichi  di essere  eredi  e successori  di quell’Esercito  Italiano , nato  con il Regno d’Italia nel 1861, esercito che ebbe un ruolo determinante  nelle estromissione  delle  dinastie  straniere  preunitari e particolarmente  proprio di quella borbonica. Quanto  all’inizio di questo  movimento  contestatore e critico del Risorgimento  i neoborbonici  si rifanno  ad un romanziere ,  Alianello , con i suoi libri  nostalgici,“L’eredità  della priora”  e “L’alfiere” ,  pubblicati  nel dopoguerra , e  ad alcune riviste, poi  vennero  appunto dei  giornalisti , improvvisati  storici , (non certo  della  capacità  e cultura di  un  Montanelli), che trovarono  editori  non secondari  pronti  a  diffondere  i loro libelli  antirisorgimentali, tutti da titoli  altisonanti  che facessero  presa  sul pubblico , il che è   puntualmente avvenuto , mentre  i  veri storici , diversi dei quali repubblicani ,di cui  cito  a  titolo  indicativo  e non esaustivo  Moscati, Omodeo, Villari, Galasso, Romeo, Scirocco, Spellanzon, Fisichella, Perfetti, ed  i più recenti  Pinto, Lupo, Desiderio ,Maro  Vigna  e  Barbero  erano  e  sono  su  nette  posizioni   risorgimentali  ed unitarie , per non parlare  dei  De Santis, Settembrini, Volpe. Croce, Fortunato  e  Rodolico, guarda caso un irpino, un napoletano, due  abruzzesi , un lucano ed un siciliano, tutti profondamente  risorgimentali , totalmente e volutamente ignorati  dai neoborbonici   perché  ritenuti sorpassati, non più attendibili, se  non prezzolati,   dai “poteri  forti” sabaudi  (quali ?) e  qui  siamo  all’offesa  personale da  querela per  diffamazione  se queste persone fossero ancora in vita!  Questa  prima  fase neoborbonica , insieme  con  i lamenti  sulla “disinformazione”  risorgimentale del  regno borbonico, ignorando  l’imponente  bibliografia  esistente  e consultabile ,venne  impostata  sui  “primati”  delle  Due Sicilie, elencati   partendo dalle ferrovie, ai  ponti  più  audaci, alle  navi   più  moderne, alla  produzione  industriale, agli  studi , ma  questo  tipo   di propaganda  fu  via  via  controbattuta, o smentendo  alcuni  dati  o  mostrando  come  alcuni  di  questi  primati, vedi  particolarmente  la ferrovia  del  1839, fossero  rimasti  come tali , non essendo seguiti  da  un  organico   sviluppo , come  era  invece avvenuto  in altri  stati  italiani, particolarmente  in  Piemonte, che  all’atto  della  unificazione  vantava ben  802  chilometri  di strada ferrate,  mentre  nelle  più  vaste Due Sicilie  si raggiungevano  appena  123  chilometri, o  139,42  chilometri  di  linee  costruite, come afferma  uno scrittore  neoborbonico . E  lo  stesso  vale  per  le  strade  normali, decisamente  insufficienti  e sottodimensionate rispetto  a quelle  di tutti  gli altri   stati  preunitari , con 1500 comuni  su 1800, come scrive  lo  storico Candeloro,  privi  di collegamenti  stradali, e  per il servizio  postale  altrettanto insufficiente, forse perché, dato l’elevatissimo  grado  di  analfabetismo  ben pochi  potevano  scrivere , per cui  le  Due Sicilie  furono  l’ultimo stato  italiano  ad usare la  nuova  formula  della affrancature  preventiva  con   francobolli , il che avvenne  nel  1858 per  Napoli e  nel  1859  per la  Sicilia , mentre negli altri  stati preunitari , questi  pezzettini  di carta erano  in corso  dal  1850,( Lombardo-Veneto), 1851, ( Regno  di Sardegna) e  1852 per  