PER LA PRIMA VOLTA UNA DONNA, IMPRENDITRICE RISICOLA PIEMONTESE, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE DONNE E RISO, ALLA GUIDA DELL’IMPORTANTE ENTE CHE SI OCCUPA DEL RISO: COMPARTO SEMPRE PIU’ STRATEGICO NEL CONTESTO MONDIALE

Il 2014 era stato dichiarato dall’ONU “Anno Internazionale dell’Agricoltura Famigliare”. In quel tempo, ero ancora in attività nel mio lavoro all’assessorato agricoltura della Regione Piemonte come Esperto di Politiche di Valorizzazione dell’Agricoltura e sue produzioni, avevamo messo in programma una serie di iniziative e incontri per celebrare tale evento, in particolare nell’ambito della edizione 2014 del Salone del Gusto – Terra Madre, in cui tale evento era il tema conduttore. In tale contesto avevamo evidenziato i dati statistici del Piemonte agricolo sinteticamente caratterizzati da un calo numerico delle aziende agricole, ma era cresciuta la superficie media aziendale; cioè  aziende più grandi e molto più ben strutturate, grazie al fenomeno di riaccorpamenti, nuovi investimenti, un forte ricambio generazionale nella guida aziendale, ovvero l’insediamento di giovani agricoltori; e su quest’ultimo aspetto era molto cresciuta la componente  femminile: risultavano infatti circa 22.000 le aziende  condotte da donne su 67.000 aziende agricole totali. Inoltre, erano donne un terzo dei 64.000 lavoranti nelle aziende in agricole. In definitiva si rafforzava il quadro delle piccole e medie aziende che continuavano a costituire l’ossatura dell’agricoltura piemontese, e che potenziavano la loro dinamicità e operatività sui mercati.

Insomma, con quei dati il Piemonte si dimostrava un alto esempio di quella Agricoltura Famigliare, di quelle aziende a conduzione famigliare, dove le Donne continuano ad essere “l’Anello forte” (come ricorda il titolo del bel libro di Nuto Revelli). Aziende agricole che non producono soltanto derrate agricole, ma sono anche espressione di valori, di coesione sociale, custodi di identità e tradizioni, presidio e animatori di territori spesso destinati all’abbandono e alla marginalità e al dissesto idrogeologico.

La crescita quantitativa e qualitativa della presenza femminile, oltre che nelle aziende agricole, si conferma anche negli organi dirigenti delle organizzazioni economiche e professionali agricole e agroalimentari, ed è particolarmente attiva nel comparto vitivinicolo, e ne è alto esempio  l’Associazione Nazionale Donne del Vino, costituita nel 1988, articolata in Delegazioni regionali, tra cui quella piemontese che è una delle più rappresentative ed è stata una delle maggiori partecipanti nella fondazione, crescita e guida della associazione.

Altro comparto significativo e peculiare del Piemonte, è quello del Riso, anche per la presenza di donne imprenditrici che nel 1979, guidate da Rita Greppi, hanno fondato l’Associazione Donne e Riso, oggi composta da 80 donne alla guida di altrettante aziende risicole, che ha svolto e continua a svolgere una significativa attività di promozione e valorizzazione di questo importante comparto agroalimentare, simbolo del Piemonte e dell’Italia.

Ebbene, proprio nei giorni scorsi, una notizia che esalta tale peculiarità piemontese: Il Consiglio dei Ministri ha approvato la nomina di Natalia Bobba a presidente dell’Ente Nazionale Risi, che succede al presidente uscente Paolo Carrà. Natalia Bobba [ nella foto del 2016 insieme al sottoscritto al quale ha consegnato la targa ricordo e l’iscrizione di socio onorario dell’Associazione Donne e Riso] , alla guida dell’azienda risicola di famiglia, la cascina Pernasca di Vinzaglio (NO), da sempre impegnata nella Associazione Donne e Riso, ne è diventata presidente nel 2014, succedendo alla storica presidente Licia Vandone, in carica dal 1988; e di questo importante sodalizio femminile agricolo piemontese, mi sembra opportuno ricordare anche la precedente presidente Erminia Rosso e Maria Grazia Calzoni,  conduttrice assieme al marito Carlo Goio, dell’azienda risicola di Rovasenda, coordinatrice delle attività delle Donne e Riso, e che è stata per tanti anni, direttore della Confagricoltura Piemonte (una delle prime donne a svolgere ruoli dirigenziali nelle organizzazioni agricole).

Con la nomina di Natalia Bobba, per la prima volta nella sua lunga storia, l’Ente Nazionale Risi ha una donna come presidente.

 Ed è una lunga storia, quella dell’Ente Risi: istituzione pubblica creata nel 1931, come organismo interprofessionale a tutela della filiera del riso.

