Nel 2007, precisamente il 10 gennaio, Steve Jobs presentò al mondo intero Iphone. L’allora amministratore delegato dell’Apple, urlò dal palco San Francisco: “abbiamo reinventato il telefono; da oggi in avanti non esisterà più la tastiera e qualunque cittadino del mondo potrà connettersi con Internet e navigare nel mare magnum della rete”. Da allora niente è stato più come prima. Oggi più della metà delle persone si porta il computer in tasca. Tra mail, Facebook, WhatsApp e via dicendo, non c’è più un attimo di pace. È nata così una nuova figura mitologica, l’homo Smart Fonicus. Con gli arti superiori metà braccia e metà Iphone, che mai viene staccato dagli occhi e dalle orecchie. Le grandi città pullulano di individui che guardano le mail sull’orologio e l’ora sul telefonino e contemporaneamente rispondono alle chiamate. Questi individui sono talmente presi, che spesso saltano le fermate del tram o della metropolitana e, se sono in macchina, mettono a rischio oltre alla loro incolumità anche quella degli altri. L’uomo moderno è ormai diventato schiavo del telefonino e la schiavitù come è noto, diventa irreversibile quando lo schiavo inizia ad amare le sue catene e a non poterne più fare a meno. È ormai quasi impossibile sottrarsi alla lunga mano del Web, strappare la rete ed isolarsi dal mondo per pochi istanti. L’unico modo per liberarsi dalla schiavitù del telefonino è quello di ritornare alla pratica del silenzio e sostituire piano piano, lentamente, la cultura dell’immagine con la cultura del pensiero. Solo così potremo entrare in contatto con i confini più reconditi della nostra Essenza e ritrovare lo spazio, il tempo, la serenità e l’energia, assolutamente indispensabili per il nostro equilibrio interiore. Secondo una ricerca di Bank Of America, sette proprietari di Iphone su dieci dormono tenendo vicino il proprio telefono: nel letto o sul comodino. E c’è anche un tre per cento che lo stringe in mano durante il sonno. Un terzo del campione consultato dalla banca ha anche ammesso che l’Iphone è la prima cosa che tocca appena sveglio. Quando, il 9 gennaio 2007, Steve Jobs lanciò il primo telefono intelligente, la gente non aveva ben chiaro ciò che ne avrebbe fatto. Sapeva solo che l’avrebbe comprato e Steve Jobs, in fondo, quello che sapeva fare era convincerti che quello che ti stava mostrando era proprio ciò di cui avevi bisogno. Quel nove gennaio, Jobs disse che il suo obiettivo era di venderne dieci milioni nel 2008. Nel 2016 sono stati comprati un miliardo e mezzo di cellulari intelligenti e la previsione è di arrivare a cinque miliardi nel 2020.Tra dieci anni, probabilmente, l’Iphone non esisterà più. Ci sarà forse un robot che lavorerà e ragionerà al posto nostro. Ma ciò non sarà un bene se non sapremo mettere, nell’inevitabile progresso, un po’ della nostra intelligenza e del nostro umanissimo ingegno. Se vogliamo costruire un futuro diverso e migliore, dobbiamo convincerci che l’Iphone, pur essendo l’icona immortale di un’era intelligente, è solo e sempre uno strumento magnifico a nostra disposizione. È l’oggetto, non il soggetto. È il tramite che possiamo e dobbiamo utilizzare pensando solamente ed esclusivamente col nostro cervello.
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