Toscana, Modena, Parma e Stato Pontificio. Logicamente, perciò,  gli uffici  postali esistenti  nel 1861  erano 238  per  tutte  le  Due Sicilie, mentre il  Regno  di Sardegna  ne   contava  bel  865 ! E  quanto  alle  banche  ricordiamo  che  oltre  le sedi di  Napoli  e  Palermo, le due capitali, Bari per  avere  una  filiale  bancaria  dovette attendere il 1857! E  per  le  compagnie di assicurazione , strumento necessario  se non indispensabile  per  la  protezione delle attività  agricole ed industriali, nel  regno borbonico  ne esisteva solo una  risalente agli anni ’30  del 1800, poi  scomparsa, quando  a Torino, dal 1825 ,esisteva  la  “Reale  Mutua” , tuttora operante , autorizzata dal Re Carlo Felice, e la Compagnia di Torino ,anno 1831 , autorizzata dal Re Carlo  Alberto, assorbita  da altra compagnia  verso  la fine del secolo scorso. Nel  Lombardo-Veneto pure dal  1825  esisteva  la  Compagnia di Milano, nel Trentino  l’ITAS  ancora esistente  ed a  Trieste  dal  1831 le Assicurazioni  Generali , leader  ancor oggi  del mercato assicurativo  italiano, e, sempre a Trieste,  dal  1838  la Riunione Adriatica di Sicurtà, il cui nome  non appare  più  oggi  in quanto  acquistata  dalla  bavarese “’Allianz”  alla fine del secolo scorso. Per gli stessi  periodi  di cui  si  vantavano  i  “primati”, vi era  però  uno  strano  silenzio  sui livelli  dell’istruzione, per  cui  nel  primo censimento del 1861 , gli analfabeti  nel Sud erano l’87,1% , contro il 67% del Nord, e così  pure sul minore numero delle scuole dei vari ordini e grado, nonché sulle  vicende    politiche, come  nulla fosse avvenuto  in quei decenni e  le istituzioni  fossero  anch’esse  talmente  all’avanguardia  da  non dovere  essere necessario  parlarne . Questo  silenzio  era invece  studiato  perché  i   neoborbonici  sapevano   che  quelli  erano  i  punti  deboli  della dinastia , almeno dal  1799  al 1861 , con  costituzioni  giurate  e  poi  rinnegate , vedi  quella  della Sicilia , del 1812, e quelle  di Napoli , del  1820  e 1848, con  interventi  stranieri ,  inglesi  in  Sicilia, ( anni dal 1799 al  1815)  e   austriaci  a  Napoli  ( dal  1820  al  1827), con  repressioni  sanguinose,  specie nel  1799  a  Napoli ed  in  centri minori, ma importanti come  Altamura, Termoli, Casacalenda, Gravina , Martina  Franca, Andria  e Potenza  dove, triste esempio,  il 24  febbraio 1799, il locale Vescovo, Giovanni  Andrea  Serrao  fu  assassinato  da  una banda  della  armata sanfedista   mossasi  dalla Calabria  per  schiacciare  la repubblica partenopea. Nulla  poi  dicono del  regime  ancora  feudale ,assolutista  e poliziesco  esistente  nelle  Due Sicilie  e delle  continue  rivolte e sollevazioni popolari, dopo  la  restaurazione  del 1815 ,con Decreti  prospettanti punizioni durissime ,quale quello di  Ferdinando I ,n.110  del 30 agosto 1821,e  relative  repressioni  militari  ,rivolte  dal  Cilento  nel 1827, su cui ritorneremo  ed a,Cosenza  e  Penne  nel 1837, l’Aquila  nel 1841, nuovamente  Cosenza nel 1844  e    poi  nel  1847  in  Calabria  con i “martiri  di Gerace”  e la rivolta a Reggio Calabria  del  2 settembre . Poi  nel  1848  rivolte in  numerose  e varie  parti  del regno , iniziando da  Lucera  e nuovamente nel Cilento ed in Sicilia , dove il  Parlamento, in una  storica  seduta  dell’8 maggio  1848  addirittura  votò  la  decadenza  dei  Borboni  “spergiuri”. Ricordiamo , nel  silenzio dei  neoborbonici,  poi il caso  clamoroso  dell’assedio di Messina , essendo la città insorta  il  29  gennaio 1848 , da  parte dell’esercito e  della  marina  napoletana, assedio che durò  fino  al 7 settembre, avendo  i messinesi  combattuto  strenuamente, sopportando  incessanti  bombardamenti  che spianarono interi quartieri , chiese comprese, suscitando  la  sdegno dell’Arcivescovo Francesco di Paola Villadecani, oltre alle violenze sulla popolazione  civile che  ebbe  numerosi morti . E  sempre nel  1848  non ricordano  il ripensamento di Ferdinando  II, che prima manda le sue truppe  a  combattere contro l’Austria, per  poi  richiamarle , ripensamento non meno  grave di quello  sulla Costituzione  concessa  ed abrogata ! Quanto  poi al  1859 ,non ricordano un Decreto n.424 del 24 ottobre 1859 di Ferdinando II contro  il brigantaggio, mentre nulla  ancora ricordano  dei  mercenari  svizzeri  dell’esercito borbonico , già  distintisi  nelle  violenze  di  Messina  e del 15  maggio 1848  a Napoli (questa data dice  nulla  ai  neoborbonici ?), che  ammutinatisi  a Napoli  saccheggiarono  e massacrarono  la popolazione  del  Borgo di Capo di Chino. Vergogna che  uno stato  italiano  avesse ancora  nel suo esercito  truppe straniere , oltretutto  con pesante onere per l’ Erario ! Se poi  vi  era stato  il “terrore”  nella  repubblica  francese  contro  i “realisti”  ed i  Vandeani , il regno di Napoli, nel 1799 ,  non fu certo  secondo  nei  confronti  dei “repubblicani” napoletani ,sia  lasciandoli  fare a pezzi  letteralmente  da  parte  del popolaccio , sia  impiccando  o  decapitando ( cortesia  per  i più  nobili)  centinaia  degli  stessi , rei  di  un peccato  di  “opinione”,   tra cui , indicativamente  e  non esaustivamente , ecclesiastici ( il Vescovo  Michele  Natale), nobili (Gennaro  Serra  di  Cassano ,Ascanio  Filomarino  della  Torre, Ferdinando  Pignatelli, principe  di Strongoli), intellettuali (Mario  Pagano , giurista ,Domenico  Cirillo , medico e  professore), militari , ( dice  nulla  il nome  di Francesco  Caracciolo , anche  se qui  vi  fu  la mano  di  Nelson , che, per i suoi meriti ebbe  il feudo di Bronte!), e gentildonne (Luisa Sanfelice ed Eleonora Fonseca  Pimentel) . “Un  bel tacer  tutta la vita  onora.” ed  i   neoborbonici  così  tacendo   non  onorano  né la vita , né la  verità!  Da  questa  prima  fase propagandistica, controbattuta  con dati  inoppugnabile, di  cui però  i neoborbonici  continuano  a  non tenere conto, si  è  passati  al  periodo   1860-1865  per sferrare, sempre  secondo loro,  il colpo decisivo  contro  lo stato  unitario , il cui punto  forte  è  la rivendicazione   del  brigantaggio  e l’esecrazione  della  repressione “piemontese”, dove  è usato  questo  termine “razzista”  con acrimonia  ed ignoranza , in quanto  era  già  nato  il Regno  d’Italia   e l’armata  sarda era divenuta  esercito  italiano , con un  Ministro della  Guerra ,il generale Manfredo Fanti ed un comandante , il generale  Cialdini,   entrambi  modenesi, e non “piemontesi”. Come  contorno  a  questo  piatto  forte  si  è aggiunto, secondo  i neo, il trattamento  riservato  ai soldati  dell’esercito   borbonico , lasciati  morire di stenti  in varie  località  fra  cui  primeggia  il forte di  Fenestrelle , dimenticando  invece l’inserimento    di numerosi ufficiali  provenienti  dall’esercito  napoletano nei ranghi  del  Regio Esercito , dove  raggiunsero  posti  elevati di comando  come  Pianelli, che  comandò  una Divisione  a Custoza nel 1866 , ricevendo  dal Re l’onorificenza di  Grande Ufficiale  dell’Ordine  Militare  di Savoia e  Cosenza, anche  lui  a Custoza  al comando  di una divisione , terminando la sua  carriera  come  Capo  di Stato  Maggiore  del Regio Esercito !  