Se ci pensiamo erano gli anni del fascismo che aveva fatto un vanto dell’autarchia e quindi aveva considerato strategica la produzione di riso che, del resto, era una coltivazione antica e peculiare dell’Italia; una storia che risale al XV secolo, quando il riso, portato dagli Arabi in Sicilia tra l’VIII e il IX secolo D.C., lentamente aveva risalito la penisola per poi fermarsi in quest’area della pianura Padana, terre marginali perché paludose, ma in cui il riso aveva trovato le migliori condizioni pedoclimatiche, soprattutto per  la disponibilità d’acqua e quindi con la tecnica della sommersione che garantisce la stabilità termica. Una storia, questa, lunga e faticosa, per le opere di bonifica e di sistemazione agraria e idraulica; infatti, è solo nel 1800 che il sistema si evolve grazie alla realizzazione del grandioso e storico Canale Cavour, capolavoro di ingegneria idraulica, voluto dal Conte Camillo Benso di Cavour, lo statista, esperto di agricoltura a cui diede forte impulso, che era anche proprietario della Tenuta di Leri a Trino Vercellese (oltre che della tenuta vitivinicola di Grinzane Cavour). Un’opera gigantesca, realizzata tra il 1863 e il 1866, in tempi da record se pensiamo agli scarsi strumenti meccanici e tecnici di allora (da rimpiangere, e da piangere, per come vanno le cose adesso); il canale, derivato dal Po, presso Chivasso, passa sotto il fiume Sesia e si getta nel Ticino dopo un percorso di 82,2 Km. Ultimato il Canale Cavour si proseguì con la realizzazione del poderoso sistema idraulico irriguo agronomico che, come una rete, avrebbe portato l’acqua in tutto il comprensorio risicolo. A questo punto entrano in scena gli storici grandi Consorzi: il Consorzio di irrigazione e bonifica Ovest Sesia Baraggia, fondato nel 1853 proprio da Cavour e il Consorzio di irrigazione Est Sesia. La coltivazione del riso è storicamente concentrata nella pianura piemontese, circa 115.000 ettari, tra le province di Vercelli, Novara, Biella e la parte Casalese della Provincia di Alessandria, si estende, senza soluzione di continuità, nella Lomellina in Provincia di Pavia, con circa 92.000 ettari; quelle “Terre d’Acqua”, di oltre 200.000 ettari che producono circa il 97% del riso italiano (altre micro aree di coltivazione sono nel veronese e in Sardegna), con una produzione totale annua di circa 1,4 milioni di tonnellate di riso, che rappresentano quasi il 60% della produzione di riso della UE.

Anche da questi dati ci si può rendere conto dell’importanza di un organismo pubblico come l’Ente Risi, con i compiti di tutela, valorizzazione, commercializzazione, ed ancora la ricerca e la sperimentazione, nonché la difesa degli interessi di questa importante realtà economica, territoriale, sociale dell’Italia nelle politiche e negli accordi all’interno della U.E. e nei rapporti con gli organismi internazionali. L’attenzione a tali problemi è diventata ancor più importante alla luce degli avvenimenti di questi ultimi anni che hanno scombussolato i delicati equilibri mondiali: la pandemia del Covid 19 che paralizza per quasi tre anni il mondo, la guerra in Ucraina con l’apocalittica realtà che manca il grano, manca il pane (non dimentichiamo che le famose “primavere arabe” o le rivolte del 2014, partirono da Tunisi perchè mancava il pane; e non parliamo delle incognite che si aprono con le nuove politiche e decisioni per contrastare i cosiddetti effetti dei cambiamenti climatici, e che avranno pesanti ripercussioni sugli attuali equilibri. Tutto questo per dire che il “cibo” è diventato strategico, ancor più se riflettiamo sul dato della crescita della popolazione mondiale (era di 1 miliardo all’inizio del 1900, attualmente è di quasi 8 miliardi, le previsioni parlano di 10 miliardi di persone nel 2050, e 11,2 miliardi nel 2100).  In tale contesto il riso è la pianta più antica, più diffusa e coltivata della terra; qualche anno fa i dati della FAO dicevano che il riso costituisce l’alimento principale per quasi tre miliardi di persone, e per un miliardo di questi, l’alimento unico. I dati dell’ONU stimano che siano quasi un miliardo le persone che quotidianamente combattono la fame e per la maggior parte risiedono in quelle nazioni del mondo che più dipendono dal riso.

