Oddone Camerana, scomparso a Torino il 5 settembre del 2022 (vi era nato il 22 novembre del 1937), è stato uno degli scrittori italiani più interessanti della sua generazione –  sia per le specifiche e non corrive opzioni  tematiche sia per l’alta qualità espressiva delle sue storie – anche se oggetto di un’attenzione critica e di un’accoglienza complessiva a nostro parere  proporzionalmente forse meno sollecite e adeguate: un po’ come è accaduto al suo concittadino Mario Lattes, di cui furono largamente riconosciuti i meriti di editore e pittore e un po’ meno diffusamente quelli di scrittore. Nell’opera narrativa di entrambi, nutrita di lucide e ben assimilate suggestioni intellettuali europee, è presente in dose preponderante il cosmo torinese, colto in plurime e svariate sfaccettature, ma il fatto di essere rimasti entrambi, volenti o nolenti, fedeli a una permanenza operativa nella loro città, un po’ defilata e di confine,  può averne causato una minore misura di risonanza più latamente nazionale, a differenza di altri importanti scrittori subalpini –  Soldati, Carlo Levi, Natalia Ginzburg, Zolla, Spaziani, Ceronetti (per certe scelte e certi estri accostabile a Camerana, di cui fu amico) – che saggiamente ‘espatriarono’ forse avvertendo il sostanziale disinteresse dell’animo e della cultura torinesi per la poesia e la letteratura creative, segnalandosi semmai la torinesità per una maggiore inclinazione alla riflessione e alla critica piuttosto che all’invenzione, e con occhi più curiosi per le arti figurative e perfino per la musica. (Quello di Primo Levi, scrittore di eccezionale spessore letterario, è un  caso a sé, mentre quelli di Marina Jarre, Pavese e Arpino sono fenomeni di inserimento torinese dall’esterno). Ciò che forse impedì a Lattes e a Camerana di lasciare Torino, oltre a un piemontesissimo carattere di discrezione e di radicamento, fu un altrettanto sabaudo senso del dovere, che, nel caso di Lattes, a guerra finita lo reclamava alla testa della prestigiosa Casa Editrice fondata dal nonno Simone nel 1893, e nel caso di Oddone, pronipote del senatore Giovanni Agnelli, lo legava fatalmente all’azienda di famiglia.

            Entrato in Fiat nel 1962, dal ’76 Camerana ne divenne una colonna come direttore della pubblicità e geniale e inventivo responsabile della promozione, contribuendo all’affermazione a livello internazionale di numerosi modelli prodotti dalla Casa. Per dissensi circa l’assetto gestionale, nel 1994 lasciò ogni incarico, pur rimanendo in amichevoli rapporti personali con i cugini Agnelli e in particolare con Gianni. 

            Nel libro di esordio, L’enigma del cavalier Agnelli e altri itinerari (Serra e Riva Editori 1985), il lungo racconto eponimo si sofferma sui durissimi conflitti sociali del settembre e ottobre  1920, ma, fondandosi sugli «itinerari» cittadini percorsi dal cavalier Agnelli che si tiene ben lontano dalla sua fabbrica (da cui è stato peraltro estromesso) e per la sua sicurezza è seguito in incognito  da un funzionario della Guardia Regia, estende il discorso alla storia (sociale, politica, economica, culturale, religiosa) della Torino otto-novecentesca fino a quei giorni, con marcata e disincantata ironia ma non senza una intensa e intelligente partecipazione. Altri racconti vertono sull’ingegner Mattè Trucco, «progettista del noto stabilimento Fiat Lingotto», sulle esperienze americane dell’Autore a Detroit (la città della Ford), sulla bellezza e la necessità dei giardini (su quest’ultimo argomento Camerana è uno degli autori, insieme con Oliva di Collobiano e Gae Aulenti, del volume Altri giardini, altri orti, Automobilia 1986). L’approccio alla tematica industriale ritornerà nel romanzo Il centenario (Baldini e Castoldi 1997; finalista al Premio “Viareggio”), dove una fabbrica ormai chiusa, per determinate ragioni di opportunità deve apparire aperta, in una dimensione quasi onirica e surreale, quasi una morta vivente; mentre il romanzo L’imitazione di Carl (Passigli 2002) nasce dalle plurilustri presenze professionali di Camerana a New York (ancora da menzionare sarà L’officina illuminata, Portofranco 2001).

