Parlo e ragiono da laico e laicista, che, come tale, difende il pluralismo delle opinioni, fino  a farsi sostenitore di un relativismo morale, che, perfino quando sia ragionevole e ragionato, crea ancora oggi scandalo in tanti. 

Però il laico e il laicista, che in fondo non è altro se non chi, dai tempi di Machiavelli in avanti, preferisce alla pace del chiostro, il rumore del mondo e difende ostinatamente questa sua scelta, non è poi un anticlericale, l’anticlericalismo appartenendo piuttosto a chi rimarca, talvolta a ragione, talvolta a torto, i difetti veri e presunti del clero i cui comportamenti lo deludono. Delusione che non tocca il laicista che la osserva come un fatto che accade e che, all’occorrenza può suscitare in lui qualche ilarità.

Perciò uno come me può trovarsi nella situazione di spezzare ogni tanto una lancia a favore non della Chiesa, soggetto complesso e tale da sfuggire alla valutazione di chi si avventura a interpretare il pensiero altrui, ma a favore di chi nella Chiesa dica cose per lui condivisibili.

Qui voglio precisare che quando papa Francesco si riferisce ai “trafficanti” di esseri umani, a proposito della tragica vicenda degli annegati in prossimità della spiaggia di Cutro, non sostenga qualcosa del tipo che vanno perseguiti gli “scafisti”, come ha sostenuto il ministro Salvini.

Senza pretendere di interpretare più correttamente di altri il pensiero del Papa e, correndo il rischio di prendere qualche “papera” in qusta materia, dirò quello che credo debba dirsi. Per me chiunque abbia, per remota consuetudine, la mira di evitare di scendere ai particolari della cronaca che in questo caso è nera da una parte ma anche politica dall’altra, tiferendosi ai trafficanti di esseri umani, voglia comprendere, in questa ampia e non meglio definita categoria di malfattori, tutti coloro che a vari livelli, in varie forme e ruoli, promuovono e assecondano tale traffico. E aggiungerò qui una mia personale malignità che non mi azzardo a riferire anche al pensiero del Vicario di Cristo in Terra. Gli scafisti, io penso, sono la manovalanza dei trafficanti, perciò trafficanti anche loro, ma quelli che vanno combattuti e fermati sono innanzi tutto quanti, stando tranquillamente a casa loro, e non necessariamente e soltanto nei territori da cui partono i barconi della disperazione, lucrano cinicamente su un affare vergognoso. Parlo di gente che si guarda dal metterci la faccia e si guarda anche dall’esprimere pubblicamente il proprio parere circa quanto accade da diversi anni in qua nel Mediterraneo. Insomma non è solo al cinema che avviene il fatto che parte dei proventi di loschi affari, finiscano nelle tasche di chi in una sua ricca villa al mare o in montagna, in Svizzera o ai laghi Masuri, sta godendosi la vita, attorniato da belle donne e servitori. 

Voglio dire che il ruolo dello scafista in questo losco affare non si differenzia di molto da quello dello spacciatore di droga al minuto nel gigantesto affare dei narcotrafficanti. Temo in questo senso che, a prendersela solo con gli scafisti si rischi di non incrinare abbastanza l’affare, perché, perso uno scafista, se ne trova un altro, esattemante come accade dello spacciatore. Né credo (ma questo sarebbe un discorso lungo, da fare in altra occasione) che l’inasprimento delle pene possa servire alla soluzione del problema. Dirò solo che, diventando più rischioso il compito dello scafista, i trafficanti lo pagheranno un po’ di più, trovando sempre dei disperati pronti a vivere il brivido di una condanna a trent’anni di reclusione, alla quale sperano di sottrarsi con la fuga e il rientro in patria, godendosi il bottino.

Sono convinto che il Papa queste cose le sappia, anche perché, da sacerdote, da Vescovo e da Cardinale, ha senz’altro avuto modo di conoscere gli uomini e i problemi del mondo, che oggi suppongo veda con più lungimiranza di me e di altri. Ciò a prescindere da quel che il Papa dice o non dice.

