Durante il secolo scorso gli studi sul linguaggio divennero centrali per fondare un nuovo approccio ai temi del metodo cognitivo, ne abbiamo parlato nel mio articolo di questa rubrica “Il ‘900, parole e linguaggio”.

   La Scienza perse la sua continuità e iniziò a procedere a salti, si sottopose a continue verificazioni, e ciò che era scienza poté divenire in breve tempo falsa scienza o comunque scienza profondamente rivisitata nei suoi postulati, dando spazio a nuovi orientamenti, a nuovi metodi di conoscenza del mondo.

   Anche la Religione, nel mondo libero dalle Teocrazie, grazie agli effetti delle rivoluzioni democratiche, iniziò ad aprirsi al dialogo con la società, più cautamente ad aprirsi alla scienza. Teologi e preti sociali iniziarono la loro presenza superando steccati misterici, ideologici o politici, anche grazie al grande rinnovamento del Concilio Vaticano II. Tanti uomini di fede furono impegnati nelle campagne di solidarietà, orientati coerentemente a costruire la dignità delle donne e degli uomini, fuori da mere logiche di potere e beneficenza.

   La Cultura si aprì definitivamente al dubbio e alla tolleranza e il dibattito novecentesco sulla “grande divisione” (fra fatti e opinioni, fra oggettività e soggettività, fra cognitivismo e non cognitivismo) portò a nuovi denominatori comuni: al rispetto per le diversità, alla fragilità delle logiche oggettive nell’analisi dei fatti, alla discutibilità delle opinioni, spesso condizionate da fattori ambientali o ideologici.

   Nel nuovo clima d’apertura, a partire dagli anni ’60, ebbi modo di frequentare uomini distanti da me per cultura, con i quali, partendo da valori comuni, fra questi l’amore per i principi fondamentali della carta costituzionale repubblicana, fu possibile discutere da punti di vista anche distanti, riconoscendo reciproche fragilità argomentative ma anche punti di forza. Il rispecchiamento reciproco avveniva facilmente sul piano della responsabilità pubblica e della responsabilità d’impresa e professionale.

   Nel XXI secolo, dentro il nuovo contesto globale dei fenomeni, la liberalità della cultura novecentesca è da consolidare e connettere ai tempi sempre più veloci delle decisioni strategiche, indotti direttamente o indirettamente dalle rivoluzioni industriali, dalle nuove e complesse linee di divisione nel mondo, dai nuovi modelli dell’economie emergenti.

   Ciò vale in particolare sul piano del governo della “cosa pubblica”, dove l’attenzione e la reattività ai temi sociali globali richiede la pronta costruzione di un nuovo linguaggio comune, di una nuova cultura e coesione sociale. Serve costruire le parole chiave per il XXI secolo, quelle fondamentali intorno alle quali rota il futuro e che segnano l’inizio secolo. Ad opinione di chi scrive, esse sono: Ambiente, Energia, Giustizia Sociale.

   Noi italiani, noi europei, siamo chiamati oggi a fondare un nuovo linguaggio della politica, più prossimo ai problemi reali, più capace di sguardo lungo e aperto, più idoneo alla rapidità delle decisioni e a un governo della cosa pubblica capace di interpretare i grandi cambiamenti epocali. Per farlo davvero occorre connettere il piano del governo pubblico nazionale alla ricchezza dell’inventiva imprenditoriale e scientifica della nostra Italia, poi della nostra Europa e del Mondo intero, e le parole strategiche sono quelle, le ripeto: Ambiente, Energia, Giustizia sociale.

   E senza le buone politiche ambientali la vita stessa del pianeta è a rischio; e senza adeguate politiche energetiche vanno in crisi le politiche ambientali e l’autonomia degli Stati e delle aree geopolitiche; e senza ambiziose politiche di giustizia sociale manca la coesione delle comunità nazionali e l’equilibrio fra aree socioeconomiche e crescono povertà e migrazioni forzate; tutto è sempre più globale e interconnesso e sono sempre più all’odg le politiche di pace e la capacità di costruire un nuovo Ordine Mondiale, per un’autentica visione di futuro dell’Umanità.