            Al di là dello spazio concesso alla  tematica industriale, la narrativa dello scrittore torinese  abbraccia altri orizzonti e argomenti di alta significazione. Il romanzo La notte dell’Arciduca (Rizzoli 1988) inquadra in una demoniaca Torino del 1910 la vicenda del suicidio di un giovane violoncellista (ispirata all’autore da un tragico evento familiare) in una potente commistione di storia industriale, fascinazioni musicali, struttura poliziesca. Nella Torino degli anni Sessanta-Settanta si colloca invece, nel romanzo I passatempi del Professore (Einaudi 1990), una fitta trama – tra psicologico, poliziesco, sociologico, giudiziario –  al centro della quale si staglia, con le sue curiosità inquisitive,  il professor Onorati, trasposizione letteraria del noto pittore e scrittore torinese Italo Cremona, amico di Camerana. Altro romanzo-saggio tra il poliziesco e lo psicologico, con incursioni nel paranormale e nell’occultismo, è Contro la mia volontà (Einaudi 1993), che, imperniato su un fatto di cronaca realmente accaduto nella Torino del 1889, mette in discussione l’allora trionfante cultura positivistica incarnata dalla frenologia di Cesare Lombroso nei suoi cedimenti, forso poco o ancor meno scientifici, all’occultismo appunto, al magnetismo, all’ipnotismo.                                                                                                                               Infedeltà coniugale, condizione impiegatizia, confronto figli-padri e altre occorrenze della comune vita quotidiana popolano Racconti profani (Passigli 1999), dove lo svolgimento di quella casistica, nella sua estrinsecazione magari banale ma sentito (o voluto sentire) propriamente reale, viene di continuo posto in crisi dagli agguati del lato oscuro della personalità e della vita stessa, dalle zone d’ombra che scombinano la fragilità e l’inconsistenza di equilibri razionali faticosamenti cercati o ambiti.  Racconti di forte impatto comprende anche il volume Vite a riscatto (Lindau 2006).

        L’impulso a una rappresentazione di tipo saggistico di un approccio etico e psicologico, comune e individuale, alla personalità dell’uomo si concreta, nell’opera di Camerana, in libri di   profonda sensibilità e acutezza come In fondo a destra. Una meditazione sulla fragilità umana (Il Quadrante 2015) e Non mi lasciare. Breve viaggio nell’universo della memoria (Lindau 2017), dolorosa riflessione sul progressivo spegnimento, per ragioni patologiche, della memoria dell’Autore stesso, che a quella facoltà attribuisce un valore assolutamente primario e incomparabile nell’esercizio di ogni valenza del pensiero e dell’azione.

            L’esperienza letteraria di Camerana, soltanto in parte accostabile a quella degli scrittori italiani del secondo Novecento nella trattazione del complesso binomio letteratura e industria (il poeta Sinisgalli, Volponi, Ottieri, Bianciardi, Mastronardi, Parise…), se non altro per la peculiare situazione personale all’interno della (o di una…) struttura aziendale, tende a inserire e collocare il discorso sulla fabbrica (con tutti gli annessi e connessi socio-antropologici che gli competono) entro un più allargato universo di realtà vera o presunta in cui agisce, si dibatte, soffre l’essere umano con le sue speranze e le sue frustrazioni,  con i suoi successi e i suoi fallimenti, spesso frutto di cause irrazionali, misteriose, indecifrabili. E ammirevole è la prosa narrativa di Camerana, chiara, precisa, razionale, di dettato quasi illuministico o scientifico, ma di cadenza e forza efficacissime.