Cominciando   da  questo  “eccidio” di  Fenestrelle, “lager dei Savoia”  storici  moderni , non   sabaudi ,  vedi l’accurato  studio  di  Alessandro Barbero, hanno dimostrato , consultando le fonti  archivistiche , che  i morti  furono dell’ordine  di  decine, non  di migliaia, per cause naturali, e  vi erano  stati  portati   perché  non vi erano  le condizioni  per  l’immediato  rientro  nei  ranghi  del nuovo  esercito italiano. Mentre  se vi era stata  una  prigione  lager  questo  era  il carcere  borbonico di Montefusco  in provincia  di Avellino, di  cui, logicamente, non parlano, né  ricordano  quanto  delle carceri borboniche  scrisse  l’uomo  politico  inglese Gladstone (forse  prevenuto, ma  documentato), ed  un duca  napoletano, Sigismondo  Castromediano ! Quanto  al brigantaggio , lo stesso era   un fenomeno  endemico  del  meridione, già  in epoca   borbonica , con intervento  repressivo  dell’esercito , proseguito  nel  breve   periodo  napoleonico  murattiano, ammantandosi   in questo  periodo di un  falso patriottismo. Brigantaggio ripreso   dopo il 1815  e di questa  presenza   massiccia , una  località  per  tutte, ricordiamo l’importante centro  di Bovino ( FG), lungo  la  strada  per Foggia, dove  imperavano  i  briganti  a  testimonianza , di una situazione generale  di degrado, ma di questa  e  di altre località i neoborbonici  si sono ben guardati  di  parlare, come pure non parlano  degli  alberi  abbattuti  ai bordi  delle strade che  oggi definiremmo  “provinciali” perché  potevano  nascondere i briganti”, né  della banda  Vardarelli, in terra d’Otranto ,che fu repressa  in maniera draconiana, come  dal Decreto sopra ricordato  e già sottolineato ,e sempre  dalla parte governativa , dei metodi inumani  usati  sugli abitanti  della  Calabria  Citra  dall’Intendente  Borbonico  De  Mattheis , tanto  che  alla fine lo stesso governo  fu  costretto ad arrestarlo e processarlo! Ora su  questa  situazione    criminale  preesistente si  inserì  la sbandamento  di diversi  militari  del  disciolto  esercito napoletano, insieme  con una ventata   di legittimisti  europei   accorsi  in difesa  dei  detronizzati Borbone, come successivamente  avvenne  anche  nello  Stato Pontificio , a difendere , fino  al  1870, un antistorico  potere  temporale ,  ingenui ed illusi   rappresentanti di nobili casate , nonché  militari  stranieri ,anche  qui  un  nome per tutti, Borjes.  Non  ultimo e secondario  appoggio al brigantaggio  fu  poi’ l’invio  da  Roma, dove si trovava  Francesco  II , con un simulacro  di governo ,  di mezzi  economici  non indifferenti , da parte  dell’esule  monarca, a sostegno  di queste rivolte ( un esempio  accertato  fra tanti, i 50.000 ducati, mandati  a Tagliacozzo  per  incitare  alla  rivolta), ma  sull’effettiva consistenza  del brigantaggio, sulla  sua  legittima repressione  a mettere in chiaro  la  realtà  è recentemente apparso  un accurato e documentato lavoro storico  di Marco  Vigna: ”Brigantaggio italiano. Considerazione e studi  nell’Italia  Unita” con