L’anno che si sta chiudendo è quello di Dante (settimo centenario della morte), mentre il prossimo sarà l’anno di Mazzini (150° anniversario della scomparsa). A unire i due anniversari ci sta bene, quindi, un ricordo di Mazzini quale studioso di Dante. L’Apostolo dell’Unità, infatti, fu un dantista di notevole livello. Il suo primo scritto, del 1827 (aveva, allora, appena 22 anni), si intitola proprio Dell’amor patrio di Dante. Venne inviato per la pubblicazione all’Antologia del Vieusseux, ma rimase inedito per una diecina d’anni, quando Niccolò Tommaseo non lo ritrovò tra le sue carte e lo fece pubblicare sul periodico Il Subalpino. Uno scritto giovanile che denota, però, una notevole maturità e le idee sull’Alighieri ivi esposte, in seguito più o meno variamente sviluppate, accompagneranno Giuseppe Mazzini per tutto il resto della sua vita. Il Genovese, che possedeva un forte sentimento religioso dell’esistenza, è ben conscio dell’origine sacra della letteratura primigenia e, in questo senso, pone Dante sulla linea di Teognide, Pindaro, Omero, Esiodo, poeti cui la patria affidava il santissimo uffizio di educare la gioventù al rispetto delle leggi religiose e civili e all’amore della libertà. Nell’Italia decaduta del suo tempo, quindi, Dante assume il compito che era stato dei poemi arcaici, sia con la Commedia, sia con le opere cosiddette “minori”. Potrà sembrare strano leggere il repubblicano Mazzini che innalza veri e propri peana alla Monarchia dantesca, ma l’Impero concepito dall’Alighieri, che racchiude in sé monarchie, repubbliche, liberi comuni, principati, signorie, ecc. è, in effetti, una forma istituzionale che supera i concetti di monarchia e repubblica come li intendiamo oggi. Alla fine del suo saggio, Mazzini esorta gli italiani a studiare Dante, ma non sui commenti e sulle glosse, poiché i grammatici e gli interpreti sono come coloro che disseccano i cadaveri e, mostrando con estrema precisione tutti gli elementi fisici che componevano il corpo, nascondono o dimenticano la sacra scintilla che lo aveva animato. Così si conclude lo scritto mazziniano, quasi ad indicare Dante come uno dei Padri del Risorgimento: “O Italiani! – non obliate giammai che il primo passo a produrre uomini grandi sta nello onorare i già spenti”. Nello stesso anno in cui Tommaseo pubblica il saggio dantesco mazziniano – il 1837 – Mazzini si reca in Inghilterra per un periodo che, con qualche interruzione, durerà una trentina d’anni. Questo esilio sarà molto fecondo per gli studi danteschi: egli riuscirà, infatti, a recuperare, presso il libraio Pickering di Londra, gli inediti del Foscolo sul “ghibellin fuggiasco” e, tra il 1842 e l’anno successivo, a pubblicare l’edizione foscoliana della Commedia. Nella prefazione, Giuseppe Mazzini riprende e rinvigorisce le idee contenute nel primo scritto: “Dante è tal uomo i cui libri studiati in un colla vita sarebbero da tanto da ritemprare tutta una generazione e riscattarla dall’infiacchimento che tre secoli d’inezie o di servilità hanno generato e mantengono… Oggi, pigmei, non intendiamo di Dante che il verso e la prepotente immaginazione; ma un giorno, quando saremo fatti più degni di lui, guardando indietro all’orme gigantesche ch’egli stampò sulle vie del pensiero sociale, andremo tutti in pellegrinaggio a Ravenna … e troveremo una Filosofia, nazionale davvero, anello tra la Scuola Italiana di Pitagora e i pensatori italiani del secolo XVII…”. A Londra Mazzini fondò una scuola italiana gratuita per i nostri immigrati e le loro famiglie. Molto spazio vi veniva dato all’insegnamento dell’opera dantesca e, in quello stesso periodo, l’Apostolo faceva opera di divulgazione dantesca sui periodici che aveva fondato e dirigeva. Per esempio, in un numero del 1841 dell’Apostolato Popolare, usciva un lungo articolo su Dante in cui si affermava, tra il resto: “…amò sovra tutti la Patria e l’adorò destinata a cose più grandi che non spettano a tutti gli altri paesi…morì confortato, cinque secoli addietro, nella credenza che l’Italia sarebbe un giorno Nazione e direttrice una terza volta dell’incivilimento europeo… A Dante … più che l’Imperatore gl’importava l’Impero: gl’importava di toglierlo alla Germania e di ripiantarlo in Italia: gl’importava che dall’Italia partisse allora come sempre la parola dell’Autorità, la direzione del movimento europeo … adorava (nella Patria)… la terra destinata da Dio alla grande missione di dare unità morale all’Europa e per mezzo d’Europa all’Umanità…”. Nel 1844 pubblica, su una estremamente prestigiosa rivista culturale britannica, un saggio sulle opere minori di Dante. Tali opere vengono definite “minori” solo perché meno note della Commedia, ma in questo caso minori non significa di certo “secondarie”, poiché in esse ritroviamo lo stesso sviluppo ideologico e spirituale, nonché le medesime convinzioni espresse nel “Poema Sacro”. Per esempio nel Monarchia appare evidente che Dio ha scelto Roma come sede dell’Impero per far sì che l’Italia possa svolgere la propria missione tra le Nazioni. E proprio questo libro, afferma il Mazzini esplicitamente, costituisce l’anello di congiunzione tra la scuola di Pitagora e quella di Telesio, di Campanella, di Giordano Bruno. Mazzini politico non è mai stato molto popolare poiché ha sempre posto l’accento sui Doveri più che sui Diritti (e, difatti, l’opera che compendia il suo pensiero politico si intitola I Doveri dell’Uomo, dal titolo e dal contenuto intenzionalmente contrari alla religione dei “Diritti dell’Uomo” nata con la rivoluzione francese) e perché ha denunciato la pericolosità delle idee di Marx prima ancora che questi pubblicasse il Manifesto del Partito Comunista. Anche come dantista non è mai stato molto apprezzato dalla congrega dei critici letterari, che lo ha, spesso, fortemente criticato. Invece, a mio avviso, va riscoperto anche come dantista, poiché dell’Alighieri è riuscito a fornirci un ritratto più vero, più potente, più vivo, più attuale.