La produzione mondiale di riso è di circa 600.000.000 tonnellate annue, coltivato su una superficie complessiva di circa 150 milioni di ettari, ma gran parte di questa produzione serve per l’autoconsumo. Inoltre, il riso viene coltivato e prodotto, in prevalenza, in territori e aree geografiche a forti rischi pedoclimatici e ambientali: alluvioni, processi di desertificazioni, carestie e altre calamità, ai quali si aggiungono ricorrenti fenomeni di lotte tribali, guerre, pesanti riconversioni produttive, e altro ancora. Tutti fattori che rendono precaria e molto incerta la produzione e la commercializzazione, infatti solo il 6% della produzione mondiale di riso è oggetto di scambi commerciali internazionali. Risulta, pertanto, importante e strategica, la pur modesta quota italiana (1,4 milioni di tonnellate), che incide molto su quel 6% di quota mondiale di riso oggetto di transazioni internazionali, e che comunque rappresenta circa il 60% della produzione della Unione Europea. Dunque, una produzione, quella italiana ed europea, sicura per consistenza e continuità produttiva, grazie alla forte innovazione tecnologica e le grandi qualità, ovvero grandi aziende con forti capacità produttive, prodotto ottenuto con sistemi di lavorazione e coltivazione ecocompatibili e agroambientali, accordi di filiera per la tracciabilità, rintracciabilità, autocontrollo igienico e sanitario. Inoltre, la produzione italiana, oltre a ottime varietà del tipo “Indica “ (quello affusolato, per insalate e contorni), offre una serie di pregiate produzioni tradizionali e storiche della sottospecie “Japonica” quali: Carnaroli, Arborio, Baldo, Balilla, S. Andrea, Vialone Nano, Nuovo Maratelli, Artiglio, Lido, Selenio, Roma, ecc. Tutte varietà ideali per la preparazione di risotti, minestre, dolci e altre specialità gastronomiche che hanno reso celebre la cucina piemontese e italiana nel mondo; soprattutto il “Risotto”, un piatto di culto, simbolo delle qualità del Made in Italy e la gamma di “cibi di strada” che il riso ha lasciato nella sua risalita storica e geografica della penisola, dalla Sicilia alla pianura Piemontese e Lombarda: le mitiche “Arancine” della Sicilia, i “Sartù” napoletani, i “Supplì” romani. Un valore aggiunto di questo territorio del riso è stato nel 2007, il riconoscimento da parte della UE della DOP (Denominazione di Origine Protetta) per il “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”, la prima DOP sul riso a livello europeo, che prende il nome da quel territorio della “Baraggia” che si estende tra le province di Biella e Vercelli, che copre circa il 25% della risicoltura piemontese.

Sulle terre del riso, periodicamente, si levano accuse poiché dicono: “toglie l’acqua agli assetati”. Al contrario, tale sistema idraulico accumula acqua nel periodo primaverile (il riso viene sommerso ad aprile-maggio), ovvero nei periodi piovosi, prendendo quell’acqua che comunque andrebbe a finire nell’Adriatico; peraltro, nei momenti alluvionali, la rete dei canali irrigui, assorbe e attenua le piene d’acqua, scaricandone gli effetti nefasti. L’acqua delle risaie viene usata razionalmente e senza sprechi, anche grazie all’efficace sistema idraulico-irriguo-agronomico, al dislivello e all’effetto scarico da un campo all’altro; l’acqua rimanente della sommersione resta sul territorio e alimenta le falde acquifere con acqua buona, grazie ai sistemi di difesa ecocompatibili delle colture. Con le “Terre d’acqua” si è anche formato un peculiare e particolare microclima e si è sviluppata una flora e fauna di grande interesse ambientale e per la biodiversità, oltre a costituire un fascinoso paesaggio, di grande potenzialità, che attrae turisti e appassionati. Si ricorda, a tal proposito, che nel 2013, la regione Piemonte ha riconosciuto la “Strada del Riso Vercellese di qualità”, uno strumento che fa da volano al turismo rurale, ambientale, paesaggistico ed enogastronomico di questo territorio. Un altro strumento importante che si aggiunge è il progetto avviato per la realizzazione della “Ciclo strada Canale Cavour” per il collegamento in bicicletta Torino-Milano (che dovrebbe proseguire fino a Venezia).

Abbiamo rilevato il ruolo strategico del comparto risicolo italiano nel contesto dei nuovi e gravi problemi che si sono aggiunti nel panorama internazionale, per i quali necessariamente dovrà crescere l’impegno e le responsabilità dell’Ente Nazionale Risi. Nella mia lunga attività nell’Assessorato Agricoltura della Regione Piemonte, abbiamo stimolato la nascita e la crescita delle associazioni e delle organizzazioni dei produttori e il lavoro comune nella promozione e valorizzazione delle produzioni agricole e dei suoi territori, con manifestazioni, fiere, campagne promozionali; in tale contesto l’Associazione Donne e Riso è stata una delle prime a operare e una delle più attive, e Natalia Bobba, attuale presidente, in carica dal 2014, ha saputo dare continuità e sviluppo a quella grande storia dell’associazione. E dunque crediamo che la designazione di Natalia Bobba alla guida dell’Ente Nazionale Risi, sia stata una scelta buona e giusta; intanto, perché per la prima volta, nei quasi cento anni di vita dell’Ente, c’è una donna presidente e perché riteniamo che questa Donna sia consapevole dei vecchi e nuovi problemi che deve affrontare l’Ente Risi, e abbia la volontà e le capacità per svolgere bene questo ruolo.