presentazione di  Barbero (edizioni  Interlinea- Novara  2020 euro 28). L’altro  colpo  propagandistico, ritenuto  decisivo  sempre  da parte dei  neoborbonici  è  stato  la  presentazione  dell’eccidio  di  Casalduni  e Pontelandolfo, con  la falsificazione  della realtà , che ha indotto  in clamorosi errori gli stessi uomini  di governo  della attuale repubblica , andati a piangere  e  scusarsi  per fatti  avvenuti  in modo ben diverso . Questo  quando  non si  è mai fatto cenno , da parte neoborbonica, della sistematica   distruzione  di un paese del Cilento , Bosco, praticamente raso al suolo  nel 1827  e cancellato  dall’albo  dei comuni del regno  ,con i promotori  della   rivolta , avvenuta  sotto il regno  di Francesco I, condannati a morte, compreso  un sacerdote,  con  la  totale dispersione  degli abitanti, con decine  di  condannati all’ergastolo, e della  strage, non unica, avvenuta  anni ed anni dopo ad Ariano  Irpino , settembre  1860 , di  ben  140  guardie nazionali  e  borghesi  patrioti  trucidati  selvaggiamente dai rivoltosi! E  che  dire  dei  “monumenti  di giustizia”( sic ), borbonici ,ovvero  delle  teste mozze  dei condannati  infilate su una picca , ed esposte  in “gabbie di ferro”, riprendendo gli  usi  dei rivoluzionari  francesi! Ma, per i neoborbonici non contano i  morti  dei  risorgimentali, né  contano  gli incendi e le devastazioni  nei  Municipi  effettuate da queste bande , più anarchiche  che  legittimiste , termine di cui nella loro ignoranza  non conoscevano  il significato! Ora   per  Pontelandolfo  e  Casalduni,  come  Barbero  per  Fenestrelle,  dopo  una  accurata  confutazione , anni  or sono , di  Sergio  Boschiero, abbiamo  finalmente  uno  studio  completo dello  storico Giancristiano  Desiderio, che ha  recentemente pubblicato  presso  l’editore  Rubettino, di Soveria  Mannelli , lo studio  “Pontelandolfo  1861 – Tutta  un’altra storia”, dove , dopo  una  attenta analisi  documentale   smonta  totalmente  la  favola  delle centinaia  e poi migliaia (!), di morti , per  riportarli  a  13 ( !) , in quanto  se ci fu un eccidio  questo  fu quello  dei  40  soldati  del  Regio Esercito , mandati  in perlustrazione  e caduti  in una  imboscata , massacrati dai briganti  che fecero anche scempio dei loro cadaveri. Perché  se  furono ordinate   da parte  del  legittimo governo  italiano delle  repressioni , talvolta  anche dure , queste avvennero  sempre e solo  per ripristinare  la legge  e  l’ordine dopo i già  accennati  incendi , le imboscate,  l’assalto  ai municipi, con relativa distruzione di documenti ,da parte  di queste bande. Del  resto  di  questa  “usanza”  dello scempio   dei cadaveri  vi  è  una testimonianza  di  Francesco  Nullo, che aveva  con sé Alberto  Mario , e che racconterà  la tragedia  in pagine  stupende  intitolate  “I Sanniti  moderni”, quando  , nell’ottobre  186, una colonna di volontari garibaldini, vicino Sora, accerchiati in una gola di montagna , riuscirono  con difficoltà  a salvarsi ed a raggiungere Napoli ,  sconvolti  per la vista  delle  mutilazioni inflitte ai cadaveri di  loro  commilitoni  da parte degli insorti.  