Chiarendo, io non so che cosa pensi papa Francesco circa la difficoltà di smantellare un losco traffico gestito da una mafia che può ben dirsi internazionale. Il mio parere di cittadino, che si sforza di informarsi, è che il nostro paese – che ha già tanti problemi ad assicurare alla giustizia capi della mafia nazionale, latitnati per anni nel loro stesso paesello, dove magari sorge la casa di famiglia di chi latita – poco possa tentare per far cessare in poco tempo il vergognoso traffico di esseri umani. Traffico che  continua e continuerà ancora per molto tempo, perché non sarà tanto facile addivenire a un accordo tra gli stati che compongono l’E.U. Nel frattempo si continuerà a morire in mare, in conseguenza di un traffico che difficilmente si esaurirà. Traffico che di vergognoso ha soprattutto il fatto che tanti esseri umani muoiano annegando miseramente. Se non annegassero e viaggiassero in sicurezza, cioè in un numero compatibile con le caratteristiche dell’imbarcazione su cui si trovano; con la dotazione di giubbotti di salvataggio; con almeno un medico a bordo e con tutti i conforts necessari, la vergogna cesserebbe. Ma così non è, per ragioni che capisce anche un bambino. Non solo chi cerca lavoro, ma anche chi chiede legittimamente asilo e perfino il ricongiungimento ai parenti, avrebbe incredibili difficoltà a imbarcarsi su una qualunque nave passeggeri in partenza alla volta delle coste italiane, perché non verrebbe fatto salire a bordo. Sicché l’alternativa per sfuggire a un inferno in cerca di qualcosa che ai loro occhi somigli al paradiso, è, per questi infelici, solo quella dei barconi.

Finché però queste persone annegano, cioè (per il futuro) rischiano di annegare, l’idea di adoperarsi comunque, fino ad andarli a cercare in mare aperto, lascerebbe tanti di noi molto più sereni.

Si dirà che la coperta è corta e che più di tanto non si può fare. Ma quanto costa all’Italia, cattiva figura a parte, tutta l’operazione di recupero di cadaveri e cadaverini (a Cutro ce ne sono stati troppi), con ricerche annesse, non ancora ultimate dopo tredici giorni? Quanto la consegna delle salme ai parenti che ne fanno legittima richiesta? Quanto il viaggio del Capo dello Stato, doverosamente e assai opportunamento effettuato per rendere il tempestivo omaggio alle vittime? E quanto infine la trasferta del Consiglio dei ministri a Cutro, col relativo dispiegamento di forze dell’ordine locale, macchine blu e scorta?

Basterebbe dare incarico a piccole imbarcazioni della Capitaneria di porto di perlustrare sistematicamente le acque fino a una certa distanza dalla costa o, più semplicemente, inviare dei droni per sapere se ci sono o non ci sono imbarcazioni dirette verso terra e quindi intervenire, comunque sapendo che un barcone non è una nave passeggeri. Ma il governo non ha decretato in tal senso, né vredo che abbia preso in considerazione il ricorso a misure del genere. Del resto, a fare provvedimenti d’urgenza, il rischio maggiore è proprio quello di inccorrere in qualche “errore”, che è, giusto il significato del termine, un’accidentale e non voluta deviazione da quel percorso di cartesiana memoria, che il filosofo chiama “metodo” e il contadino “seminato”.

Ora, sempre che io non mi sbagli, il “metodo” circa le decisioni gravi che un governo debba assumere nei paesi che hanno la fortuna d’avere una Costituzione democratica che regola i rapporti delle varie realtà istituzionali, è nel tracciato del percorso legislativo. Voglio dire che le decisioni di grave momento si assumono, in casi di urgenza, precariamente, riservandosi di meglio definirle in Parlamento, dove un confronto, che dovrebbe essere lucido e pacato delle varie ragionate opinioni, porti a una scelta ponderata e condivisa che ha come frutto una legge che ponga fine a una qualunque vexata quaestio. Se l’opposizione deve lasciare lavorare il governo, poi il governo deve tener conto dei suggerimenti che dall’opposizione possono provenire. Ciò anche perché si governa nel nome di tutti i cittadini, sia di quelli che hanno votato a favore della maggioranza, sia di quelli che hanno votato contro, sia infine di quelli che, per ragioni comunque plausibili, abbiano preferito non votare. E l’unico modo è di portare questi temi in discussione al Parlamento.