Breve nota al libro “Il tribunale della storia – Processo alle falsificazioni”, di Paolo Mieli- Rizzoli editore, 2021. Il titolo dell’ultimo libro del giornalista Paolo Mieli, evoca una realtà con la quale chi svolge, come lo scrivente, la professione legale, ha familiarità: quella dei Tribunali, quella delle aule giudiziarie nella quali i Giudici emettono sentenze, favorevoli o sfavorevoli, a seconda del casi e delle situazioni che vengono poste alla loro attenzione. Il tribunale al quale fa riferimento Paolo Mieli è un tribunale diverso da quello tradizionale, nel quale non si pratica il diritto, bensì l’analisi e la valutazione di fatti storici nella loro complessità e nella loro portata, a distanza di tempo dal loro accadimento, considerato che come ricorda Alessandro Manzoni nella famosa Ode dedicata a Napoleone Bonaparte in occasione della sua morte, avvenuta in esilio nell’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821, solo i posteri, a distanza di tempo potranno esprimere una valutazione oggettiva e distaccata su quanto l’Imperatore dei Francesi aveva rappresentato per l’Europa post rivoluzionaria. La storia, nel nostro tempo, non solo viene utilizzata da molti in modo strumentale, a fini di propaganda politica o ideologica, ma subisce falsificazioni, cancellature, riscritture e revisioni, che spesso sfociano in negazionismo o in vere e proprie sentenze che tendono a decontestualizzare i fatti e ad analizzarli secondo i parametri valutativi attuali, con la conseguenza di giudicare in modo positivo o negativo un evento, un personaggio o un periodo storico da un angolo visuale falsato. La tendenza sopra descritta è stata, per l’autore del libro, come lui stesso dichiara, la motivazione che lo ha spinto ad accostare nell’aula del “Tribunale della storia” le tesi accusatorie, le arringhe difensive, i controinterrogatori dei potenziali “imputati” , al fine di acquisire nuove argomentazioni, nuove conoscenze, nuovi elementi valutativi, al fine di arrivare alla verità dei fatti accaduti e di isolarli da quelle che sono le percezioni sociali dei fatti medesimi, come tali mutevoli nel corso dei secoli. Il libro di Paolo Mieli è, dunque, un viaggio nella storia attraverso il lavoro di un peculiare Tribunale che, come chiarisce l’autore, è continuo, in quanto svolto da un organo storico – giurisdizionale, riunito in “Seduta permanente”, e proprio per questo mai definitivo, sempre in evoluzione; come peraltro il diritto, disciplina fortemente influenzata dal sentire sociale e dal contesto storico di riferimento. Di grande interesse è la prefazione del libro, che racconta la genesi di una pietra miliare del pensiero filosofico e giuridico illuminista, vale a dire il “Trattato sulla tolleranza” di Voltaire, nato proprio a seguito di un fatto giudiziario accaduto in Francia, e precisamente a Tolosa, nel 1762, che aveva visto l’ingiusta condanna a morte di un innocente, Jean Calas, salvo, successivamente, addivenire alla riabilitazione del reo e all’archiviazione di quanto accaduto come un clamoroso errore giudiziario, frutto di superficialità e dicerie, che poco avevano a che fare con una rigorosa indagine sui fatti e con l’accertamento di precise responsabilità. Nei capitoli successivi, Paolo Mieli accompagna il lettore nella dinamica di grandi eventi storici e nella vita di grandi personaggi, interrogandosi, ad esempio, se Napoleone sia stato davvero l’unico grande sconfitto della storia, o su quale origine abbia avuto il c.d. populismo meridionale o sul fenomeno del brigantaggio del sud Italia. Di grande interesse sono, poi, l’ispirazione di Fidel Castro alla dottrina cattolica, pervenutagli dagli studi presso i Gesuiti, i tentativi di avvicinamento di Palmiro Togliatti alla DC, secondo una condivisione di ideali di difesa delle classi operaie disagiate, ma anche la storia antica, con il mito di Enea, con gli interrogativi su Gesù profeta e con la “Leggenda nera” dei pretoriani, i soldati posti a protezione degli imperatori romani, accusati spesso di congiure e di trame contro lo Stato, il Senato e proprio gli Imperatori che dovevano scortare. Il Risorgimento è grande protagonista del libro in commento, con Camillo Benso Conte di Cavour e la sua profezia sulla Chiesa, fondata sul principio di laicità, nel senso di ritenere che solo una separazione dei poteri tra Stato e Chiesa, con Roma capitale del Regno d’Italia avrebbe potuto consentire una civile convivenza tra principi civili e principi religiosi e dare rilevanza alla figura del Papa, capo spirituale della Chiesa cattolica. Grande spazio è riservato, poi, alle vicende della Repubblica Romana e all’esitazione di casa Savoia ad intervenire a fianco dei francesi per sostenere i patrioti, ma anche, come accennato, all’idealizzazione del fenomeno “populista” del brigantaggio oppositivo ai Savoia, che molto turbò Benedetto Croce , tanto da fargli scrivere, di getto, un articolo per “La Critica”, nel quale si domandò , testualmente: “Che cosa è tutto questo affetto per i briganti?”. Inoltre, diverse pagine sono dedicate alla storia del periodo fascista, all’avvicinamento di Mussolini alla Germania nazista ed alla storia del trasformismo post bellico da parte di combattenti nelle file della sinistra antifascista e, infine, a diversi personaggi femminili, figure storiche di primo piano, ma non adeguatamente valorizzate, in quanto donne, come ho già avuto modo di argomentare, ampiamente, in altri articoli apparsi sul “Pannunzio Magazine”. Con grande interesse, dunque, con il libro di Paolo Mieli entriamo nelle vicende di Eleanor Roosevelt, coniuge del Presidente statunitense del “New Deal”, che si dedicò attivamente ad iniziative sociali di sostegno ai ceti meno abbienti, e per questo tacciata di pericolosa vicinanza agli ideali socialisti e in quelle della grande imperatrice di Russia Caterina, sovrana assoluta influenzata, però, dalle idee dell’Illuminismo, ed in particolare dal pensiero dell’enciclopedista D’Alembert e dei grandi filosofi Rousseau e Voltaire. La storia come evoluzione continua del pensiero e della percezione dei fatti: questo credo sia il messaggio del libro di Paolo Mieli. La conseguenza di questa premessa è che le sentenze del “Tribunale della storia”, a differenza di quelle dei Tribunali che noi avvocati frequentiamo, non passino mai in giudicato, ma costituiscano solo il primo tassello di un percorso di studio e conoscenza mai definitivo e sempre pronto a proporre nuovi spunti di riflessione e valutazione.
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