Così  pure  viene deformata  la vicenda di  Bronte, dove  l’eccidio ,il  2 ottobre 1860, fu  opera  dei  contadini, sia pure oppressi  ed angariati  da tempo. Furono  così massacrati  quindici  borghesi  e possidenti , fra  i quali  anche  un  bambino  solo  perché  figlio di un notaio, per  cui gli inglesi  chiesero  a  Garibaldi  di sedare la rivolta  e difendere  le terre di  proprietà  britannica . Infatti  la  “ducea   di  Bronte”  , come  già  accennato, era  stato  un grazioso  dono  di  Ferdinando  IV  di  Borbone , all’ammiraglio  Nelson, per  ringraziarlo  di  averli  salvati  dai  giacobini, trasportando  tutta  la  casa reale borbonica  da Napoli  a Palermo , dove  la flotta  inglese garantiva  la  loro  incolumità . Perciò  Garibaldi  non poteva esimersi  da questa  repressione, mandando  prima  il colonnello  Poulet  , la cui  azione  non  fu ritenuta  sufficiente  dal  console  inglese. Allora  il  6 ottobre  giunge  Nino Bixio  che  ordina  la requisizione  delle armi dei contadini , arrestandone  un  notevole numero  che fu  poi sottoposto  anni dopo ad un regolare processo , con comminati  37 ergastoli, mentre  fu  fucilata  una sola  persona , Niccolò  Lombardo. E  questo  sarebbe l’eccidio  di Nino  Bixio. Tutte  queste  accuse , espresse  con  tono  apocalittico, parole altisonanti, come “genocidio”, di  centinaia  di migliaia  di morti , di centinaia  di  paesi  incendiati , rimangono  sempre nel vago , senza  altri nomi ,oltre quelli  citati e ripetuti,  come  pure  per  le  accuse  di “manomissioni”  perpetrate dallo Stato  unitario ,quando  si parla ad esempio di chiusura  dei  cantieri navali   di  Castellammare di Stabia , che invece continuarono  ed anzi  aumentarono  la  loro  attività   con  la  costruzione  delle  più  grandi  navi  da guerra  delle  giovane  Regia  Marina  ed egualmente  per altre  attività  che non furono  smantellate, se  non per motivi  economici, come nel caso  della acciaieria  di  Mongiana , situata  nel centro della  Calabria, vicino Serra  San Bruno, a  1000  metri  sul livello  del mare , per  cui i manufatti  dovevano scendere  lentamente verso  Pizzo  e la  costa, per decine e decine  di chilometri, a dorso  di mulo, giusto  sulle mulattiere, che erano le strade  dell’epoca. Tutto  questo  insieme  di volute dimenticanze sul regime poliziesco  esistente  nel  Regno , sui  processi , uno per tutti  quello di  Carlo Poerio , nome sconosciuto ai neoborbonici, sull’esilio  di altri intellettuali, di deformazioni ,  di falsificazioni , di ribaltamenti  di eventi  ha  però  provocato  assurde recriminazioni  e rivendicazioni  e scavato  un solco  tra  italiani  che non sarà  facile  colmare, anche  per il  maggiore spazio  dato  ai  negatori  del  Risorgimento  specie da certi editori, stampa e  siti  locali, rispetto  alle  documentate  smentite  e precisazioni  che vengono  da  veri  storici  e  studiosi , già  citati, in maggioranza  proprio  meridionali,  dimenticando  poi,  come  accennato all’inizio , i   risultati  del referendum   del  1946, dove  la  Monarchia , rappresentata  dallo  Scudo  Sabaudo  , vinse  nettamente , con percentuali  oscillanti tra il 60  e il’70%, proprio nei  comuni  e nelle  provincie  dove  maggiore  era  stata  l’attività  dei  ”Briganti”, e questo ha  un  notevole significato  storico perché nel 1946  , per motivi anagrafici  non votavano  certamente  gli abitanti del 1861 , ma sicuramente i  loro  figli e nipoti , che  da  soldati  dell’esercito italiano avevano valorosamente combattuto  nelle due guerre mondiali ed  avevano ascoltato  la  vera storia dei loro paesi dalla  viva voce di genitori e nonni ,e  non le fandonie  attuali.